2025-09-07
Pier Giorgio Frassati, «tipo losco» che ha insegnato a vivere davvero
Nato a Torino, morì a soli 24 anni. Il Vaticano ha sempre portato avanti la devozione nei suoi confronti Ai funerali una folla immensa, che vedeva già in lui un santo da imitare. Oggi Leone XIV lo canonizzerà.Sono due giovani ragazzi italiani quelli che oggi papa Leone XIV proclamerà santi; santi da altare con una devozione planetaria che li riguarda. Due giovani laici, Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati, con l’aureola, anche se la loro storia ci racconta di due originalissimi ragazzi che ricordano al mondo intero che la fede non è questione da intimoriti o peggio baciapile senza arte ne parte.Come scriveva il beato Pier Giorgio Frassati «vivere senza fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere una lotta per la Verità non è vivere, ma vivacchiare», ha ricordato a un milione di giovani proprio papa Leone circa un mese fa.Pier Giorgio Frassati, morto a soli ventiquattro anni nel 1925, è da tempo una delle figure più popolari del cattolicesimo non solo italiano. Il suo nome è familiare anche a chi conosce poco della sua vita, grazie alla diffusione della sua memoria da parte dell’Azione Cattolica e all’attenzione di diversi Papi, da Pio XI a Giovanni Paolo II. Wojtyla da giovane aveva letto con entusiasmo la prima biografia scritta dal salesiano Antonio Cojazzi e rimase colpito da quel ragazzo torinese, capace di unire fede e gioia di vivere.La sua città, Torino, non era un luogo qualsiasi. Nell’Ottocento e nel primo Novecento aveva visto nascere e operare figure straordinarie di santità sociale come don Giovanni Bosco, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Giuseppe Cafasso, Antonio Murialdo, Giuseppe Allamano. In quel clima Frassati rappresentò l’ultima fiammata di una stagione di carità e impegno che ha lasciato segni in tutto il mondo. Anche per questo la sua vita breve e intensa apparve subito esemplare, capace di parlare a sensibilità diverse.Nacque nel 1901 in una famiglia dell’alta borghesia. Il padre Alfredo era il fondatore e direttore de La Stampa, razionalista ma non massone, come spesso si disse; la madre Adelaide Ametis, pittrice, non agnostica come il marito, ma fredda nei confronti della religione. L’ambiente domestico non favorì quindi una fede vissuta, che Pier Giorgio incontrò piuttosto attraverso i gesuiti del liceo Sociale e i salesiani. Dopo la maturità si iscrisse al Politecnico, facoltà di Ingegneria meccanica, ma la sua vera «università» fu quella dell’impegno cristiano e sociale.Frassati entrò nella Fuci, nell’Azione Cattolica, nella Società di San Vincenzo de Paoli, si legò a varie associazioni eucaristiche e, nel 1922, divenne terziario domenicano scegliendo il nome di fra Girolamo, in omaggio al Savonarola («ammiratore fervente di questo frate, morto da santo sul patibolo, ho voluto nel farmi terziario prenderlo come modello»). Con gli amici fondò la goliardica «Compagnia dei tipi loschi», che dietro un nome scherzoso nascondeva un patto di preghiera e di amicizia cristiana. Nello stesso tempo coltivava la sua grande passione per l’alpinismo: la montagna come palestra di amicizia e di libertà, ma anche come simbolo di ascesa spirituale.Non mancavano però le prove. Tra queste la rinuncia all’amore per una ragazza di umili origini, Laura Hidalgo, che aveva conosciuto in una delle sue gite in montagna, ma che sapeva non sarebbe stata accettata dalla sua famiglia. Per evitare lacerazioni in casa, già segnata da un matrimonio difficile tra i genitori, decise di soffocare in silenzio i suoi sentimenti. Scelse così il sacrificio, senza mai rivelare i suoi sentimenti profondi a Laura, per non turbarla.Nel 1925, visitando i poveri nei quartieri disagiati della città, contrasse probabilmente una poliomielite fulminante. In meno di una settimana la malattia lo portò alla morte, il 4 luglio. La famiglia, distratta anche dall’agonia della nonna materna, si accorse troppo tardi della gravità della situazione. Ai funerali accorse una folla imponente: non solo personalità e notabili, ma soprattutto i tanti poveri che Pier Giorgio aveva aiutato. Un cronista de La Stampa, Ubaldo Leva, parlò dei funerali più commoventi a cui avesse mai assistito.Frassati era un giovane di fede profonda e insieme un uomo di azione. Nei suoi scritti emerge appunto la convinzione che «vivere senza una fede non è vivere, ma vivacchiare». Per questo non si limitò al volontariato caritatevole, ma volle anche impegnarsi in politica. Militò nel Partito popolare di don Luigi Sturzo, con spirito antifascista e con l’idea che la politica dovesse essere un prolungamento della vita morale, uno strumento per dare volto nuovo alla società. Non si trattava per lui di lotte di potere, ma di un servizio alla verità e all’amore.Il suo modello era Savonarola, da lui venerato come profeta di rinnovamento. Ammirava il frate domenicano perché aveva unito predicazione, vita spirituale e impegno civile, pagando di persona. Anche Frassati vedeva la necessità di una «rigenerazione morale» della società, convinto che solo il primato di Cristo e dell’amore potesse risanare le storture politiche e sociali. In Frassati, come in Savonarola, la regalità sociale di Cristo non è teocrazia, come vorrebbe la vulgata, ma frutto del ragionevole e necessario primato concesso alla verità e all’amore.La sua figura, per questo, continua a parlare anche oggi. Mistico e politico insieme, giovane appassionato di sport e fedele uomo di preghiera, Frassati sfugge alle etichette facili. Non si accontentò mai di vivacchiare, ma visse ogni giorno con intensità, nella gioia e nel sacrificio. La sua canonizzazione sancisce oggi ciò che già tanti hanno compreso: che la vita di Pier Giorgio mostra come il cristianesimo non toglie nulla, ma anzi renda la vita piena, vera, capace di unire Cielo e terra.