2022-05-21
Ci mettiamo in mano a sei dittatori
Recep Tayyip Erdogan (Getty images)
Nell’ansia di accerchiare la Russia, i governanti di Europa e America corrono a baciare la pantofola a tipini come Erdogan, Bin Salman, Maduro, Díaz-Canel, gli emiri del Qatar e gli ayatollah iraniani. Di questo passo riabiliteranno anche i talebani. Per liberarci di un dittatore ce ne facciamo andar bene altri sei. Sì, anche se pare incredibile, allo scopo di fare la guerra a Putin, l’America e l’Europa hanno scelto di fare la pace con alcuni tipini fini che prima consideravano la feccia dell’umanità, e ad alcuni dei quali, per un certo numero di anni, avevano imposto sanzioni varie. Ricordate per esempio le frasi di Mario Draghi su Recep Tayyip Erdogan, presidente di quella Turchia che mette in galera gli oppositori e i giornalisti troppo indipendenti? Il sultano di Ankara aveva appena accolto Ursula von der Leyen lasciandola in piedi per poi relegarla su un divanetto distante mentre lui e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, discutevano amabilmente dei rapporti politici e commerciali. Interpellato a proposito di quello che la stampa etichettò come il sofà-gate, cioè lo scandalo dell’ottomana, il capo del governo replicò senza mezzi termini, definendo Erdogan un dittatore. Sulle relazioni fra il nostro Paese e la Turchia, da quel giorno è calato il gelo, anche perché la replica alle parole del nostro presidente del Consiglio non si fece attendere. «Le dichiarazioni del primo ministro italiano sono di una totale indecenza e maleducazione», sentenziò dopo pochi giorni lo stesso sultano, il quale poi aggiunse che l’attacco del premier italiano aveva «colpito come un’ascia le relazioni fra Roma e Ankara». Una frattura mai ricomposta, che però adesso potrebbe essere appianata con il viaggio in programma a luglio, quando lo stesso Draghi si recherà in Turchia, presumibilmente per baciare la pantofola a Erdogan. Del resto, con la guerra alle porte di casa e i carri armati di Putin che lentamente avanzano in Donbass, anche il dittatore del Bosforo può essere riabilitato. Senza il suo sì, la premier finlandese che lo stesso Draghi ha accolto con calore nella Capitale, non vedrebbe coronato il sogno di far entrare il suo Paese nella Nato. I negoziati, che riguardano anche la Svezia, potrebbero arenarsi sulla pretesa di Erdogan di vedersi consegnare una trentina di rifugiati politici che lui considera criminali e che vorrebbe volentieri far marcire in una delle sue prigioni. E poi la Turchia è fondamentale per stoppare le operazioni militari nel mar Nero, là dove dominano le navi russe, che impediscono a quelle ucraine di uscire dai porti. Dunque, a Draghi e all’Europa nel suo insieme tocca baciare il rospo che fino a ieri schifavano.E che dire di Joe Biden che è costretto a supplicare un incontro con Mohammed bin Salman, il principe saudita noto per la triste fine di Jamal Khashoggi, il giornalista letteralmente fatto a pezzi nell’ambasciata di Ankara dove era stato attirato con l’inganno? Fino a qualche tempo fa, l’erede della dinastia Al Saudi era considerato un reietto, anche perché gli Stati Uniti non avevano più bisogno del petrolio, ma ora che c’è la guerra, l’America vorrebbe che l’Arabia alzasse la produzione di oro nero, per rendere meno indispensabile quello russo, e finora Mbs, questo il suo soprannome, ricordando com’è stato trattato dopo il delitto Khashoggi, ha risposto picche. Anzi, non ha proprio risposto, rifiutando le telefonate della Casa Bianca. Dunque, a Biden tocca recarsi a Riad per genuflettersi di fronte a un dittatore, perché questo può rivelarsi utile contro lo zar del Cremlino. Improvvisamente, gli Usa hanno deciso di riabilitare anche altri due despoti fino a ieri trattati da appestati, ossia Nicolas Maduro e Miguel Díaz-Canel, il primo padre padrone del Venezuela e il secondo erede di Fidel Castro. Caracas e L’Avana erano considerate capitali di feroci dittature e per questo colpite da sanzioni di Washington. Ma siccome urge isolare la Russia e colpirla nei suoi interessi economici, anche il petrolio venezuelano può servire, così come le buone relazioni con uno degli storici alleati di Mosca.Insomma, la guerra in Ucraina e contro Putin rimette in moto equilibri geopolitici che sembravano immutabili. Tanto per dire, sempre gli Usa hanno ricominciato a parlare con l’Iran, puntando a spostare verso Occidente anche Teheran, probabilmente con la promessa di togliere l’embargo sui prodotti petroliferi. Infine, Olaf Scholz, cancelliere tedesco in preda a una crisi di panico per le pressioni sulla Germania perché rinunci al gas russo, ha raggiunto in fretta e furia Doha per cercare di convincere la dinastia Al Thani a vendere a Berlino qualche miliardo di metri cubi di gas. Ovviamente nessuno dei nuovi amici di America ed Europa passa per essere rispettoso dei diritti umani. Il Qatar, dove nel prossimo inverno si giocheranno i Mondiali di calcio, è da mesi nel mirino delle organizzazioni umanitarie. Però, se c’è da battere Putin, l’Occidente è disposto a chiudere un occhio e probabilmente tutti e due. Di questo passo, vedremo presto Ursula von der Leyen e Joe Biden andare a braccetto con ciccio Kim Jong-un, il sanguinario dittatore nord-coreano e, se questo è l’andazzo, prima o poi perfino i talebani potrebbero venire rivalutati. In fondo, che hanno fatto di male oltre che mettere il burqa alle donne? Mica hanno invaso l’Ucraina!
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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Lo ha detto il vicepresidente esecutivo della Commissione europea per la Coesione e le Riforme Raffaele Fitto, a margine della conferenza stampa sul Transport Package, riguardo al piano di rinnovamento dei collegamenti ad alta velocità nell'Unione Europea.