2020-03-27
Per ora niente Mes malgrado Conte. Che finge di vincere dopo aver fallito
Ursula von del Leyen (Ansa)
Incredibile: salta la mediazione con i fondi Bei, poi Giuseppi rifiuta di firmare e dà «10 giorni all'Ue per battere un colpo».Il fronte non si è saldato e al di là delle dichiarazioni di facciata, l'Italia resta schiacciata in un angolo. E il fatto che per ora il nostro Paese (nonostante gli errori politici del premier Giuseppe Conte) abbia evitato il Mes, il Fondo salva Stati non deve illuderci che in fondo al tunnel possa vedersi già una luce. A inizio settimana, gli sherpa dei diversi ministeri dell'Economia avevano studiato una bozza di intervento a sostegno delle economie spezzate dal coronavirus.Una cifra intorno ai 25 miliardi sarebbe stata prelevata dal Mes in questione e girata alla Bei, Banca europea per gli investimenti con l'obiettivo di mettere a leva gli investimenti e le erogazioni ai singoli Stati. A quel punto Germania, Olanda e Austria hanno fatto muro. In sostanza la risposta è stata che il Mes non si smonta e il suo utilizzo prevede tutte le condizionalità contrattuali. In sostanza, chi chiede i soldi li restituirà cedendo anche sovranità politica e fiscale. La trattativa è così andata avanti e l'articolo dell'ex governatore della Bce, Mario Draghi, pubblicato mercoledì sera sul Financial Times ha sbloccato alcuni equilibri e soprattutto ha permesso ad Angela Merkel di convincere i propri falchi a partecipare a un nuovo tavolo. Ieri il modello Bei è cambiato. L'ipotesi dei 25 miliardi per avviare le emissioni obbligazionarie è stata modificata. In pratica, i Paesi membri avrebbero dovuto partecipare pro quote con garanzie. Non soldi veri. Tanto però sarebbe bastato alla Bei per scatenare una leva da 240 miliardi di euro, garantendo nelle prossime settimane emissioni ulteriori. L'ipotesi discussa tutta la mattina di ieri è scaturita anche dalla forzatura di nove Paesi.Oltre all'Italia, pure Francia, Spagna, Belgio, Lussemburgo, Grecia, Irlanda Portogallo e Slovenia hanno preso carta e penna per chiedere l'emissione di un coronabond o recovery bond garantito, tramite un veicolo istituzionale europeo, solo dal gruppo ristretto dei nove. La proposta, se approvata, avrebbe finito con lo spaccare l'unità dell'euro. Agli occhi degli investitori e acquirenti dei titoli di debito avrebbe significato ammettere l'esistenza di due Europe e quindi di due monete. Facile comprendere la distruzione che ne sarebbe derivata, anche per Berlino e il fronte del Nord. Così l'intervento di Draghi e la lettera dei nove hanno rimesso sul tavolo un ruolo attivo della Bei. Purtroppo la sottoscrizione dei 25 miliardi di garanzie congiunte sembra non essere passata all'unanimità. La Francia ha cercato di mandare avanti il nostro Paese. Ma Conte non è riuscito a concludere. Per fortuna, unica consolazione, la frattura ha anche accantonato l'uso del Mes proprio come lo chiedeva il premier italiano. D'altro canto, il tentativo della Merkel di essere la più filo mediterranea del Nord non ha portato risultati. E così le dichiarazioni del presidente del Parlamento, David Sassoli, sono durate l'arco di un respiro. «La crisi sanitaria non deve sfociare in una crisi finanziaria, economica, sociale e politica. L'urgenza, la natura esterna e simmetrica della crisi impongono di pensare a uno strumento di medio e lungo periodo per rilanciare l'economia europea e proteggere l'occupazione e il nostro modello sociale», ha detto mentre il Consiglio era in corso, aggiungendo che «è importante che si lavori a una opzione per aumento di capitale della Bei, a sostegno soprattutto delle pmi». Pochi minuti dopo era prevista la conferenza stampa congiunta tra Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue e Charles Michel, presidente del Consiglio. Male informato, Sassoli si è rimangiato le dichiarazioni e - come milioni di cittadini europei - ha assistito al continuo slittare della conferenza stampa. Nel frattempo Conte ha diffuso una dichiarazione quasi incomprensibile, forse da considerare un tentativo di restare ancora per un po' sulla poltrona più alta di Palazzo Chigi. Invece di tirare dritto nella mediazione a favore delle nostre casse ha pensato bene di dare un ultimatum: dieci giorni ai colleghi europei per trovare una soluzione, altrimenti l'Italia farà da sola. Negando addirittura che ci siano Paesi con l'obiettivo di mutualizzare il debito. Esattamente il contrario di quanto va chiesto in un momento di economia di guerra. «Come si può pensare che siano adeguati a questo shock simmetrico di così devastante impatto strumenti elaborati in passato, che sono stati costruiti per intervenire in caso di shock asimmetrici con riguardo a tensioni finanziarie riguardanti singoli Paesi?», si chiede il premier. E ce lo chiediamo anche noi, visto che fino a due giorni fa chiedeva apertis verbis l'applicazione del Mes. Ma il paradosso più stridente è che arriva pure a minacciare l'Ue che se non ci daranno aiuto faremo da soli. Come? Ieri il Tesoro ha annunciato la più grande asta di Btp e Cct (8,5 miliardi) dell'anno. Potrebbe essere una strada ma comunque avrebbe bisogno di un altro pilastro come la Bei. Solo che la risposta non c'è in fondo al comunicato. E purtroppo non c'è nemmeno sul tavolo di Palazzo Chigi. Cercare di spacciare un fallimento per un punto di forza non è una strategia, ma un tentativo disperato di fingersi un leader che non si è. Bisognerebbe prenderne atto. Sperando che qualcuno al posto suo tratti a Bruxelles per conto nostro seguendo le linee guida dettate da Draghi. Siamo entrati in guerra e ci si comporta di conseguenza.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)