
Roberto Gualtieri sbandiera il nuovo sussidio, ma la Nadef lo smentisce: prima serve la riforma fiscale. Bene che vada, passerà un anno.La nota di aggiornamento al Def è pronta per andare in Aula oggi nella medesima seduta in cui il Parlamento sarà chiamato a votare l'ulteriore scostamento di bilancio. Vedremo se le stampelle (Forza Italia) basteranno alla maggioranza oppure se il governo andrà sotto. Nelle ultime ore 5 stelle, Italia viva e Pd si sono stretti attorno al realismo. Cioè alla necessità di avviare l'iter della manovra timbrando una Nadef che al momento resta vuota. Sarà riempita, sempre che avvenga, a seguito dell'esito della valutazione Ue sul Recovery plan. Tutti sanno che ci vorrà molto tempo e l'esito quantitativo sarà incerto, nonostante al momento il governo abbia stimato per il 2021 l'arrivo di 14 miliardi provenienti dallo schema Recovery fund. Nel frattempo la politica deve tirare a campare. Il clima di tensione e paura scaturito dalla gestione dei Dpcm anti Covid aiuta a far dimenticare i problemi economici. O meglio paradossalmente spinge a rimuoverli. Aiuta anche a promettere agli elettori cose irrealizzabili nei tempi dichiarati. I giallorossi fanno dell'assistenzialismo il loro cavallo di battaglia. Basti pensare che nel 2020 sono stati stanziati oltre 26 miliardi per la cassaintegrazione e circa 12 per le diverse tipologie di bonus. Motivo per cui ieri il governo a reti quasi unificate ha confermato l'avvio dell'assegno familiare unico. Un maxi bonus fino a 240 euro al mese (in base all'Isee) in grado di accompagnare il percorso del figlio o della figlia dal settimo mese di gravidanza fino ai 21 anni di età. Il bonus raggrupperebbe le attuali detrazioni Irpef, bonus bebè, premio nascita e incentivi fiscali alle aziende a cui andrebbe ad aggiungere una maggiorazione d'importo per un totale di spesa di quasi 26 miliardi di euro. Ne mancano più di 10, che nella Nadef non sono indicati. Sperare che arrivino dal Recovery fund è una follia insostenibile, tant'è che la realtà va a smentire le promesse che ieri hanno fatto Roberto Gualtieri ed Elena Bonetti. Il testo della Nadef al vaglio dell'Aula è molto chiaro. L'assegno unico partirà contestualmente alla riforma fiscale dalla quale trarrà a una parte dei fondi. L'obiettivo è tagliare tax expenditures (penalizzando le aziende) che sono agevolazioni fiscali e da lì trarre budget per avviare la ridistribuzione dei fondi per le famiglie. E la riorganizzazione al tempo stesso delle aliquote e delle formulazioni di prelievo per le partite Iva.Una serie di tasselli incastrati fra di loro che solo una volta messi al posto giusto potranno rendere operativa la riforma fiscale. Non a caso Gualtieri la scorsa settimana si è fatto scappare che non partirà prima del gennaio 2022. La Nadef di conseguenza chiarisce che l'assegno unico non potrà partire prima del 2022. D'altronde basta prendere il calendario e fare due conti. Ieri è stata incardinata al Senato dopo aver fatto un passaggio alla Camera la legge delega sull'assegno unico. Fino a gennaio il Senato non potrà occuparsene fattivamente, ingolfato dall'agenda già definita e poi dalla manovra. Significa che anche procedendo veloci la legge delega non sarà recepita prima di giugno. A quel punto il governo la farà sua e dovrà poi emettere i cosiddetti decreti delegati. Immaginando che si lavori anche d'estate, i testi del governo non saranno pronti prima di ottobre e a quel punto seguirà un passaggio formale alle due Camere. Risultato? Ecco che l'assegno unico sarà pronto per il 2022, come d'altronde la Nadef scrive in ben due paragrafi. Eppure ieri Gualtieri ha spiegato che grazie alla prossima manovra «ci sarà a regime per 12 mesi la riduzione sostanziale dell'Irpef, attraverso l'estensione annuale del taglio del cuneo, che quest'anno è partita a luglio, e ci sarà la fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno: sono due elementi aggiuntivi che determineranno la riduzione delle tasse», ha detto in Parlamento sottolineando che il governo intende realizzare «un'ampia riforma fiscale nel triennio che sarà introdotta con una legge delega che si legherà all'altra riforma» che si conta di «adottare già dal 2021: la legge delega che riguarda l'assegno unico universale per i figli». Stesso entusiasmo da parte del ministro per la Famiglia, Elena Bonetti: «Dopo l'approvazione unanime alla Camera a luglio, oggi l'assegno unico e universale per tutti i figli viene incardinato al Senato. È un altro passo importante, che viviamo con fiducia perché possiamo presto consegnare alle famiglie uno strumento importante per guardare al futuro e costruirlo potendo contare su basi di certezza». Si sono subito accodati i 5 stelle, i quali hanno ribadito l'importanza del sostegno alla famiglia e alla genitorialità. Peccato che come sempre più spesso accade le dichiarazioni si sgancino non solo dalla realtà dei numeri, ma anche dai testi che lo stesso governo approva. Perché dichiarare contro ogni prassi parlamentare (tutti conoscono l'effettiva durata dell'iter di una legge delega) che l'assegno unico sarà pronto fra pochi mesi e non scriverlo nero su bianco nel documento ufficiale che lo stesso Parlamento oggi è tenuto a votare vincolando il governo a mantenere l'impegno? La domanda è retorica e la risposta sbucherà prima di Natale quando la Ragioneria dello Stato tirerà le fila delle coperture finanziarie.
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Pure la Francia fustiga l’ostinazione green di Bruxelles: il ministro Barbut, al Consiglio europeo sull’ambiente, ha detto che il taglio delle emissioni in Ue «non porta nulla». In Uk sono alle prese con le ambulanze «alla spina»: costate un salasso, sono inefficienti.
Con la Cop 30 in partenza domani in Brasile, pare che alcuni Paesi europei si stiano svegliando dall’illusione green, realizzando che l’ambizioso taglio delle emissioni in Europa non avrà alcun impatto rilevante sullo stato di salute del pianeta visto che il resto del mondo continua a inquinare. Ciò emerge dalle oltre 24 ore di trattative a Bruxelles per accordarsi sui target dell’Ue per il clima, con alcune dichiarazioni che parlano chiaro.
Ranieri Guerra (Imagoeconomica). Nel riquadro, Cristiana Salvi
Nelle carte di Zambon alla Procura gli scambi di opinioni tra i funzionari Cristiana Salvi e Ranieri Guerra: «Mitighiamo le critiche, Roma deve rifinanziare il nostro centro a Venezia e non vogliamo contrattacchi».
Un rapporto tecnico, destinato a spiegare al mondo come l’Italia aveva reagito alla pandemia da Covid 19, si è trasformato in un dossier da riscrivere per «mitigare le parti più problematiche». Le correzioni da apportare misurano la distanza tra ciò che l’Organizzazione mondiale della sanità dovrebbe essere e ciò che era diventata: un organismo che, di fronte a una crisi globale, ha scelto la prudenza diplomatica invece della verità. A leggere i documenti depositati alla Procura di Bergamo da Francesco Zambon, funzionario senior per le emergenze sanitarie dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms, il confine tra verità scientifica e volontà politica è stato superato.
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L’annuncio per un’abitazione a Roma. La padrona di casa: «Non dovete polemizzare».
La teoria di origine statunitense della «discriminazione positiva» ha almeno questo di buono: è chiara e limpida nei suoi intenti non egualitari, un po’ come le quote rosa o il bagno (solo) per trans. Ma se non si fa attenzione, ci vuole un attimo affinché la presunta e buonista «inclusione» si trasformi in una clava che esclude e mortifica qualcuno di «meno gradito».
Su Facebook, la piattaforma di Mark Zuckerberg che ha fatto dell’inclusività uno dei principali «valori della community», è appena apparso un post che rappresenta al meglio l’ipocrisia in salsa arcobaleno.






