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2024-04-24
Perde la sinistra? «Vince l’astensionismo»
Vito Bardi (Imagoeconomica)
«Viva la terza via». Per la sinistra è facile scandirlo anche se non si tratta di quella vagheggiata (e mai praticata) da San Enrico Berlinguer. Ed è consolante farlo nel giorno della batosta in Basilicata, soprattutto se non c’è alcuna voglia di piegare la schiena e raccogliere i cocci dell’alleanza Pd - Movimento 5 stelle. Così la terza via diventa quella dell’identificare nell’astenuto il vero vincitore. Sei andato in gita a Melfi? Hai vinto. Hai seguito il Potenza in Serie C? Hai vinto, anche se lui ha pareggiato 2-2 a Messina.
L’enfasi allarmistica con cui commentatori tv e stampa mainstream hanno sottolineato il 50,2% di chi si è tenuto alla larga dalle urne è sospetta. Sia perché arriva da chi aveva tuonato contro il 75% dell’affluenza alle elezioni russe («Votano per paura»), sia perché ci regala un’immagine plastica: il bambino viziato che trattiene il respiro fino a diventare rosso per non voler ammettere che ha vinto il centrodestra.
Che in Italia si faccia largo il disinteresse per la politica è abbastanza scontato; se ad agitare i cuori nel Paese sono antifascismo, patriarcato e gender non può che essere così. In fondo una non notizia. Nelle democrazie occidentali da almeno 20 anni la tendenza è questa; negli Stati Uniti vota il 40% degli aventi diritto, per due volte Emmanuel Macron è stato eletto da un quarto dei francesi. Un anno fa alle regionali della Lombardia è rimasto a casa il 58% anche perché il candidato del Pd, Pierfrancesco Majorino, era debolissimo. Eppure.
Eppure quando fa comodo «Ha vinto l’astensionismo», come da titolo di testata dell’Avvenire. E come da pensose riflessioni su La Repubblica e La Stampa, rigorosamente nelle pagine molto interne, perché per la cooperativa Elkann non valeva neppure la pena un accenno in prima. Siamo all’apoteosi del maquillage informativo. Se in Sardegna Alessandra Todde (con l’affluenza al 52%, non al 70%) la spunta al fotofinish per 1.600 voti dopo una settimana di verifiche è «un trionfo con valore nazionale», «una risposta ai manganelli» ed è «cambiata l’aria». Se in Basilicata Vito Bardi stacca di oltre 14 punti Piero Marrese scavando, più che un fosso, la fossa al campo largo, tutto ciò non esiste. Scontato. Piccola regione. «Quanti astenuti, signora mia».
L’analisi di Avvenire sorprende più delle altre perché proprio sull’astensionismo il santissimo editore del quotidiano cattolico si affidò 19 anni fa per affossare il referendum radicale sulla fecondazione assistita. «Sulla vita non si vota», proclamò il cardinal Camillo Ruini. La consultazione non raggiunse il quorum e gli astensionisti furono una benedizione. È ovvio che nelle regionali non esiste un quorum ma il paragone sta in piedi per la sua valenza politica: tirare per la giacchetta il deluso per nascondere le disfatte è diventato uno sport nazionale. Se vince il centrosinistra è un trionfo anche con tre elettori; se vince il centrodestra, caro caporedattore «esci» la scusa dell’astensionismo gnè gnè.
In realtà gli sconfitti hanno una faccia, un indirizzo, una targhetta sulla porta e un campanello: Elly Schlein e Giuseppe Conte. Non costerebbe nulla fotografare la realtà e ammetterlo, provare a capire perché il campo largo diventa un camposanto anche al Sud dove i grillini da soli sono ancora un fattore, approfondire le scelte di chi ha votato invece di aggrapparsi psicologicamente a chi ha preso la scheda per farci un aeroplanino di carta. Ma l’operazione è fastidiosa perché porterebbe a un’amara conclusione: l’astenuto è l’elettore pentastellato che non vuole avere nulla a che fare con il poltronismo del Nazareno, è l’elettore piddino che vede come fumo negli occhi il grillismo demagogico.
Sbandierare l’astensionismo senza evidenziarne le ragioni (più che evidenti) è pura ipocrisia. Bisognerebbe ammettere che l’alleanza fra i due più significativi partiti della sinistra non è un’addizione ma una sottrazione. E che, di conseguenza, presunti guru del Nazareno come Dario Franceschini, Nicola Zingaretti e «la corrente thailandese» Goffredo Bettini passano da una cantonata all’altra. Meglio la foglia di fico dell’astensionismo, alla fine consola tutti e non costa niente.
A Milano, il Vanity sindaco Beppe Sala tre anni fa ha rivinto con il consenso del 25% reale dei cittadini (l’affluenza fu del 54%). Ed è tristemente divertente vedere che oggi viene scaricato - per le scelte stranianti di non tagliare l’erba, tassare chi entra in città, far scappare Milan e Inter, perfino vietare i gelati - proprio da coloro che allora andarono a fare il weekend a «Courma» o a «Santa». La demagogia degli astenuti è un’arma a doppio taglio, chi si crogiola nel dissenso passivo lascia il tempo che trova e non avrebbe neppure il diritto di alzare la voce. Altro che partito nascosto. D’accordo, lo slogan gaberiano «libertà è partecipazione» ormai vale solo per qualche nostalgico con l’eskimo. Ma è ancora più vero che sbandierare l’astensione per nascondere le gastriti della sinistra non è un’analisi. È la strategia dello struzzo.
Tra Bardi e il rivale distacco del 15%. Lega al 7,8%, consensi record per Fi
L’ufficialità è arrivata nella notte di lunedì: il candidato del centrodestra Vito Bardi è stato confermato presidente della Regione Basilicata con il 56,63% dei voti. Con un distacco del 14,47% l’ex generale ha inflitto una sonora sconfitta al candidato del centrosinistra Piero Marrese che ha ottenuto il 42,16% dei consensi; al terzo candidato Eustachio Follia di Volt è andato l’1,21%. Il voto lucano conferma il trionfo del centrodestra che festeggia per aver vinto due regioni su tre, Abruzzo e Basilicata, quelle, cioè, dove ha ripresentato i presidenti uscenti. Stavolta però la coalizione si è presentata «allargata» inaugurando un nuovo laboratorio politico: oltre a Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega, infatti, si sono aggregati anche Azione e Italia Viva. Un «pentapartito» o un campo largo di centrodestra che secondo lo stesso governatore Bardi ha un futuro: «Il campo largo si è fatto perché si sono condivisi i programmi. Questo permetterà alla nostra Regione di portare avanti quelle iniziative che sarebbe stato più difficile portare avanti altrimenti. Se si condividono alcuni obiettivi da realizzare, si possono trovare le convergenze e allora questo modello può andar bene anche a Roma».
E se la riconferma del presidente lucano era ampiamente annunciata, le maggiori novità sono arrivate dai partiti a cominciare da Lega e M5s. Queste due forze politiche, alle regionali di 5 anni fa (ma sembrano 50) insieme presero il 40% dei voti mentre stavolta hanno totalizzato poco più del 15% e cioè il 7,8% i pentastellati e il 7,8% il partito di Salvini. La Lega infatti esce ridimensionata: il 19,15% delle regionali 2019 è lontanissimo, ma anche rispetto al 2022 (9%) il partito perde più di un punto e si ferma al 7,8%. Per l’eurodeputata uscente Cinzia Bonfrisco però «è un risultato incoraggiante in vista delle Europee per la media nazionale che la Lega potrà conquistare confermando la capacità di governo sui problemi che servono allo sviluppo dei territori».
E comunque, se nel centrodestra il flusso dei voti resta all’interno e la perdita leghista è riassorbita dagli alleati, la stessa cosa non accade per il M5s che ha ridotto drasticamente i suoi consensi pur essendo in coalizione con il Pd, o forse, proprio per questo molti grillini sono rimasti a casa. Oggi, soltanto 20.000 voti e due consiglieri regionali, ancora in calo rispetto alle Regionali del 2019 quando, sostenendo la candidatura di Antonio Mattia, il M5s ottenne il 20,3%, cioè 58.600 voti, portando tre suoi rappresentanti in Consiglio. La vittoria bis di Bardi nella ex roccaforte rossa evidenzia anche la crisi del centrosinistra. Al campo largo della sinistra che negli ultimi 16 mesi ha incassato 5 sconfitte (Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Molise, Abruzzo e Basilicata) non è bastato il buon risultato della lista civica Basilicata Casa Comune dell’imprenditore cattolico Angelo Chiorazzo, all’11,2%, per compensare le perdite del M5s e il punto in meno del Pd (rispetto alle precedenti elezioni) che si è fermato al 13,9%. Lo sconfitto Marrese ha accusato: «C’è un pezzo del centrosinistra che si è staccato da noi ed è andato a finire lì e gli ha dato la forza per vincere. Il vero vincitore è Marcello Pittella con Azione».
Nell’alleanza di centrodestra infatti Fratelli d’Italia è il primo partito con il 17,4%, poi Forza Italia con il 13% e la Lega con il 7,8% dei voti con cui ha superato di poco le due forze centriste che si sono schierate con la coalizione, e cioè Azione di Carlo Calenda con in prima fila l’ex governatore di centrosinistra e re delle preferenze Marcello Pittella, arrivata al 7,5%, e Orgoglio lucano (con esponenti vicini a Matteo Renzi) al 7,7%. Il peso dei loro voti ha contribuito alla rielezione di Bardi facendogli superare la soglia (simbolica) del 50%.
Va sottolineato anche il risultato del partito che portava il governatore e cioè Forza Italia. Nelle ultime tornate elettorali (politiche 2022, europee e regionali 2019) Fi era sempre poco sopra il 9% mentre il 13% di queste elezioni è il miglior risultato nella storia elettorale del partito in Basilicata (dopo la fine del Pdl), oltre il 12,4% delle politiche 2018.
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Riduci
Dopo il trionfo del centrodestra, i dem e i giornali amici lanciano l’allarme sulla scarsa affluenza. Eppure, solo poche settimane fa il successo al fotofinish di Alessandra Todde in Sardegna fu presentato come epocale, anche se a disertare le urne era stato il 48% dei cittadini.Decisivo per la riconferma dell’ex generale il sostegno di Azione e renziani. Tracollo M5s.Lo speciale contiene due articoli«Viva la terza via». Per la sinistra è facile scandirlo anche se non si tratta di quella vagheggiata (e mai praticata) da San Enrico Berlinguer. Ed è consolante farlo nel giorno della batosta in Basilicata, soprattutto se non c’è alcuna voglia di piegare la schiena e raccogliere i cocci dell’alleanza Pd - Movimento 5 stelle. Così la terza via diventa quella dell’identificare nell’astenuto il vero vincitore. Sei andato in gita a Melfi? Hai vinto. Hai seguito il Potenza in Serie C? Hai vinto, anche se lui ha pareggiato 2-2 a Messina. L’enfasi allarmistica con cui commentatori tv e stampa mainstream hanno sottolineato il 50,2% di chi si è tenuto alla larga dalle urne è sospetta. Sia perché arriva da chi aveva tuonato contro il 75% dell’affluenza alle elezioni russe («Votano per paura»), sia perché ci regala un’immagine plastica: il bambino viziato che trattiene il respiro fino a diventare rosso per non voler ammettere che ha vinto il centrodestra. Che in Italia si faccia largo il disinteresse per la politica è abbastanza scontato; se ad agitare i cuori nel Paese sono antifascismo, patriarcato e gender non può che essere così. In fondo una non notizia. Nelle democrazie occidentali da almeno 20 anni la tendenza è questa; negli Stati Uniti vota il 40% degli aventi diritto, per due volte Emmanuel Macron è stato eletto da un quarto dei francesi. Un anno fa alle regionali della Lombardia è rimasto a casa il 58% anche perché il candidato del Pd, Pierfrancesco Majorino, era debolissimo. Eppure.Eppure quando fa comodo «Ha vinto l’astensionismo», come da titolo di testata dell’Avvenire. E come da pensose riflessioni su La Repubblica e La Stampa, rigorosamente nelle pagine molto interne, perché per la cooperativa Elkann non valeva neppure la pena un accenno in prima. Siamo all’apoteosi del maquillage informativo. Se in Sardegna Alessandra Todde (con l’affluenza al 52%, non al 70%) la spunta al fotofinish per 1.600 voti dopo una settimana di verifiche è «un trionfo con valore nazionale», «una risposta ai manganelli» ed è «cambiata l’aria». Se in Basilicata Vito Bardi stacca di oltre 14 punti Piero Marrese scavando, più che un fosso, la fossa al campo largo, tutto ciò non esiste. Scontato. Piccola regione. «Quanti astenuti, signora mia».L’analisi di Avvenire sorprende più delle altre perché proprio sull’astensionismo il santissimo editore del quotidiano cattolico si affidò 19 anni fa per affossare il referendum radicale sulla fecondazione assistita. «Sulla vita non si vota», proclamò il cardinal Camillo Ruini. La consultazione non raggiunse il quorum e gli astensionisti furono una benedizione. È ovvio che nelle regionali non esiste un quorum ma il paragone sta in piedi per la sua valenza politica: tirare per la giacchetta il deluso per nascondere le disfatte è diventato uno sport nazionale. Se vince il centrosinistra è un trionfo anche con tre elettori; se vince il centrodestra, caro caporedattore «esci» la scusa dell’astensionismo gnè gnè.In realtà gli sconfitti hanno una faccia, un indirizzo, una targhetta sulla porta e un campanello: Elly Schlein e Giuseppe Conte. Non costerebbe nulla fotografare la realtà e ammetterlo, provare a capire perché il campo largo diventa un camposanto anche al Sud dove i grillini da soli sono ancora un fattore, approfondire le scelte di chi ha votato invece di aggrapparsi psicologicamente a chi ha preso la scheda per farci un aeroplanino di carta. Ma l’operazione è fastidiosa perché porterebbe a un’amara conclusione: l’astenuto è l’elettore pentastellato che non vuole avere nulla a che fare con il poltronismo del Nazareno, è l’elettore piddino che vede come fumo negli occhi il grillismo demagogico. Sbandierare l’astensionismo senza evidenziarne le ragioni (più che evidenti) è pura ipocrisia. Bisognerebbe ammettere che l’alleanza fra i due più significativi partiti della sinistra non è un’addizione ma una sottrazione. E che, di conseguenza, presunti guru del Nazareno come Dario Franceschini, Nicola Zingaretti e «la corrente thailandese» Goffredo Bettini passano da una cantonata all’altra. Meglio la foglia di fico dell’astensionismo, alla fine consola tutti e non costa niente. A Milano, il Vanity sindaco Beppe Sala tre anni fa ha rivinto con il consenso del 25% reale dei cittadini (l’affluenza fu del 54%). Ed è tristemente divertente vedere che oggi viene scaricato - per le scelte stranianti di non tagliare l’erba, tassare chi entra in città, far scappare Milan e Inter, perfino vietare i gelati - proprio da coloro che allora andarono a fare il weekend a «Courma» o a «Santa». La demagogia degli astenuti è un’arma a doppio taglio, chi si crogiola nel dissenso passivo lascia il tempo che trova e non avrebbe neppure il diritto di alzare la voce. Altro che partito nascosto. D’accordo, lo slogan gaberiano «libertà è partecipazione» ormai vale solo per qualche nostalgico con l’eskimo. Ma è ancora più vero che sbandierare l’astensione per nascondere le gastriti della sinistra non è un’analisi. 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Il voto lucano conferma il trionfo del centrodestra che festeggia per aver vinto due regioni su tre, Abruzzo e Basilicata, quelle, cioè, dove ha ripresentato i presidenti uscenti. Stavolta però la coalizione si è presentata «allargata» inaugurando un nuovo laboratorio politico: oltre a Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega, infatti, si sono aggregati anche Azione e Italia Viva. Un «pentapartito» o un campo largo di centrodestra che secondo lo stesso governatore Bardi ha un futuro: «Il campo largo si è fatto perché si sono condivisi i programmi. Questo permetterà alla nostra Regione di portare avanti quelle iniziative che sarebbe stato più difficile portare avanti altrimenti. Se si condividono alcuni obiettivi da realizzare, si possono trovare le convergenze e allora questo modello può andar bene anche a Roma». E se la riconferma del presidente lucano era ampiamente annunciata, le maggiori novità sono arrivate dai partiti a cominciare da Lega e M5s. Queste due forze politiche, alle regionali di 5 anni fa (ma sembrano 50) insieme presero il 40% dei voti mentre stavolta hanno totalizzato poco più del 15% e cioè il 7,8% i pentastellati e il 7,8% il partito di Salvini. La Lega infatti esce ridimensionata: il 19,15% delle regionali 2019 è lontanissimo, ma anche rispetto al 2022 (9%) il partito perde più di un punto e si ferma al 7,8%. Per l’eurodeputata uscente Cinzia Bonfrisco però «è un risultato incoraggiante in vista delle Europee per la media nazionale che la Lega potrà conquistare confermando la capacità di governo sui problemi che servono allo sviluppo dei territori». E comunque, se nel centrodestra il flusso dei voti resta all’interno e la perdita leghista è riassorbita dagli alleati, la stessa cosa non accade per il M5s che ha ridotto drasticamente i suoi consensi pur essendo in coalizione con il Pd, o forse, proprio per questo molti grillini sono rimasti a casa. Oggi, soltanto 20.000 voti e due consiglieri regionali, ancora in calo rispetto alle Regionali del 2019 quando, sostenendo la candidatura di Antonio Mattia, il M5s ottenne il 20,3%, cioè 58.600 voti, portando tre suoi rappresentanti in Consiglio. La vittoria bis di Bardi nella ex roccaforte rossa evidenzia anche la crisi del centrosinistra. Al campo largo della sinistra che negli ultimi 16 mesi ha incassato 5 sconfitte (Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Molise, Abruzzo e Basilicata) non è bastato il buon risultato della lista civica Basilicata Casa Comune dell’imprenditore cattolico Angelo Chiorazzo, all’11,2%, per compensare le perdite del M5s e il punto in meno del Pd (rispetto alle precedenti elezioni) che si è fermato al 13,9%. Lo sconfitto Marrese ha accusato: «C’è un pezzo del centrosinistra che si è staccato da noi ed è andato a finire lì e gli ha dato la forza per vincere. Il vero vincitore è Marcello Pittella con Azione». Nell’alleanza di centrodestra infatti Fratelli d’Italia è il primo partito con il 17,4%, poi Forza Italia con il 13% e la Lega con il 7,8% dei voti con cui ha superato di poco le due forze centriste che si sono schierate con la coalizione, e cioè Azione di Carlo Calenda con in prima fila l’ex governatore di centrosinistra e re delle preferenze Marcello Pittella, arrivata al 7,5%, e Orgoglio lucano (con esponenti vicini a Matteo Renzi) al 7,7%. Il peso dei loro voti ha contribuito alla rielezione di Bardi facendogli superare la soglia (simbolica) del 50%. Va sottolineato anche il risultato del partito che portava il governatore e cioè Forza Italia. Nelle ultime tornate elettorali (politiche 2022, europee e regionali 2019) Fi era sempre poco sopra il 9% mentre il 13% di queste elezioni è il miglior risultato nella storia elettorale del partito in Basilicata (dopo la fine del Pdl), oltre il 12,4% delle politiche 2018.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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