
Abbiamo 7.500 chilometri di coste, potremmo insegnare le pesca al mondo intero, ma la globalizzazione si è impossessata pure dei nostri mari (complici le insensate regole Ue). Difendiamoci dall'invasione delle specie esotiche e riscopriamo le delizie delle acque italiane.Giapponesi sushi e sashimi, britannico fish and chips, acciughe spagnole del Cantabrico, pangasio del Mekong, cozze cilene o greche... Totò direbbe: «Ma mi faccia il piacere!». Stiamo assistendo a un'esterofilia ittica indotta dalla globalizzazione, che cancella la carne del mare tricolore da banchi, piatti, consapevolezza e memoria. Con 7.458 chilometri di coste peninsulari e isolane, mari a manciate (Adriatico, Ionio, Mar di Sicilia, Mar di Sardegna, Mar Ligure, Tirreno) e laghi e fiumi a saccate (c'è anche il pesce di lago e di fiume), saremmo i re del pesce, potremmo insegnare a mangiare il pesce a tutto il mondo - come succede con la pizza - e invece sta finendo che ci assuefacciamo al pesce altrui e dimentichiamo il nostro. I dati parlano chiaro: dal 1993, l'importazione italiana di pesce straniero è salita dell'84%. Importiamo da Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Grecia e soprattutto da paesi extracomunitari, come Tunisia ed Egitto. All'aumento delle importazioni corrisponde un aumento del consumo di pesce quasi pari: mangiamo il 79% di pesce pescato in più, evidentemente non il nostro. D'altronde, basta aggirarsi in qualunque supermercato della grande distribuzione per notare che nel banco frigo del pesce surgelato non esiste un lavorato italiano. Nei ripiani del pesce conservato il massimo che possiamo trovare è qualche esemplare di prodotto italiano come le alici sottolio e la bottarga, ma tonno, sgombro e salmone in scatola sono sempre stranieri. Il caso del tonno è emblematico di questa sorta di sostituzione etnica del pesce italiano. Il tonno che troviamo inscatolato è il pinna gialla (Thunnus albacaresche), poco diffuso nei nostri mari: lo mangiamo - a quintali - proveniente da Filippine, Papua Nuova Guinea, Australia settentrionale e Indonesia (il 60% del tonno inscatolato mondiale proviene da lì). Altra zona di importazione è l'Oceano Indiano. Il nostro mare è ricco di tonno rosso (Thunnus thynnus), molto più prelibato del pinna gialla e per questo destinato per lo più all'esportazione, in particolare verso il Giappone. Anche al banco del pesce fresco del supermercato la percentuale di pesce italiano è molto bassa. L'offerta è quasi esclusivamente composta da pesce nemmeno letteralmente fresco ma decongelato, che giunge da altri parti del mondo ed è molto meno costoso di quel poco italiano che c'è.Bisogna allora interrogarsi sulla qualità, perché se un pesce a chilometro 20.000 costa meno di uno a chilometro zero (è il caso del gambero indiano rispetto a quello italiano), il punto non è soltanto che di pesce italiano fresco se ne distribuisce meno nei negozi: se quello che arriva da così lontano, pur sommando conservazione e trasporto, costa un terzo di quello nostrano, ci troviamo di fronte a una qualità discutibile. E a un'operazione di capitalismo globalista, con il solito prodotto esotico che sostituisce quello locale perché, a chi lo commercia, costa molto meno e gli permette di guadagnare di più. Lo stesso discorso vale per pescivendoli del mercato rionale e per le pescherie, negozio - oltretutto - sempre più raro. Inoltre, come sappiamo, nei ristoranti non è obbligatorio indicare la provenienza del pesce. Ciò significa che se non è indicato come italiano è sicuramente straniero. Insomma, anche nel pesce si è verificata una sorta di invasione che disintegra le aziende tricolore e realizza la nota espressione del vendere i congelatori agli eschimesi. Dobbiamo ribadire l'orgoglio italico anche sul pesce. Il nostro settore della pesca, nelle ultime tre decadi, ha subito un vero e proprio tonfo: meno 18.000 posti di lavoro, importiamo più di un milione di tonnellate di pesce straniero e ne peschiamo soltanto 180.000 tonnellate, gran parte delle quali - come dicevamo - finisce all'estero. Le imbarcazioni tricolore sono diminuite da 18.000 a 12.500. La ragione non sta nemmeno nell'esigenza di non pescare troppo per evitare lo spopolamento marino, come amano sostenere molti ecologisti. Primo, perché esiste il pesce di allevamento, addirittura biologico. Poi, perché se alcune specie pescate sono a rischio, infinite altre non lo sono. Il problema è, casomai, che questa tipologia di mercato del pesce ha massificato ed esterofilizzato il gusto smettendo di distribuire molte varietà di pesce nostrano al cliente. Il quale perde, nel tempo, la cultura del pesce italiano e s'ingozza di persico africano (anche conosciuto come persico del Nilo), allevato nel Lago Vittoria e sul quale è stato realizzato anche il docufilm L'incubo di Darwin. Nella pellicola, si parla dei vecchi cargo dell'ex Unione sovietica che atterrano ogni giorno all'aeroporto di Mwanza (Tanzania): portano in Africa armi, munizioni e carri armati per le innumerevoli guerre civili del continente e ripartono carichi di filetti di pesce per i mercati europei e giapponesi. Gli indigine, che soffrono per la carestia, non possono permettersi il pesce persico; il Lago Vittoria è condannato a una morte biologica; i pescatori lavorano in condizioni precarie, minacciati dai coccodrilli; i bambini di strada sono abbandonati a sé stessi. Altrettanto drammatico è il retroterra produttivo del pangasio: allevato nel Mekong, che è uno dei più inquinati fiumi del mondo perché oltre 200 aree industriali cinesi vi scaricano i rifiuti chimici delle lavorazioni, viene pure trattato con additivi coloranti per somigliare di più ai nostri pesci. I cinesi sono anche i protagonisti di un altra criticabile pratica: qualche mese fa, l'emittente televisiva France 5 ha svelato come il merluzzo, il secondo pesce più consumato dai francesi dopo il salmone, prima di essere venduto nella Gdo francese subisca iniezioni di acqua e fosfati, una sorta di filler rimpolpante che lo fa sembrare più grosso e ne aumenta il peso: è merluzzo importato dalla Cina. Il merluzzo, pescato nell'Atlantico del Nord, viene mandato in Cina per essere lavorato a basso costo e poi rispedito in Europa: 30.000 km di viaggio che derubano il pesce della sua freschezza e i lavoratori europei di un'occasione lavorativa. Ma non è finita qui. Sovente, questo pesce ipereconomico made in China viene spacciato per pesce di classe superiore, come ha denunciato qualche mese fa la Coldiretti. Il presidente di Federpesca ha dichiarato alla Stampa: «Siamo rimasti la Cenerentola. La situazione odierna è inaccettabile, frutto di un'operazione fallimentare che promana dall'Unione europea per incentivare in ogni modo l'abbandono del settore. Ma è stato un sacrificio unilaterale, perché alla riduzione di capacità di pesca italiana si è sostituita quella di altri Paesi rivieraschi, dove le flotte sono cresciute» in barba a regole valide solo per noi. Ancora, Gilberto Ferrari, direttore di Federcoopesca: «Siamo troppo bravi in una realtà in cui Paesi amici non lo sono. E così ci ritroviamo a proteggere il nasello e il gambero nel Canale di Sicilia mentre magari Tunisia ed Egitto li pescano al posto nostro». E poi ce li vendono. La soluzione non è limitare il consumo di pesce (ne mangiamo circa 30 chili l'anno): è mangiare quello nostranoriscoprendo le nostre specie ittiche più popolari. Cercando, le si può trovare. Il pesce mediterraneo è tantissimo: acciuga, aguglia, alaccia, anguilla, boga, busbana bruna, calamaro, canocchia, capone coccio, cappellano, cefalo calamita, cefalo dorato, cernia bruna, cernia nera, dentice, gallinella, Glycymeris glycymeris, granchio di sabbia, lampuga, leccia, mazzancolla, menola, mitilo mediterraneo, mormora, mostella di fondo, nasello, occhialone o besugo, ombrina, orata, ostrica comune, paganello, palamita, pesce San Pietro, pesce sciabola, pesce serra, pettine, polpo comune, potassolo, rana pescatrice, rombo chiodato, rombo liscio, sarago maggiore, sarago pizzuto, sardina, seppia, sgombro, sogliola, sparaglione, suacia, sugarello, tanuta, tellina, tombarello, tonnetto o alletterato, totano, triglia di scoglio, vongola, zerro.Tenete a mente Alberto Sordi in Un americano a Roma, che prima esalta il cibo «amaricano» e poi ci ripensa e si libera di «marmllada», «yogut» e «mostada» per tuffarsi sui maccheroni. Il pangasio datelo al gatto, il persico africano «al sorcio» e con le cozze greche - che l'anno scorso risultarono contaminate dal batterio Escherichia coli - «ammazzamo 'e cimici». Se vi piacciono i frutti di mare, preferite sempre e comunque le cozze italiane (le sarde, di allevamento, sono deliziose) e le vongole italiane. La Sardegna ci viene in aiuto: quando al banco del pesce vedrete le arselle sarde, sappiate che sono vongole. Anzi, vongole veraci, autoctone (Tapes decussatus). Anche in Liguria le vongole si chiamano arselle. Nel Mediterraneo le vongole locali hanno subito l'epidemia di diffusione di quelle filippine, ma molte hanno resistito e, grazie a progetti di ripopolamento, la vongola italiana sta tornando a moltiplicarsi. Ricordatevi questo dettaglio: la vongola nostrana ha due piccoli sifoni per l'ingresso e l'uscita dell'acqua, che si muovono indipendentemente. Se quelle due antennine sono saldate insieme, avete davanti una Tapes philippinarum (o semidecussatus). Non compratela. Si tratta di resistenza partigiana, che parteggia per il pesce nostro. Altra alternativa alle vongole straniere sono tutti i molluschi che si possono sostituire alle vongole, come le non molto conosciute telline (anche dette arselle). Tanti supermercati le hanno, si puliscono come le vongole e sono molto saporite. Imparate a cucinare i cugini del tonno: costano poco e hanno carni saporite. La famiglia Scombridae comprende Thunnus alalunga e Thunnus thynnus, ma anche lo Scomber scombrus, cioè lo sgombro, la sarda sarda, cioè il gustosissimo palamita, l'Auxis thazard, cioè il tombarello, l'Euthynnus alletteratus, il tonnetto alletterato. Sono ottimi al forno, su un letto di patate in sfoglia oppure - se volete un equivalente sovranista del sushi - sfilettati, ridotti in pezzetti e appena soffritti, in bianco o in un sugo di pomodoro, come condimento per la pasta.La pasta si può condire anche con totani, seppie, calamari e polpi, nonché con acciughe (note anche come alici), sardine e triglie. Queste ultime sono ottime anche impanate e fritte, in sola farina o pastella con uovo e farina, magari in forno (per ottenere un risultato non dissimile dal fritto vero basta spruzzarle di olio spray, naturalmente evo e italiano). In quanto ai pesci piccoli, hanno la caratteristica di contenere meno metalli pesanti di pesci molto grandi, perché sono stati meno tempo in mare. Ricordatevi quanto è buona la sogliola alla mugnaia o lo scorfano: sono noti gli spaghetti allo scorfano di Antonino Cannavacciuolo. E ogni volta che mangiate un pesce italiano, rammentate che state facendo del bene alla nostra economia, ai nostri professionisti della pesca e alla vostra salute: il pesce è una fonte proteica elettiva, meno calorica della carne, generalmente povera di grassi e ricca di iodio.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.