2021-03-09
Cig e ristori, Conte si è tenuto 7 miliardi
Giuseppe Conte (Getty images)
Il decreto non arriverà in Cdm fino a venerdì per le divergenze tra partiti e perché il governo vuole recuperare almeno 7 miliardi stanziati nel 2020 ma non distribuiti. L'alternativa è chiedere ad aprile altro extra deficitL'ex ministro consulente economico del Mise sui vaccini. Alessandra Dal Verme, ex ispettore del Mef, in lizza per l'agenziaLo speciale contiene due articoliIl decreto Sostegno sarebbe dovuto essere pronto ieri. Invece, non andrà in Consiglio dei ministri prima di venerdì. Al di là delle tensioni tra partiti, il ritardo è legato al budget. Il governo ha capito che serviranno almeno 10 miliardi in più rispetto ai 32 già approvati in extra deficit dal Parlamento. Qualcuno però al Mef si è accorto che il Conte bis ha sbagliato i conti. I fondi stanziati per la cassa integrazione 2020 e per i decreti Ristori (ne sono stati partoriti quattro) non sono stati spesi. O meglio ne sono stati spesi meno di quelli approvati. Obiettivo del governo è capire quanto sia stato l'effettivo tiraggio dei fondi e se veramente ci sia una minore spesa di 7 miliardi. A quel punto la cosa migliore sarebbe dirottarli immediatamente all'interno del dl Sostegno portando la capacità di spesa più vicina ai 40 miliardi. Senza, al contrario, trovarsi nella situazione di mandare in Parlamento il testo salvo poi chiedere un nuovo scostamento nel mese di aprile. Speriamo che rifatti i conti Mario Draghi riesca a spendere più soldi. Ciò non giustifica lo sbaglio del precedente governo. Errare è umano, perseverare è diabolico. Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri erano stati avvertiti per la prima volta lo scorso luglio dall'ufficio parlamentare di bilancio. Era proprio necessario mettere sugli ammortizzatori sociali una così imponente somma di denaro? La risposta di Giuseppe Pisauro fu no. «Parlando delle misure messe in campo dal governo a sostegno del lavoro, il ricorso alle casse integrazioni Covid potrebbe risultare in qualche misura inferiore alle attese in termini di beneficiari, di durata e di tiraggio, generando pertanto risparmi di spesa rispetto a quanto stimato ufficialmente», ha spiegato il presidente dell'Upb, «Nel trimestre marzo-maggio le integrazioni sono state utilizzare per poco più di 1,1 miliardi di ore, con un picco ad aprile per oltre 590 milioni di ore e un forte rallentamento nei mesi successivi». Il messaggio del Parlamento non è andato a buon fine. Anche dopo l'estate c'è stato un secondo alert. Sempre sulla cassa integrazione. Il meglio di sé il Conte bis l'ha però dato sui decreti Ristori. Basti pensare che i 2 miliardi circa per la cassa integrazione finiti nel primo decreto il 29 ottobre scorso e destinati a coprire il periodo che va da metà novembre a fine gennaio facevano parte degli stessi stanziamenti erogati dai decreti Cura Italia, Rilancio e Agosto. Solo che si trattava della fetta non spesa. Stesso discorso per i 2,4 miliardi erogati a fondo perduto ai codici Ateco obbligati a chiudere alle 18 dal dpcm del 24 ottobre. Pure questi soldi arrivavano da fondi non spesi nei mesi e nelle settimane precedenti. Avevamo già spiegato che non si trattava della magia del ministro Roberto Gualtieri ma dell'uso di un cavillo che si è fatto approvare lo scorso giugno. Con il decreto 52, il ministro assumeva la possibilità di verificare in tempo reale il tiraggio (l'andamento della spesa) delle diverse misure approvate nei decreti d'urgenza e decidere in autonomia di riallocare il denaro non speso in nuovi fondi legati a successivi decreti. Il giochetto delle tre carte si è ripetuto anche per i successivi decreti Ristori. Adesso al Mef tocca fare i conti e anche da qui la necessità di prendersi giorni in più. Certo agli imprenditori obbligati a chiudere e di nuovo posti in lockdown attendere non fa certo piacere. Ancor meno non aver incassato i soldi a loro destinati. Perché peggio che sprecare il denaro pubblico c'è solo stanziarlo e non saperlo spendere. In tempo di pandemia la liquidità è fondamentale per non far inceppare la macchina economica. L'ha detto bene l'altro ieri il presidente americano Joe Biden soddisfatto di aver ricevuto dal Senato l'ok al piano da 1.900 miliardi di dollari. Nel frattempo da noi, al di là della terribile eredità di Conte, attorno al dl Sostegno restano ancora frizioni politiche. Leu, 5 stelle e una parte del Pd vogliono a tutti i costi il prolungamento del divieto di licenziamento. Convinti così di poter drogare il mercato del lavoro. Poi sarà peggio, ma almeno gli elettori di sinistra si sentono rassicurati. La linea suggerita da Confindustria (dare la possibilità alle aziende di specifici settori di aprire a ristrutturazioni) sembra accolta dalla Lega e da Forza Italia. Draghi potrebbe propendere per la seconda idea. Forse anche per questo ha messo sul piatto del reddito di cittadinanza un altro miliardo e 200 milioni per due mensilità (febbraio e marzo) di reddito d'emergenza. Un modo per compensare? Il problema è che servirebbero politiche attive. A meno che il governo pensi di far ripartire l'economia in pochi mesi con nuove assunzioni legate al Recovery plan. I soldi mal spesi da Conte potrebbero essere messi sul piatto delle partite Iva. Speriamo che almeno filino lisci la rottamazione delle cartelle e l'avvio di un vero condono fiscale. L'unica possibilità per tirare una linea secca e organizzare una riforma delle imposte. Quando si è presentato all'Aula con il discorso di fiducia Draghi ha citato la riforma Vanoni degli anni Cinquanta. Magari potesse ripetersi in Italia un evento come quello. Riuscì a coinvolgere le parti sociali e ad avviare un nuovo modello di Erario inclusivo. Negli ultimi decenni le tasse sono state imposte sempre tramite decreti sbriciolati e a volte semplicemente con circolari delle agenzie. Comunque sempre scelte piovute dall'alto.