2023-12-08
Piazza deserta, la sinistra stecca alla Scala
Effetto Elly Schlein sulle tradizionali proteste davanti al Piermarini in occasione della Prima: pochi i contestatori dei centri sociali con bandiere e fiacchi slogan per la Palestina. Al termine dell’Inno di Mameli un loggionista urla: «Viva l’Italia antifascista».«Ella giammai m’amò», canticchia Ignazio La Russa sedendosi a una sedia di distanza da Liliana Segre. Ha l’aria (del Don Carlo) soddisfatta, ha vinto lui prima di cominciare. La diaspora pasticciata architettata da don Beppe Sala è fallita, tutti nel palco reale a mostrare parure e papillon mentre le luci si abbassano e la Scala si approssima al suo happening più mondano. Nella giungla di fiori sospesa al secondo piano c’è l’iconica senatrice a vita con la figlia («tutti vogliono sedersi accanto a me, meno male»), c’è il presidente del Senato con la moglie e c’è il Vanity sindaco con la compagna, Chiara Bazoli.Lui è lievemente torvo per la figuraccia della vigilia, quando voleva scappare dalla morsa delle «destre» (il plurale fa più effetto) portandosi via, manco fosse Rigoletto, la Segre in platea. E invece si ritrova alle spalle Matteo Salvini, Maria Elisabetta Alberti Casellati, Gennaro Sangiuliano. Mezzo governo più Attilio Fontana, ministri e leghisti. Per quattro atti e quattro ore. Praticamente un ostaggio.Ci si attendeva un trionfo contestatario, fra salario minimo, fascismo marziano, patriarcato galoppante. E invece davanti alla Scala - nello spazio una volta occupato da Mario Capanna col megafono, dalle femministe coi visoni bruciacchiati, dal popolo dei fax che anelava per Tonino Di Pietro, da stantii lanciatori di porfido antisistema, da sindacalisti Cgil in libera uscita - c’è il vuoto politico. Un segnale che la sinistra è per metà dentro e per l’altra metà disintegrata; la stagione Schlein sta dando frutti. Il buontempone che dopo l’esecuzione dell’Inno di Mameli grida dal loggione «Viva l’Italia antifascista» (come se ce ne fosse un’altra) dà una pennellata di folclore al tutto. Ed è pronto per un’ospitata da Corrado Formigli.Neppure i sindacati di base sono più quelli di una volta. Si limitano a mescolarsi ai turisti e a contestare «L’avidità dei potenti in un’Italia sempre più disuguale». Come non essere d’accordo, proprio qui? Per la verità, a rappresentare la rivoluzione permanente nella piazza gelata si notano una dozzina di militanti del centro sociale «Cantiere» che illuminano con fumogeni rossi la notte in arrivo e contrastano il bel canto con l’inno sovietico uscito da un macinino gracchiante (dite a Pierfrancesco Majorino di regalarvi delle Marshall nuove). Recano in mano il cartello «Stop genocide», sventolano un bandierone della Palestina e portano Hamas nel cuore.Riescono ad avere meno appeal di Bruno Vespa e Milly Carlucci che spiegano in tv i segreti dell’opera verdiana, già rappresentata otto volte alla prima scaligera. Della collezione di alternativi fa legittimamente parte l’attivista ucraina che contesta in solitario la soprano russa Anna Netrebko (la più accreditata erede di Maria Callas) dicendo: «Non si è mai espressa contro la guerra ed è legata Vladimir Putin. Da altri teatri è stata cacciata, in Italia viene accolta a braccia aperte». Dimentica l’epurazione milanese con richiesta di abiura di due anni fa, ma fa freddo e va bene così. Entrano i vip, lady Carlucci intercetta il regista Pedro Almodóvar che ha voglia di scherzare: «Perché sono qui? Principalmente per farmi intervistare da voi, in secondo luogo per il Don Carlo. È la prima volta che lo sento alla Scala». Passano nel foyer politici, imprenditori, magistrati, gran commis trasbordati da Roma, il tagliator cortese Mario Monti. All’Escorial, al tempo degli eventi messi in musica, sarebbe finito dritto sul patibolo. I fotografi si scatenano davanti a ogni tipo di fanciulla, anche a quella con la mascherina intonata al gilet di lamè e alla consueta meringa in minigonna. È lievemente in ritardo l’ex ministro Corrado Passera che fa in tempo a rassicurare il Paese: «Ci siamo cercati la recessione per limitare l’inflazione ma l’Italia sta tenendo. I sovranisti esistono ma noi europeisti li batteremo alle elezioni».Gira e rigira, l’aria d’opera che provoca gastriti politiche è sempre la stessa. Ma per evitare di inciampare in concetti impopolari come sovranismo e (udite udite) «patriarcato», sarebbe stato meglio rimanere in casa a cucinarsi un risottino giallo con l’ossobuco. Il Don Carlo è pieno di patriarcato, che deborda, trabocca, dilaga nel rapporto fra un sovrano e suo figlio alla corte più rigida del tempo, quella spagnola. Friedrich Schiller non conosceva le isterie di «Non una di meno» e Giuseppe Verdi avrebbe musicato anche il libro di Roberto Vannacci.In assenza di colpi di scena, vale quello annunciato dal direttore della Scala Dominique Meyer a un minuto dal via: l’inserimento della lirica italiana nel patrimonio immateriale dell’Unesco. Una notizia che fa felice il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano: «Il canto lirico è uno degli elementi distintivi del nostro Paese, una peculiarità del sistema Italia, fa parte l’immaginario italiano nel mondo. Ed è uno strumento formidabile per diffondere la lingua italiana».Alla fine il successo (non il trionfo) è accompagnato da un gesto premonitore: in mattinata il tenore Francesco Meli, il baritono Luca Salsi e la soprano Anna Netrebko avevano reso omaggio al maestro di Busseto andando a trovarlo sulla tomba. «Abbiamo bisogno di te», hanno scritto sui social. E lui li ha accarezzati.
Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea (Getty Images)
Manfred Weber e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)