Presentato il progetto 2024-2028 della Sgr della Cassa dedicata al venture capital. L’ad Scornajenchi: «Vogliamo che l’incidenza degli investimenti nelle start up salga dallo 0,1 allo 0,3% del Pil». Si passerà da 500 a 1.500 aziende partecipate. Un miliardo per l’Ia.Può considerarsi la sfida delle sfide per la finanza italiana. Portare i livelli dell’incidenza del venture capital sul Pil dall’attuale (in realtà il dato è del 2022) 0,1% allo 0,3% europeo e lo 0,4% di un Paese competitor come la Francia. Impresa titanica se si guardano i numeri, vorrebbe dire quantomeno triplicare i risultati attuali, ma quanto mai stimolante se invece si presta attenzione a un’altra slide tra quelle presentate ieri. Il grafico che mostra nel corso della presentazione del piano strategico 2024-2028 (Shaping Future) di Cdp Venture Capital Sgr come 7 delle top 10 società quotate a livello globale, nei primi anni di attività, sono state supportate dal venture capital, cioè dall’apporto di capitale di rischio esterno per finanziare l’avvio o la crescita e anche la fase di gestione di una start up. Ci sono tra le altre Apple, ma anche Google, Amazon, Nvidia e Meta.Se si riuscisse a «scovare» una top anche in Italia avremmo fatto bingo. Ma l’Italia, come detto, è indietro anche rispetto ai Paesi con i quali normalmente ci confrontiamo. Come rimediare? «Non vogliamo più essere un investimentificio di Stato, non vogliamo più essere il supermercato dell’equity agevolato, altrimenti le startup migliori non verranno da noi», ha spiegato l’amministratore delegato e direttore generale di Cdp Venture Capital Agostino Scornajenchi, «Ci sono altri soggetti che si occupano di salvare le imprese, noi vogliamo costruire le imprese di domani. Il capitale pubblico è una grossa forza, ma paradossalmente può essere una debolezza, se non viene investito bene e l'ambizione della Sgr è avere un piano di investimenti che ci porti quantomeno alla media europea».I pilastri di intervento sono due: investimenti a supporto di nuove imprese in fase embrionale - cosiddetti pre-seed e seed - e investimenti in fondi di venture capital per alimentare la crescita di medio e lungo termine del mercato e le competenze a sostegno dell’innovazione. I settori? Sono stati individuati nell’intelligenza artificiale e nella cybersecurity, nell’agrifoodTech e nelle tecnologie spaziali, ma anche nelle scienze legate al mondo della Sanità, nelle tecnologie pulite e in quelle finalizzate a trovare soluzioni per l’industria e i trasporti. La nascente intelligenza artificiale gioca un ruolo centrale nella strategia di Cdp Venture Capital con un miliardo di euro di risorse dedicate alla crescita del settore su tre ambiti specifici: 120 milioni di euro dedicati al trasferimento tecnologico, anello di congiunzione tra ricerca universitaria e mercato, 580 milioni in startup con applicazioni settoriali per rafforzare gli attori già esistenti e 300 milioni di investimenti in aziende mature pronte a scalare all’estero e diventare i futuri campioni nazionali. «La presenza di un ecosistema finanziario efficiente è condizione necessaria per attrarre capitali, anche nel mondo dell’innovazione, per permettere alle nostre aziende di scalare, garantendo competitività nei mercati chiave, generando impatto sociale in termini di sostenibilità di processi e offrendo agli investitori rendimenti significativi», ha evidenziato il presidente di Cdp Venture Capital, Anna Lambiase.«Cdp, tramite Cdp Equity, ha investito 1,3 miliardi di euro in Cdp Venture Capital», ha precisato l’ad di Cassa Depositi e Prestiti Dario Scannapieco,alle risorse della Cassa si aggiungono 2,5 miliardi di risorse pubbliche e 400 milioni da investitori terzi, un importo significativo, ma -siamo molto piccoli se confrontati con Paesi quali la Gran Bretagna, la Francia o la Germania». Ecco perché i numeri del futuro sono ambiziosi. Cdp Venture Capital stima che nel 2028 il mercato del venture capital italiano possa valere 5,5 miliardi di euro (contro 1,1 miliardi del 2023), con un suo contributo diretto pari al 15-20% del totale. Le startup nelle quali la società di gestione del risparmio della Cassa avrà investito a fine piano saranno circa 1.500, contro le attuali 500. Sul valore degli asset in gestione, Cdp Venture Capital conta attualmente 3,5 miliardi di capitali che «saranno più di 5 miliardi alla fine del 2025», ha assicurato Scornajenchi. Per fine piano l’asticella è alzata a 8 miliardi, con un contributo di 1 miliardo da terzi. «Notiamo con soddisfazione», chiosa Francesco Cerruti, il dg di Italian tech alliance (l’associazione dei fondi di venture capital), «come il piano strategico di Cdp tenga conto di alcuni nostri suggerimenti, in particolare sulla volontà di investire in maniera indiretta, con l’auspicio che questo metodo divenga sempre più centrale».
Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)
Il governatore forzista della Calabria, in corsa per la rielezione: «I sondaggi mi sottostimano. Tridico sul reddito di dignità si è accorto di aver sbagliato i conti».
Marco Minniti (Ansa)
L’ex ministro: «Teniamo d’occhio la Cina su Taiwan. Roma deve rinsaldare i rapporti Usa-Europa e dialogare col Sud del mondo».
Attilio Fontana e Maurizio Belpietro
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Lombardia avverte: «Non possiamo coprire 20 mila ettari di campi con pannelli solari. Dall’idroelettrico al geotermico fino ai piccoli reattori: la transizione va fatta con pragmatismo, non con imposizioni».
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana affronta il tema dell’energia partendo dalle concessioni idroelettriche. «Abbiamo posto fin da subito una condizione: una quota di energia deve essere destinata ai territori. Chi ospita dighe e centrali subisce disturbi e vincoli, è giusto che in cambio riceva benefici. Per questo prevediamo che una parte della produzione venga consegnata agli enti pubblici, da utilizzare per case di riposo, scuole, edifici comunali. È un modo per restituire qualcosa alle comunità».
Investimenti e controlli sulle concessioni. Belpietro incalza: quali investimenti saranno richiesti ai gestori? Fontana risponde: «Non solo manutenzione ordinaria, ma anche efficientamento. Oggi è possibile aumentare la produzione del 10-15% con nuove tecnologie. Dobbiamo evitare che si ripeta quello che è successo con le autostrade: concessioni date senza controlli e manutenzioni non rispettate. Per l’idroelettrico serve invece una vigilanza serrata, con obblighi precisi e verifiche puntuali. La gestione è più territoriale e diretta, ed è più semplice accorgersi se qualcosa non funziona».
Microcentrali e ostacoli ambientali. Sulla possibilità di nuove centrali idroelettriche, anche di piccola scala, il governatore è scettico: «In Svizzera realizzano microcentrali grandi come un container, che garantiscono energia a interi paesi. In Italia, invece, ogni progetto incontra l’opposizione degli ambientalisti. Anche piccole opere, che non avrebbero impatto significativo, vengono bloccate con motivazioni paradossali. Mi è capitato di vedere un’azienda agricola che voleva sfruttare un torrente: le è stato negato il permesso perché avrebbe potuto alterare di pochi gradi la temperatura dell’acqua. Così diventa impossibile innovare».
Fotovoltaico: rischi per l’agricoltura. Il presidente spiega poi i limiti del fotovoltaico in Lombardia: «Noi dobbiamo produrre una quota di energia pulita, ma qui le ore di sole sono meno che al Sud. Per rispettare i target europei dovremmo coprire 20 mila ettari di territorio con pannelli solari: un rischio enorme per l’agricoltura. Già si diffonde la voce che convenga affittare i terreni per il fotovoltaico invece che coltivarli. Ma così perdiamo produzione agricola e mettiamo a rischio interi settori».
Fontana racconta anche un episodio recente: «In provincia di Varese è stata presentata una richiesta per coprire 150 ettari di terreno agricolo con pannelli. Eppure noi avevamo chiesto che fossero privilegiate aree marginali: a ridosso delle autostrade, terreni abbandonati, non le campagne. Un magistrato ha stabilito che tutte le aree sono idonee, e questo rischia di creare un problema ambientale e sociale enorme». Mix energetico e nuove soluzioni. Per Fontana, la chiave è il mix: «Abbiamo chiesto al Politecnico di Milano di studiare un modello che non si basi solo sul fotovoltaico. Bisogna integrare geotermico, biomasse, biocarburanti, cippato. Ci sono molte fonti alternative che possono contribuire alla produzione pulita. E dobbiamo avere il coraggio di investire anche in quello che in Italia è stato troppo a lungo trascurato: il geotermico».
Il governatore cita una testimonianza ricevuta da un docente universitario: «Negli Stati Uniti interi quartieri sono riscaldati col geotermico. In Italia, invece, non si sviluppa perché – mi è stato detto – ci sono altri interessi che lo frenano. Io credo che il geotermico sia una risorsa pulita e inesauribile. In Lombardia siamo pronti a promuoverne l’uso, se il governo nazionale ci darà spazio».
Il nodo nucleare. Fontana non nasconde la sua posizione favorevole: «Credo nel nuovo nucleare. Certo, servono anni e investimenti, ma la tecnologia è molto diversa da quella del passato. Le paure di Chernobyl e Fukushima non sono più attuali: i piccoli reattori modulari sono più sicuri e sostenibili. In Lombardia abbiamo già firmato con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica un accordo per sviluppare Dal confronto con Belpietro emerge un filo conduttore: Attilio Fontana chiede di mettere da parte l’ideologia e di affrontare la transizione energetica con pragmatismo. «Idroelettrico, fotovoltaico, geotermico, nucleare: non c’è una sola strada, serve un mix. Ma soprattutto servono regole chiare, benefici per i territori e scelte che non mettano a rischio la nostra agricoltura e la nostra economia. Solo così la transizione sarà sostenibile».
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Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Il panel dell’evento de La Verità, moderato dal vicedirettore Giuliano Zulin, ha affrontato il tema cruciale della finanza sostenibile con Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi.
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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