2020-11-02
Per i migranti le regole Covid non valgono
Disorganizzazione, promiscuità, fughe: gli agenti sanno che metà di chi sbarca sparisce appena 24 ore dopo l'arrivo nei centri di accoglienza. E sospettano che lo svuotamento sia tollerato perché il sistema non collassi.Il segretario del sindacato di polizia Mosap Fabio Conestà: «Vogliamo regole certe e uguali per tutti, oggi non è così. Le precauzioni sono insufficienti. Abbiamo chiesto al governo di fare i tamponi ma non ci ha risposto».Lo speciale contiene due articoli.Tra le forze di polizia che presidiano i centri di accoglienza, girano numeri ben precisi: «Quando collochiamo 10 persone nelle strutture, sappiamo già che nel giro di 24 ore ne sparirà la metà. Il giorno successivo ne andranno via altri 2. Otto su 10 finiscono chissà dove. Chi resta, vìola le regole di isolamento e scappa via ugualmente, noi li rincorriamo come dei pagliacci». Non lo dicono apertamente, ma il cuore della questione è lì, sullo sfondo: il sospetto è che le fughe siano in qualche modo «agevolate», tollerate affinché il sistema non collassi sotto al peso continui degli sbarchi. Negli ultimi giorni, gli arrivi sulle nostre coste hanno superato quota 27.000, i numeri sono pressoché triplicati rispetto allo scorso anno. Lampedusa prima, ora anche la Calabria. Sulle coste joniche, dai 5 sbarchi di settembre si è arrivati ai 15 di ottobre. Cinque giorni fa, a Roccella Jonica sono arrivati in 76. Intercettati su una barca a vela al largo di Camini, nella Locride, sono stati trainati in porto. Più della metà sono risultati poi positivi al Covid. «Le nostre coste restano senza dubbio il ventre molle dell'Europa», spiegano alla Verità esponenti delle sigle sindacali della polizia. «Di fronte agli annunci, alle sanatorie, all'indebolimento delle regole, è inevitabile che le partenze aumentino». Eppure, l'invito è a rivolgere lo sguardo verso qualcosa di meno visibile, ma altrettanto pressante: «Di fronte alle barche piene, non possiamo far finta di niente. Ma più su, al confine con la Slovenia, i numeri sono almeno il doppio: tutte le sere, attraverso i valichi campestri, il via vai è senza sosta. Di questo, tuttavia, si parla solo in rare occasioni». Nella sola giornata di sabato, la polizia di frontiera di Trieste ha intercettato un furgone con 17 pakistani irregolari a bordo e fermato 6 migranti irregolari stipati nel bagagliaio di un'auto. Di fronte alla crescita dei numeri, l'attività di sorveglianza si complica, «i controlli rigorosi» promessi dal ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, finiscono per essere elusi, soprattutto nei centri più affollati. A Bari, per esempio, le fughe non sono più una novità. I migranti lasciano il Cara scavalcando le recinzioni, con buona pace delle disposizioni imposte all'interno della struttura dopo i primi casi di positività riscontrati. Come si legge in un'interrogazione parlamentare presentata dai senatori renziani Valeria Sudano e Leonardo Grimani, «episodi del genere destano la profonda preoccupazione dei cittadini residenti intorno ai centri di accoglienza, che, nel contesto di una pandemia mondiale, si sentono maggiormente a repentaglio dal punto di vista sanitario». Per il Cara di Bari sarebbe passato anche Brahim Aoussaoiu, il killer che a Nizza ha ucciso 3 persone nella cattedrale di Notre-Dame. Dopo l'arrivo a Lampedusa e il periodo di quarantena a bordo della nave Rhapsody, Aoussaoiu è stato trasferito a Bari, con l'ordine di lasciare l'Italia entro 7 giorni. «Qualsiasi migrante conosce bene come funzionano i fogli di via», raccontano ancora da ambienti sindacali della polizia. «In questo periodo di emergenza sanitaria», spiegano, «si tratta di un attentato sanitario mascherato da intimazione all'espulsione: 7 giorni di pacchia in cui ognuno è libero di andare dove vuole. E alla scadenza, arriva il rinnovo». Ogni giorno lo stesso copione, l'ordine che parte dalle questure è sempre lo stesso: «Entro 7 giorni dalla notifica, i migranti saranno trasferiti a scaglioni presso le stazioni ferroviarie onde consentire loro di raggiungere più agevolmente la più vicina frontiera marittima o aerea da dove potersi imbarcare per rientrare nel paese di origine». Questa frase gli agenti la conoscono bene, molti di loro parlano apertamente di sceneggiata: «Come possono credere che chi ha rischiato la vita attraversando il Mediterraneo si lasci convincere da una intimazione del genere? Ci vuole un certo coraggio anche solo a scriverle certe parole. Noi tutti sappiamo benissimo dove andranno e cosa faranno, qual è la fine di questa parabola». Altri, invece, la fine della parabola la vedono meno nitida, oppure preferiscono guardare altrove per non vederla affatto.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/per-i-migranti-le-regole-covid-non-valgono-2648578397.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dovremmo-garantire-la-sicurezza-ma-nessuno-dice-come-fare" data-post-id="2648578397" data-published-at="1604263198" data-use-pagination="False"> «Dovremmo garantire la sicurezza ma nessuno dice come fare» Fabio Conestà «I numeri parlano chiaro: la scarsa organizzazione nella gestione dell'emergenza migratoria ci sovraespone al rischio contagio». Quando spiega le condizioni nelle quali le forze dell'ordine sono costrette a operare, Fabio Conestà, segretario generale del Movimento sindacale autonomo di polizia (Mosap), fatica a contenere la preoccupazione. Le regole, per chi dovrebbe tutelare la sicurezza dei cittadini, non sono chiare. Chi dovrebbe intervenire sui protocolli sembra voltare il capo. Tra le forze di sicurezza serpeggiano disagio e demotivazione. Segretario Conestà, a più riprese avete chiesto una maggiore chiarezza sulle regole di ingaggio. Che cosa manca? «Pretendiamo disposizioni certe e uguali per tutti. La mancanza di chiarezza complica i nostri interventi, ci mette in grave difficoltà rispetto alle situazioni che ci troviamo ad affrontare». Ci faccia un esempio. «Come dobbiamo comportarci con un potenziale positivo? Quando vigiliamo fuori dai centri di accoglienza, non sappiamo quali protocolli applicare. Sono luoghi dove si vive una promiscuità: la probabilità di finire contagiati è alta». Dall'inizio dell'emergenza, secondo il Dipartimento di pubblica sicurezza, risultano positivi 1.600 poliziotti, 493 solo nell'ultimo mese. «Se non ci sono sufficienti misure precauzionali, si rischia. Se non vengono definite le modalità di intervento, ognuno si arrangia come può. È già successo e continuerà ad accadere di fronte alle continue fughe dai centri». Molte fughe avvengono in violazione dell'isolamento fiduciario o addirittura della quarantena. «Noi dovremmo fermare i migranti che scappano, ma con quali modalità? Non lo sappiamo, i protocolli di sicurezza non lo esplicitano. Di fronte alle nostre richieste, non sono mai stati presi provvedimenti. Così viene messa a repentaglio la salute nostra e quella delle nostre famiglie». Che tipo di misure avete chiesto? «Innanzitutto, i tamponi. Ci viene chiesto di effettuare i rimpatri, ma nessuno di noi sa chi si trova di fronte. Non sappiamo se i rimpatriati siano contagiosi o meno, nessuno verifica le loro condizioni di salute, se non dopo il volo». Un centinaio di agenti sono finiti in isolamento dopo che è stata accertata la positività di un tunisino rimpatriato con un volo partito da Gorizia. «Per questo abbiamo avanzato una proposta, che ci sembra di buon senso: tampone entro le 48 ore precedenti alla partenza». Qual è stata la risposta? «Non c'è stata alcuna risposta. Malgrado la nostra segnalazione, continuano a fare i tamponi nelle stesse modalità. Abbiamo provato anche a chiedere i test rapidi in alternativa, ma anche questo non è stato fatto. Evidentemente, quanto accaduto non è sufficiente per stimolare un provvedimento specifico». Ritiene che ci sia una scarsa tutela nei vostri confronti da parte di chi ha in mano la gestione del sistema? «Le cose non funzionano come dovrebbero. Il governo dovrebbe darci gli strumenti, la forza e le tutele per adempiere a pieno al nostro compito, in maniera rigorosa e protetta. Chi ha il dovere di prendere le decisioni dovrebbe avere una maggiore considerazione per chi rischia la vita. Basta consultare i numeri delle aggressioni, delle ferite, alcune volte gravissime, che gli agenti riportano». I numeri fanno effetto: una aggressione ogni 3 ore, secondo le stime che i sindacati hanno diffuso prima della manifestazione del 14 ottobre. «Sono dati che nessuno può discutere. Al governo potrebbero fare molto di più e meglio. Stiamo vivendo una situazione grave e i numeri, purtroppo, non ci danno conforto». Dopo l'attentato di Nizza, qualcuno propone di ritirare il decreto sull'immigrazione, che alleggerisce alcune norme sulla sicurezza. Come avete accolto le modifiche ai decreti sicurezza volute dal governo? «Restringere le situazioni in cui è possibile intervenire complica il nostro lavoro e facilita le situazioni di irregolarità sul territorio. Con gli uomini e i mezzi a disposizione, fronteggiare una situazione complessa come quella dell'immigrazione diventa difficile. Depotenziati i decreti sicurezza, diventerà tutto più difficile».
Il ministro della Salute Orazio Schillaci (Imagoeconomica)
Orazio Schillaci e Giuseppe Valditara (Ansa)