2023-11-07
Persino Gentiloni deve ammettere: la mia Europa funziona poco e male
Il commissario italiano: le regole sono troppo severe e restano inattuate, serve un nuovo patto di Stabilità. Lo sfogo di Giancarlo Giorgetti prima dell’Econfin: troppa burocrazia e pochi investimenti, così perdiamo le sfide globali.Le regole europee «penalizzano gli investimenti, così diventa impossibile competere a livello globale». Il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, ieri a Varese a un convegno sul ruolo degli enti locali nel futuro della Ue ha lanciato l’allarme sul modello Europa. «Il problema italiano», ha premesso, «è sicuramente finanziario, abbiamo dei vincoli di bilancio anche in termini di infrastrutture. Però, e mi sfogo qui prima dell’Ecofin che ci sarà giovedì, se le regole messe a livello europeo penalizzano gli investimenti e li considerano una spesa da limitare e censurare diventa molto difficile realizzare le opere stradali e ferroviarie ma anche impossibile competere a livello globale sulle sfide della transizione energetica. Altri Paesi possono mobilitare risorse pubbliche e anche private per realizzare questi interventi». Poi, un altro affondo: «In questo momento vedo una pericolosissima involuzione burocratica a livello europeo, una specie di bolla incapace di dare risposte ai problemi nuovi posti quotidianamente dalle sfide globali. È una situazione imbarazzante che vive oggi l’Europa e le istituzioni europee», ha detto Giorgetti, «negli anni 70 c’era un afflato, una concezione di Europa che era di aiuto a un processo di evoluzione dei poteri, ma in questo momento vedo una pericolosissima involuzione burocratica. Abbiamo il problema di rimettere in ordine il ruolo dell’Europa, dello stato nazionale, delle regioni e dei comuni. È molto complicato, serve una capacita riformatrice non banale, se non riusciamo diventa difficile affrontare le sfide che il futuro ci propone, sia quelle ambientali e climatiche, ma anche soprattutto della natalità e della demografia, un problema molto serio».Le parole di Giorgetti arrivano alla vigilia dell’Ecofin ma anche all’indomani delle dichiarazioni fatte dal commissario europeo agli Affari economici, Paolo Gentiloni. Ospite domenica della trasmissione In mezz’ora su Rai 3, Gentiloni ha di fatto ammesso che il patto sottoscritto nel ’97 dagli Stati membri ora va rivisto perché quel modello di vincoli interni ed esterni alla Ue non funziona più. «L’Europa», ha detto domenica l’ex premier, «non può più restare nel limbo sulle regole sui conti pubblici. Quello che serve, e in fretta, è un accordo tra i governi nazionali per dare vita al nuovo Patto di stabilità e crescita». Il buon esito dei negoziati è decisivo «per tutti» anche perché, è il ragionamento del commissario, le regole attuali «non sono adeguate», si sono mostrate «troppo severe, al punto di non essere applicate», e una loro imminente restaurazione - davanti all’Europa stravolta dopo la pandemia e immersa in due guerre - rischierebbe di soffocare crescita e investimenti. La quadra per non tornare alla vecchia austerità, uno scenario nefasto anche per Roma, andrà trovata entro la fine dell’anno, in un percorso che si intreccia alla valutazione della Ue sulle leggi di bilancio nazionali e alle revisioni dei Pnrr. I segnali che arrivano da Palazzo Berlaymont sono che senza un consenso sulla riforma del Patto, tutti i suoi paletti torneranno in vigore all’inizio del 2024. I primi a poter avvicinare le posizioni sono appunto i ministri delle Finanze, riuniti all’Eurogruppo e all’Ecofin l’8 e il 9 novembre. La questione di fondo riguarda l’equilibrio tra l’esigenza di dare spazio alle spese di investimento a sostegno della crescita e per finanziare gli obiettivi Ue (economia verde e difesa, in particolare) e il percorso di riduzione dell’indebitamento soprattutto nei paesi ad alto debito: fissare obiettivi quantitativi minimi di consolidamento nel tempo pur in un quadro di riferimento pluriennale (4-7 anni) per la Germania è la condizione primaria per inquadrare lo spazio necessario per gli investimenti ed evitare, contemporaneamente, che la valutazione delle scelte di finanza pubblica dei governi sia esclusivamente il frutto di discussioni, negoziati bilaterali tra Bruxelles e le capitali. Dal canto suo, l’Italia sostiene dall’inizio la linea di uno scorporo (per qualche posta anche temporaneo) dai calcoli del Deficit/Pil ai fini delle procedure di sorveglianza Ue delle spese per gli investimenti, di quelle legate alle priorità europee inclusa la difesa ai progetti finanziati dalla Ue. La legge di bilancio 2024 italiana è costruita su un debito/Pil che sostanzialmente calerà solo dal 2026 (dal 140,2% di quest'anno al 139,6%). La Francia si è finora opposta ai numeri annuali di riduzione dell’indebitamento e difende gli spazi per gli investimenti: nel 2024 e nel 2025 il debito/Pil francese resterà fermo al 109,7 per cento. Di certo, in primavera la Commissione dovrà valutare le politiche di bilancio sulla base dei dati 2023 e una decina di Paesi si troverebbe in condizioni di dover subire procedure per disavanzo pubblico eccessivo (Italia e Francia comprese). Il prossimo 15 novembre da Bruxelles verranno pubblicate le nuove stime macroeconomiche. Per il 21 novembre sono, invece, attese le opinioni sui progetti di legge di bilancio 2024.
Xi Jinping e Donald Trump (Ansa)