2022-11-12
Perché Macron fa il pazzo con l’Italia
Emmanuel Macron (Getty Images)
Problemi di politica interna; voglia di metterci in difficoltà su dossier aperti come Spazio, Ita, Vivendi, Mps; timore di vedersi togliere potere in ambito Ue dal nascente asse Ppe-conservatori che ha in Giorgia Meloni un punto di riferimento. Ecco i veri motivi dei toni isterici.Dallo Spazio alla compagnia di bandiera i dossier economici pesano più dei migranti. La vera patata bollente tra Italia e Francia resta però il caso Vivendi. Sullo sfondo le partite aperte su Monte dei Paschi e BancoBpm.Il padre della République en Marche vede crescere Marine Le Pen ed Eric Zemmour. E incassa la bocciatura de «Le Figaro»: «Dal braccio di ferro con la Meloni esce sconfitto».Lo speciale contiene tre articoli.Il governo Meloni è un problema per Emmanuel Macron? Abbastanza. La reazione scomposta e teatrale sul caso migranti si spiega sicuramente con ragioni interne tutte francesi (un presidente che guida un Paese in affanno economico, in ritardo sull’emergenza energetica, impegnato in una politica industriale ferocemente sovranista e nazionalizzatrice, attaccato da destra e da sinistra), ma proiettando lo sguardo sul piano europeo c’è un altro fattore che rende un esecutivo di centrodestra a trazione Fratelli d’Italia problematico per l’attuale leadership francese. Nel 2024 si terranno le elezioni europee e per la prima volta da tempo potrebbe essere in dubbio la permanenza al potere dei socialisti all’Europarlamento. Ovviamente la condizione perché questo accada è che Ppe ed Ecr (la formazione guidata da Giorgia Meloni e che include Fdi) ottengano un buon risultato e si mostrino in grado di dare le carte nella formazione della futura Commissione.L’ipotesi è ovviamente subordinata alla volontà politica del Ppe (cioè, in sostanza, della Cdu tedesca) di spostarsi verso destra, ma è anche soggetta allo sguardo molto interessato dell’America, soprattutto - come logico - di quella repubblicana. In un frangente storico in cui il vincolo atlantico ha ripreso a stringersi in modo vigoroso (prendendo strade opposte al più evanescente «europeismo»), l’interesse Usa ad avere le istituzioni Ue allineate contro Russia e Cina sta portando a molta più tolleranza verso formazioni fino a poco tempo fa considerate meno presentabili. Il «sogno» europeo degli Stati uniti d’Europa non appassiona quelli d’America, e per questo la prospettiva di un’alleanza Ppe-Ecr dal 2024 è qualcosa di più di una lontana ipotesi.Sono in corso esplorazioni preliminari, ma piuttosto avanzate in tal senso, sull’asse Berlino-Washington: il plenipotenziario per gli affari esteri del Ppe, Udo Zollheis, che ieri ha preparato l’incontro tra lo storico presidente del gruppo, Manfred Weber, e Giorgia Meloni (visita non graditissima al nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani), ha un dialogo aperto con il mondo conservatore americano per preparare il terreno all’accordo Ppe-Ecr. Alla Verità risultano incontri - tenutisi in Italia nelle scorse settimane - con importanti esponenti di think tank d’area repubblicana interessati a tastare il terreno e a cercare garanzie per i loro interessi. Cosa c’entra Macron? Semplicemente, il presidente francese troverebbe sulla sua strada un formidabile rivale nell’occupazione di uno spazio politico sottratto ai socialisti a Strasburgo e Bruxelles. Il suo Renew Europe, cartello europeo che oggi conta 103 seggi e dove finirebbero anche i futuri eletti di Azione e Italia viva, punta ovviamente a dare le carte anche nella prossima Commissione, da una posizione di forza paragonabile al Ppe (che oggi ha 176 seggi). Se però questo ruolo lo prendesse Ecr, il quadro cambierebbe radicalmente. Il governo italiano è, in nuce, un esperimento che va esattamente in questa direzione: Forza Italia appartiene al Ppe, Fdi è peso massimo nel gruppo Ecr.Per i piani di Macron, azzoppare da subito il «caso Italia» avrebbe anche il vantaggio prospettico di indebolire la stessa alleanza sul piano continentale. In soldoni: potrebbe riconquistare la possibilità di scegliersi coi tedeschi il prossimo leader della Commissione Ue dal 2024. Se invece Meloni & C. tenessero botta al governo e incassassero un buon risultato alle Europee, tutto cambierebbe di colpo. Un Ecr ai livelli del Ppe e davanti a Renew Europe vorrebbe dire che l’Italia potrebbe avere voce in capitolo nella scelta del successore di Ursula von der Leyen, con i socialisti fuori dai giochi e Macron in secondo piano. Ovviamente a questa prospettiva lavora con più interesse chi può trarne beneficio, e dunque anzitutto chi può ambire a fare il capo della futura Commissione. Le scadenze sono distanti, ma ai blocchi di partenza si muovono alcuni profili chiari. Roberta Metsola, maltese, diventando presidente del Parlamento europeo a seguito della scomparsa di David Sassoli, ha «sdoganato» ai vertici delle istituzioni proprio l’Ecr, coordinando l’elezione a proprio vice di Roberts Zile: l’economista lettone è infatti il primo membro di Ecr a rompere il «cordone sanitario» teso nel 2019 contro la cosiddetta avanzata populista. La mossa ne farebbe una candidata naturale se l’asse fosse quello Ppe-Ecr. Poi c’è lo stesso Weber, ma proprio il suo essere tedesco rischierebbe di diventare un problema perché lo è anche l’uscente von der Leyen. Molto buone anche le quotazioni del premier greco, Kyriakos Mitsotakis, del partito di centrodestra Nuova democrazia. Sono loro tre, al momento, a giocarsi le probabilità di guidare il governo della Ue, e quindi a studiare da vicino le prospettive dell’alleanza tra popolari e conservatori. Il percorso è lunghissimo e, Italia a parte, farà tappa decisiva in Spagna, dove il prossimo voto nazionale dirà se lo stesso asse si può realizzare tra Partido popular e Vox: ipotesi complessa, ma già sperimentata a livello locale in Castiglia. Messa in quest’ottica, la necessità del premier italiano di mantenere salda l’alleanza con il partito di destra spagnolo (ormai forza stabile del panorama iberico) non è solo dettata da consonanza ideologica, ma da un preciso progetto di respiro europeo. Un progetto in cui è tutto da capire il destino di Forza Italia (oggi unico bastione italiano del Ppe) e della Lega, che rischia di esserne tagliata fuori: non va dimenticato che in Europa il centrodestra è oggi sparpagliato in tre rivoli. Il tempo dirà se questo schema politico ha gambe, se avrà spinta oltre Atlantico e se i pregiudizi sulla Meloni e il suo partito saranno superati nella Cdu e nel Ppe. Di certo, un crollo del governo italiano ne segnerebbero la fine anticipata, per la gioia di Macron. Nelle esagerazioni sceniche della crisi dei migranti va forse inserito anche questo aspetto.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/perche-macron-pazzo-con-italia-2658636888.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tim-ita-edison-e-gli-istituti-bancari-ecco-perche-macron-da-di-matto" data-post-id="2658636888" data-published-at="1668209146" data-use-pagination="False"> Tim, Ita, Edison e gli istituti bancari. Ecco perché Macron dà di matto Spiace doverlo dire, a dispetto di quanto sostenga il Pd, ma il tema immigrati non è certo il fine ultimo della presa di posizione di Emmanuel Macron. Fino a oggi gli investitori francesi e le filiere politiche soprastanti si sono comportati da parte attiva. Le controparti a Roma, invece, quasi sempre si sono limitate a tentare la trattativa con l’obiettivo del minore danno. La domanda di Parigi è: «Quali scelte prenderà l’Italia sui dossier che contano. Sta cambiando qualcosa?». E non ci riferiamo ai dossier Ue ma alle partite della nostra economia. Basti pensare che il prossimo 22 e 23 novembre Adolfo Urso, titolare del Mise con delega allo Spazio, sarà a Parigi per trattare i fondi Esa, l’agenzia spaziale europea. In ballo ci sono 4 miliardi ma soprattutto decisioni strategiche che possono fare la differenza anche per le aziende francesi. Val la pena, inoltre, ricordare che anche il dossier Ita è aperto. Con l’arrivo del nuovo governo, è passato nelle mani del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che ha scelto di non prorogare la trattativa con Certares, in alleanza con Air France-Klm e Delta, che non aveva ancora sciolto i nodi della definizione del piano industriale e dell’individuazione del partner industriale. L’altra cordata invece sposerebbe, con la partecipazione di Msc, i tedeschi di Lufthansa. A breve Edf, da poco nazionalizzata, dovrà vendere la propria partecipazione in Edison. Chi subentrerà? Qualcuno filo francese o il contrario. Non è poco, visto che il tema energetico da mesi ha ulteriormente allontanato i baricentri d’interesse delle due nazioni. Ma la patata bollente continua a chiamarsi Tim, o meglio Vivendi. Da mesi si attende la fusione della rete. Da un lato quella dell’ex monopolista e dall’altro quella di Open Fiber. In mezzo la Cdp, guidata da Dario Scannapieco, azionista di entrambe le società. Sotto (nel senso di azionista di una delle infrastrutture) il fondo Usa Kkr e sopra (nel senso di azionista di riferimento di Tim), appunto, i francesi di Vincent Bolloré. Il nuovo governo, nella figura di Alessio Butti, sottosegretario delegato, ha sollevato perplessità sull’idea di portare avanti il vecchio progetto. La risposta di Tim è stata: nessuno ci ha avvisati. Attendiamo il 30 novembre, data dell’offerta non vincolante da parte della controparte. Cdp, dal canto suo, sembra intenzionata ad andare avanti con il vecchio schema. Il rischio è che Tim chieda una doppia due diligence di Open Fiber che ne evidenzi l’eccessivo debito e la scarsa capacità di generare ricavi. Come a dire: tutto il castello poggia sulle sabbie mobili. Da giorni i quotidiani parlano di un’Opa diretta su Tim. Qui la questione sarebbe il debito della società e il fatto che Cdp potrebbe vedersi tirare le orecchie da Eurostat ai fini del computo del debito pubblico, senza dimenticare che in Commissione Ue pullulano ex uomini legati a Nicolas Sarkozy. La stessa cordata che ha ripreso forza anche all’interno di numerose istituzioni francesi. Da qui, forse, il rinnovato impegno di Bolloré (che prima era caduto in disgrazia verso Macron) nel cercare di avvicinare e contattare gli esponenti di Fratelli d’Italia. La campagna stampa su Andrea Pezzi e la sua Mint (Report pochi giorni fa è andato in onda con una interessante radiografia) avrebbe spinto Arnaud de Puyfontaine a cercare un «consigliori» nella figura di Daniele Ruvinetti. Molto vicino allo stesso Pezzi, Ruvinetti è stato a lungo in Telecom prima di diventare consigliere strategico di società tlc. Vanta conoscenza del mondo libico, è senior advisor della Fondazione Med-Or, presieduta da Marco Minniti. D’ora in avanti toccherà a lui comprendere se c’è spazio per dialogare con Palazzo Chigi e mantenere il ruolo francese nelle nostre tlc predominante. È chiaro che Macron guarda la partita con interesse. Ne va anche del consolidamento europeo dell’intero comparto. Con logiche completamente diverse ma medesima attenzione esattamente il tentativo di ricalibrare i rapporti nel mondo del credito. Le relazioni con i francesi passano, infatti, anche dalle banche. Soprattutto da due: il Monte dei Paschi e il BancoBpm. Con un filo rosso, anzi verde che potrebbe presto unirle. Alla luce di chi ha messo l’«obolo» per l’aumento di capitale da 2,5 miliardi, è cambiato l’azionariato dell’istituto toscano. Il controllo resta in mano allo Stato ma il secondo socio adesso parla francese: Axa, già partner bancassicurativo di Rocca Salimbeni, ha infatti dato il contributo più sostanzioso e anche decisivo investendo 200 milioni e avrà circa l’8% del Monte ricapitalizzato. Segue una pattuglia di fondazioni bancarie che insieme detengono circa il 3%. Un pacchetto simile è in mano a Pimco, del gruppo tedesco Allianz, spuntano poi Algebris al 2% e Ion Group di Andrea Pignataro sempre al 2». Con partecipazioni più piccole ci sono infine Anima (all’1%) e le casse di previdenza come Enpam e Enarcassa che hanno in mano circa l’1,2% a fronte della trentina di milioni versati. E che quindi, insieme alle Fondazioni, possono fare da contrappeso agli assicuratori di Axa. Tamponata per l’ennesima volta la falla di liquidità necessaria al rilancio, l’ad, Luigi Lovaglio, ora deve traghettare il gruppo verso quella «soluzione strutturale» che serve a far uscire lo Stato dal capitale. Insomma, dovrà trovare chi compri la banca o la fonda in un progetto più ampio. Come quello del terzo polo, che potrebbe coinvolgere il BancoBpm e il Credit Agricole, nel ruolo di pivot, che del Banco è già primo azionista dopo il blitz della scorsa primavera. Per ora, gli acquisti si sono fermati sotto al 10%, ma l’approccio potrebbe ricalcare la strategia già portata avanti con il Creval: in quel caso, infatti, all’acquisizione di una quota inferiore al 10% del capitale (nel 2018) era seguito l’annuncio delle volontà di ampliare la partnership commerciale esistente nella bancassicurazione, salvo poi rompere gli indugi nel 2021 con il lancio dell’Opa. In Borsa si tengono d’occhio anche le mosse di Amundi, l’asset manager controllato dall’Agricole che a maggio ha rafforzato la sua partecipazione in Anima (partner di Mps nel risparmio gestito), di cui è socio proprio il BancoBpm. Non solo. Entro fine anno, proprio il Banco guidato da Giuseppe Castagna prevede di chiudere il processo di ricerca di un partner nel ramo danni della bancassicurazione, business per il quale è in corso un derby - tutto francese - tra il Credit Agricole e Axa. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/perche-macron-pazzo-con-italia-2658636888.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="e-in-patria-leliseo-teme-la-destra" data-post-id="2658636888" data-published-at="1668209146" data-use-pagination="False"> E in patria l’Eliseo teme la destra Il presidente francese grida a suocera (Giorgia Meloni) perché nuora (Marine Le Pen) intenda, ma a Parigi e dintorni viene travolto da uno tsunami di critiche. Il problema di Emmanuel Macron - come gli fa notare con un editoriale al vetriolo il condirettore de Le Figaro, Yves Therard, - è che dice una cosa e ne fa un’altra e pare che ai francesi questo non vada giù. Gli unici tifosi l’inquilino dell’Eliseo li ha tra le fila del Pd, che quando si parla d’immigrazione clandestina pare Bobby Solo, ha una lacrima sul viso, dimentico del cosiddetto «sistema Odevaine» e di un certo Salvatore Buzzi. Ma sono appunto pecore nere, mica rosse. Tornando a Macron è molto probabile che anche lui, come Buzzi, sappia che con «i migranti si fanno i soldi» e stia approfittando del caso Ocean Viking per sistemare qualche partita con l’Italia. Si è già dimenticato di aver firmato, meno di un anno fa il patto del Quirinale con Sergio Mattarella per dimostrare, uscita di scena Angela Merkel, che lui era il kingmaker dell’Europa. Mario Draghi disse: «Da oggi Francia e Italia sono più vicine». A maggior ragione arrivare ai porti francesi per le Ong dovrebbe essere agevole. Mattarella però a Maastricht ha ricordato ieri che: «La risposta alla sfida migratoria avrà successo soltanto se sorretta dai criteri di solidarietà all’interno dell’Unione e di coesione nella risposta esterna». Chi si aspettava una squalifica di Giorgia Meloni deve esserci rimasto male, ma il presidente della Repubblica, al contrario di altri, sa che il nostro tricolore è quello con il verde. Di daltonismo soffre invece Macron, che vuole imporci le sue scelte. Minaccia di farci tagliare i fondi europei - forse gli dà fastidio il nostro Pnrr? - dice e si contraddice sui trattati che noi dovremmo rispettare, ma che l’Europa è libera di ignorare come fa anche la commissaria all’immigrazione, Ylva Johansson, per la quale «non è prioritario il dossier migranti». Antonio Tajani, ministro degli Esteri, così ha chiesto di portare già lunedì al Consiglio europeo il dossier migranti. Ma resta la domanda: perché Macron vuole mettere all’angolo l’Italia? In un altro editoriale Le Figaro ha la risposta. Scrive Guillame Tabard: «Emmanuel Macron, primo ad aver incontrato Giorgia Meloni, è anche il primo ad aver ingaggiato un braccio di ferro con lei. E lo ha perso». L’Ocean Viking brucia ai francesi e Macron vuole la rivincita. Teme di dover fronteggiare l’immigrazione in Francia esponendosi alla dura opposizione del Rassemblement national (il partito della Le Pen), è anche aggredito da Eric Zemmour che si è rifatto vivo con accuse durissime all’Eliseo. Spera di cavarsela pagando l’Italia per il disturbo. Lo schema è quello già adottato da Angela Merkel con la Turchia di Receep Erdogan: prendi i soldi e tieniti i clandestini. Gli fa notare Le Figaro: «Sventolando l’obbligo dell’Italia ci si riferisce a un accordo volontario sottoscritto da 21 Paesi un anno fa per la redistribuzione dei clandestini. I Paesi di primo approdo ricevono una compensazione finanziaria, ma se l’Italia non vuole più partecipare all’accordo ha il diritto di farlo. Il braccio di ferro è dunque politico, non giuridico. Peraltro il trattato non stabilisce un diritto di attracco delle navi, solo una ripartizione dei clandestini». Eric Zemmour, che nella campagna delle presidenziali aveva proposto un ministero per i rimpatri, ha detto: «L’arrivo dei migranti è un incubo per noi francesi come per gli italiani. Il problema è Macron, non Roma». Glielo rimprovera Le Figaro con Therard: «Nel 2018 per spiegare il suo rifiuto a far attraccare l’Aquarius con 629 migranti disse che l’umanismo non va confuso con i buoni sentimenti che non hanno futuro aggiungendo: se seguissi la via dei buoni sentimenti farei pendere il Paese verso l’estremismo. Ma ciò che valeva allora», dice Le Figaro all’Eliseo, «vale anche oggi». In un altro passaggio: «Come può Macron accusare di razzismo un deputato lepenista che si è opposto all’arrivo dell’Ocean Vking se una settimana più tardi lui e il ministro dell’Interno, Gerald Darmanin, hanno cercato in tutti i modi di respingere questa nave? Tutto ciò non è né umanità né intransigenza, è solo improvvisazione». Macron ha imposto Darmanin quale ministro dell’Interno per bloccare l’immigrazione e fare una politica di espulsioni per proteggersi dalla Le Pen. Perciò ora deve precisare che l’accoglienza della Ocean Viking è eccezionale. Aggiunge lodando la solidarietà europea che chi ha diritto resterà in Germania (Berlino accoglie 80 migranti) o in Croazia, Romania, Bulgaria, Lituania, Malta, Portogallo, Lussemburgo e Irlanda, ma chi «non potrà ottenere l’asilo ripartirà direttamente verso il Paese di origine». Parigi fa esattamente ciò che chiede Giorgia Meloni. Ha ragione Guillame Tabard, l’analista de Le Figaro: «Non è una crisi franco-italiana, è una crisi europea che dimostra come, dopo la Siria nel 2015, sull’immigrazione l’Unione non ha ancora trovato la pietra filosofale».
L'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri Kaja Kallas (Ansa)
(Ansa)
Il Comando ha ringraziato i colleghi della Questura per il gesto e «la cortesia istituzionale dimostrata in questo tragico momento». A Gorizia invece un giovane di 20 anni ha reso omaggio ai caduti, deponendo un mazzo di fiori davanti all'ingresso della caserma. Il giovane ha spiegato di aver voluto compiere questo gesto per testimoniare gratitudine e rispetto. Negli ultimi giorni, rende noto il Comando isontino, sono giunti numerosi messaggi di cordoglio e attestazioni di affetto da parte di cittadini, associazioni e rappresentanti delle istituzioni.
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