2021-12-03
Le telecamere per imporre le mascherine all’aperto
Il prefetto di Verona propone di ricorrere alle telecamere per individuare chi non indossa la protezione anche all’aperto. A Roma il sindaco Roberto Gualtieri impone l’obbligo della protezione in centro (per ora). Multe fino a 3.000 euro per i trasgressori A forza di invocare l’esercito, anche i sindaci si trasformano in generali. Travolti dalla sindrome da divisa e stellette, convocano tavoli, impartiscono ordini, firmano ordinanze. E nel sovrapporre la loro voce a quella del condottiero Mario Draghi, del colonnello Roberto Speranza, degli attendenti del Cts, degli ausiliari dell’Iss e dei tiratori scelti in virologia che fanno capolino dalle tv, ottengono il risultato di moltiplicare paura e confusione nei cittadini. Classici scenari da Babele natalizia. L’ultimo wargame riguarda le mascherine all’aperto. Poiché l’esecutivo non ha il coraggio di imporle ai 50 milioni di bi o trivaccinati sapendo che la misura è pure ritenuta poco utile da numerosi scienziati, ecco che sono i sindaci a irrigidire il mento e alzare la voce. Spiazzato dal blitz di Giuseppe Sala, arrivato «uno» nell’imporre il rettangolo di stoffa a chi passeggia nelle vie del centro di Milano, Roberto Gualtieri non poteva attendere oltre e pur di accelerare le operazioni si è esposto al paradosso. Ecco l’annuncio: «I contagi sono in aumento, bisogna rafforzare l’uso delle mascherine all’aperto in tutti i luoghi affollati», ha tuonato il sindaco Bellaciao di Roma pensando a via Condotti, piazza di Spagna, via del Corso, piazza del Popolo durante lo shopping di Natale. Dal 6 dicembre sarà così, chi sgarra rischia multe da 400 a 3.000 euro.«Disponiamo l’obbligo in tutte le zone già individuate dalla questura in cui ci sono misure di contingentamento ma anche in tutte le zone in cui ci siano affollamenti e non si possa garantire il distanziamento», ha proseguito il borgomastro. «Chiediamo a tutte le romane e i romani di aiutarci. Se poi vedremo che non ci sarà un risultato adeguato, lavoreremo a un’ordinanza per un obbligo indistinto in tutta la città». Interessante, un riflesso condizionato da colonnello Buttiglione ai tempi di Caporetto: «Se l’artiglieria non decima il nemico con tre giorni di bombardamenti facciamone sei», senza immaginare che il nemico è al coperto nei bunker.Così, se l’uso delle mascherine sarà fallimentare fra centinaia di persone assembrate, si dovrà allargarlo anche agli eremiti. Le mascherine non arginano il contagio? Più mascherine. Non fa una piega. Il risultato visivo è un bimbo che tenta di inserire un tassello quadrato in un foro rotondo, ma a Gualtieri non si può chiedere di più. Il sindaco non è neppure sfiorato dall’idea che la misura possa non funzionare perché sbagliata o inadeguata contro un virus corazzato in laboratorio. Preferisce mettere nel mirino il cittadino italiano, un infingardo che tira a fregare e va punito a prescindere. È il cuore di un problema sociale, non sanitario: la casualità delle strategie e la volontà di gettare l’eventuale disfatta sulle spalle delle truppe, rendono politici e amministratori sempre più simili a maschere grottesche. Se a Roma si minaccia la mascherina obbligatoria anche per i runner di Villa Borghese come un anno e mezzo fa, a Verona scende in campo la tecnologia. Riferendosi in particolare ai no green pass, il prefetto Donato Cafagna sottolinea la necessità di «sanzionare chi non indossa le mascherine all’aperto perché l’obbligo vale anche per loro. Non è necessario farlo nell’immediato, si può farlo anche visionando le immagini delle telecamere che in questi casi filmano le manifestazioni». Un autovelox per pedoni. George Orwell aveva previsto tutto tranne la rassicurazione zuccherina: è a fin di bene. Lo conferma il sindaco Federico Sboarina: «Non è una restrizione, ma un modo per evitare ulteriori restrizioni». Facendo i bravi «per evitare il peggio», pur con il 90% dei vaccinati e le terapie intensive all’8%, siamo tornati sulla soglia del lockdown.Niente riesce a fermare la psicosi galoppante dei generali. In prima linea ci sono i sindaci del Pd, rappresentati da Matteo Ricci (Pesaro) che incalza Palazzo Chigi auspicando «un provvedimento nazionale». Il bolognese Matteo Lepore chiede al governo di «estendere l’obbligo di mascherine all’aperto». Tutti all’offensiva con la baionetta in canna fra la via Emilia e il West. Il polverone è totale e per diradarlo serve una dichiarazione del sottosegretario alla Salute, Andrea Costa: «La norma esiste già. In caso di assembramento all’aperto c’è l’obbligo di indossare le mascherine. Lo facciano rispettare». Per completare il corto circuito basta accendere la tv e sentire l’infettivologo Matteo Bassetti mentre scandisce: «L’obbligo di mascherina per tutti è una cosa anacronistica, l’atteggiamento di chi è forte con i deboli e debole con i forti. Non abbiamo controllato chi aveva un green pass prestato; adesso se uno va a farsi una passeggiata e trova il poliziotto rigido, prende una stangata da 3.000 euro. Una vessazione».La gente se n’è accorta. È prudente, ligia al dovere, ma non è sprovveduta. Il quotidiano La Nazione ha aperto ai lettori la discussione sul tema e ha dovuto registrare anche queste opinioni: «Le mascherine all’aperto sono un’inutile tortura. Allora che senso ha vaccinarsi?». «Sono provvedimenti fuori da ogni trattato, non ci dovrebbero essere questi abusi». «Non dobbiamo chiederci se i controlli sono sufficienti ma dire che sono inesistenti». Sui generali (da operetta) cominciano a piovere pietre.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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