Parigi vuole sedersi al tavolo sull’accordo Start a febbraio 2026, sfruttando il Rearm per imporre la sua supremazia in Europa.Appuntiamo la data di febbraio 2026. In agenda c’è la rinegoziazione dell’accordo Start sulla gestione delle testate nucleari e in questa occasione potrebbe coinvolgere i quattro attori globali, Usa, Russia, Gran Bretagna e Francia. L’acronimo Start sta per Strategic arms reduction treaty, e l’ultima versione è stata siglata dagli allora presidenti statunitense e russo Barack Obama e Dmitry Medvedev nel 2010. I suoi termini, scaduti nel febbraio 2021, sono stati immediatamente rinnovati per altri cinque anni da Joe Biden e da Vladimir Putin. Dal 2023 l’accordo che fissa un limite di operatività a circa 1.500 testate è di fatto congelato per decisione di Mosca, da un lato per fare pressioni sulla Nato e dall’altro perché il Cremlino dichiaratamente punta a bilanciare gli Usa inserendo nella sesta trattativa di Start anche Uk e Francia. Non è un dettaglio, ma un elemento fondamentale per comprendere la corsa al riarmo Ue e l’offerta di Emmanuel Macron mirata a estendere l’ombrello atomico anche alla Germania. E per comprendere anche la rinnovata ondata di pressioni francesi sui gangli politici e mediatici italiani. Per Parigi accelerare sulla potenza nucleare significa entrare con maggiore forza nel perimetro che a oggi consente la vera deterrenza tra potenze. Appunto l’atomica. Dal momento che la capacità di sviluppare missili ipersonici non è ancora entrata in una fase matura. Per sedersi al tavolo con maggiore peso servono però soldi e investimenti. E questi possono arrivare dall’Europa che contribuirà lasciando però le leve in mano ai francesi. Per capire l’entità dell’impegno basta analizzare alcuni numeri riportati dal sito di analisti debuglies. Dal punto di vista economico, l’onere di mantenere gli arsenali è significativo. Il bilancio della Difesa degli Stati Uniti, che ha raggiunto i 700 miliardi di dollari, stanzia il 12% per le forze nucleari, guidato dal programma Sentinel e dall’integrazione B61-12. Il bilancio della Russia di 90 miliardi di dollari, con il 16% dedicato alla modernizzazione nucleare, riflette una priorità strategica nonostante le sanzioni economiche. Francia e Regno Unito, con bilanci rispettivamente di 55 miliardi di dollari e 70 miliardi di dollari, beneficiano del quadro collettivo della Nato, sebbene l’iniziativa di Difesa europea di Macron potrebbe richiedere altri 12 miliardi di euro all’anno. Senza contare che Parigi spende ogni anno circa 2,5 miliardi per la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie atomiche. Ricevere aiuti diretti o indiretti le consentirebbe di poter portare la propria capacità dalle attuali 290 testate (Uk ne ha 250) a un numero superiore senza incappare in alcun limite imposto da Start. Infatti il tetto vale per Russia e Usa che negli arsenali ne hanno oltre 5.000. D’altro canto Macron si accontenterebbe del piano Ue destinato a progetti convenzionali sui quali avrebbe comunque lo ius primae noctis. Il riferimento è sia a investimenti per nuovi carri o sistemi di difesa ma anche e soprattutto al comparto satellitare. Portare fondi a Thales, per esempio, significa far crescere il fatturato di una azienda che è già leader dello Spazio Ue e che guarda caso partecipa allo sviluppo della costellazione Syracuse IV, fondamentale per il lancio e la traiettoria delle testate nucleari. Macron non ha mai nascosto il proprio disappunto verso una Nato a guida americana. Salvo poi abbozzare nei vari momenti di picco bellico ben conoscendo la dipendenza tecnologica dagli Usa. Adesso però l’occasione si ripropone. E le minacce russe espresse dal ministro Sergey Lavrov («Se avvenisse l’integrazione nucleare Ue ci sarebbero gravi conseguenze») nascondono la classica retorica utile a fare da scudo alle esercitazioni simulate con i nuovi missili Sarmat. Insomma, ci sono due strade per la deterrenza. O proseguire con l’atomica o investire massicci budget per lo sviluppo degli ipersonici e supersonici. Al momento la seconda strada non sembra all’orizzonte e ciò riporta l’Europa alla data fatidica del febbraio 2026. Che cosa succederà nel frattempo? È evidente che l’Europa non è in grado colmare il proprio gap e quindi attori come la Francia cercheranno di sfruttare al massimo il nuovo debito per crearsi un ruolo di primus inter pares anche se in un circuito di serie B. Rispetto ai 700 miliardi di budget Usa, nel 2024 i 27 Stati membri Ue hanno stanziato collettivamente 270 miliardi di euro per la Difesa, un aumento del 6,8% rispetto ai 253,2 miliardi di euro del 2023. La cooperazione strutturata permanente (Pesco) comprende 47 progetti, richiede 17,8 miliardi di euro, con 4,2 miliardi di euro erogati entro il 2024 (Eda), mentre il Fondo europeo per la difesa (Edf) stanzia 8 miliardi di euro fino al 2027, generando 1.620 contratti. Tuttavia la verità è che i 745.000 soldati attivi nella Nato, escludendo gli 1,34 milioni degli Stati Uniti, dipendono dai 3.800 aerei da combattimento e dalle 174 navi militari americane. La discussione in atto non dovrebbe prescindere dai numeri e dalle aspettative dei singoli attori. L’Italia in questa tempesta è un vaso di coccio già pieno di crepe. Investimento in Difesa meno della Francia e della Gran Bretagna, ma siamo ambiti per la tecnologia di nicchia di cui ancora disponiamo. Inoltre, l’economia francese e soprattutto quella tedesca sono in crisi. I fondi per la Difesa servono per il rilancio e per il sostegno di quei settori spompi come l’automotive. Le scelte che faremo in queste settimane incideranno sul nostro Pil per i prossimi dieci anni. Per questo serve equilibri e certo non lasciare briglia sciolta alla lobby francese che in Italia è forte quanto quella cinese ma fa molto più chic.
Ansa
Roma, Berlino e Varsavia: no alle truppe. Parigi scuce impegni monetari e lancia una missione segreta. Trump: basta barili russi.
Koen Lenaerts (Getty images)
La Curia europea delegittima la suprema magistratura di Varsavia: «La sentenza di un organo che non è indipendente e imparziale va considerata inesistente».