2025-09-07
Stellantis fa auto quasi solo in Africa e «svende» in Serbia gli operai italiani
La Grande Panda «tira», ma verrà prodotta in Algeria Pressing sui lavoratori per trasferirli. Nel silenzio della Cgil.C’è da immaginarsi una grande multinazionale che ha un fortissimo radicamento in Italia e vive un momento, abbastanza prolungato, di crollo produttivo. Ha commesso dei gravi errori strategici, in primis legarsi mani e piedi al Green deal europeo, ed è stata costretta a usare gli ammortizzatori sociali (tanti contratti di solidarietà e una bella dose di cassa integrazione) in tutti i siti del Belpaese. Al momento non ci sono modelli che tirano, anzi forse ce n’è uno e la scelta è stata di delocalizzarne la produzione prima in Serbia e adesso in Africa, in Algeria. Nello stabilimento di Kragujevac (Serbia, appunto) l’azienda ha prima trasferito operai dal Marocco e poi ha invitato anche i dipendenti di Pomigliano d’Arco a «spostarsi». Il problema sembra essere di qualità della manodopera. In Serbia pare non si trovino operai con il giusto background, per cui i dirigenti del gruppo stanno inviando missive a nastro a una buona parte dei dipendenti italiani per chiedere loro cambiare completamente vita dietro in cambio di un indennizzo di circa 70 euro al giorno. Può sembrare una barzelletta (al di là delle oggettive difficoltà del settore si fa fatica a comprendere le logiche industriali) se non fosse che la situazione di Stellantis è diventata drammatica. Con l’aggiunta di un ultimo tassello che sa di beffa. La componente sindacale, quella che ama definirsi barricadera e che in altre epoche storiche (si pensi alla gestione Marchionne) ha fatto fuoco e fiamme se solo si parlava di riduzione delle pause e dei permessi di lavoro, si è data alla macchia. Maurizio Landini, il segretario della Cgil, ha difficoltà anche solo a pronunciare la parola Stellantis e appena rientrato dalla meritata pausa estiva ha concesso l’ennesima intervista (una pagina intera) a Repubblica per sparare contro il governo di centrodestra e parlare dell’universo mondo - Palestina, Ucraina, casa e Ponte sullo Stretto - tranne che delle condizioni di chi lavora in Stellantis. Che, detto per inciso, ha la stessa proprietà del giornale con il quale Landini ama confessarsi. Non che la tragicità della situazione della multinazionale dell’auto sia nuova. Anzi. Il problema è che poche ore fa è stata ufficializzata l’ennesima decisione incomprensibile del gruppo: spostare la produzione della Grande Panda in Algeria, nella provincia di Orano dove il 2025 dovrebbe chiudersi toccando quota 60.000 vetture assemblate. Messe a confronto con le circa 30.000 di Mirafiori, uno dei siti italiani che se la passa meno peggio, sembra un’enormità. Ma che senso ha una strategia del genere? «È quello che chiediamo anche noi all’azienda da tempo», spiega alla Verità il coordinatore nazionale del settore auto della Fim-Cisl, Stefano Boschini.Si tratta di scelte industriali prese da tempo, per cui l’azienda fa fatica a cambiare in corsa, fatto sta che in tutti i siti italiani c’è un uso importante degli ammortizzatori sociali e che a fronte di un crollo della produzione interna si sceglie di delocalizzare modelli, spostando all’estero manodopera italiana. Una cosa del genere (trasferimenti c’erano stati in Francia ma è oggettivamente un contesto diverso ndr) non era mai successa in passato. Ogni sito fa storia e sé e dare numeri precisi (i periodi di cassa e solidarietà sono molto flessibili) è impossibile, ma se si stima che circa la metà dei 37.000 dipendenti Stellantis è coinvolta dagli ammortizzatori non si va lontano dalla realtà». «La situazione più critica», continua il sindacalista della Cisl, «la stiamo vivendo a Cassino dove arriviamo da mesi e mesi di cassa integrazione senza avere prospettive sul medio-lungo termine. I nuovi modelli Alfa (Stelvio e Giulia) sono in grandissimo ritardo e il continuo ricorso a cassa integrazione e solidarietà sta fiaccando i lavoratori. Reggono un po’ meglio Atessa (dove si realizzano i nuovi furgoni Stellantis) e Pomigliano D’Arco (grazie alla Pandina ndr), mentre si arranca a Melfi. Nel sito lucano si spera nelle nuove auto: la DS8 elettrica è già partita, mentre la DS7 e la Compass (elettriche e ibride) inizieranno la produzione tra fine 2025 e inizio 2026. Poi c’è la Lancia Gamma per la quale serve ancora qualche mese». La Gigafactory di Termoli è destinata a restare una grande illusione, mentre l’azienda punta forte sulla 500 ibrida per risollevare le sorti di Mirafiori. Insomma, stabilimento che vai e modello e ammortizzatore sociale che trovi. Ma la sensazione è quella di una grande confusione sotto il cielo, di scelte improvvisate e poco lungimiranti e di una situazione italiana lasciata allo sbando. «Abbiamo chiesto da tempo», continua Boschini, «un incontro al nuovo amministratore delegato Antonio Filosa. Ci rendiamo conto che è subentrato da poco e che i problemi da risolvere sono globali e complessi. Ma chiediamo almeno di sapere il perché della scelta di spostare la produzione di un modello che pare vendere (la Grande Panda ndr) in Serbia chiedendo ai lavoratori italiani di spostarsi all’estero. Ovviamente non siamo d’accordo, ma quello che sfugge è il senso industriale dell’operazione».
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