- Disorganizzazione, promiscuità, fughe: gli agenti sanno che metà di chi sbarca sparisce appena 24 ore dopo l'arrivo nei centri di accoglienza. E sospettano che lo svuotamento sia tollerato perché il sistema non collassi.
- Il segretario del sindacato di polizia Mosap Fabio Conestà: «Vogliamo regole certe e uguali per tutti, oggi non è così. Le precauzioni sono insufficienti. Abbiamo chiesto al governo di fare i tamponi ma non ci ha risposto».
Lo speciale contiene due articoli.
Tra le forze di polizia che presidiano i centri di accoglienza, girano numeri ben precisi: «Quando collochiamo 10 persone nelle strutture, sappiamo già che nel giro di 24 ore ne sparirà la metà. Il giorno successivo ne andranno via altri 2. Otto su 10 finiscono chissà dove. Chi resta, vìola le regole di isolamento e scappa via ugualmente, noi li rincorriamo come dei pagliacci». Non lo dicono apertamente, ma il cuore della questione è lì, sullo sfondo: il sospetto è che le fughe siano in qualche modo «agevolate», tollerate affinché il sistema non collassi sotto al peso continui degli sbarchi.
Negli ultimi giorni, gli arrivi sulle nostre coste hanno superato quota 27.000, i numeri sono pressoché triplicati rispetto allo scorso anno. Lampedusa prima, ora anche la Calabria. Sulle coste joniche, dai 5 sbarchi di settembre si è arrivati ai 15 di ottobre. Cinque giorni fa, a Roccella Jonica sono arrivati in 76. Intercettati su una barca a vela al largo di Camini, nella Locride, sono stati trainati in porto. Più della metà sono risultati poi positivi al Covid.
«Le nostre coste restano senza dubbio il ventre molle dell'Europa», spiegano alla Verità esponenti delle sigle sindacali della polizia. «Di fronte agli annunci, alle sanatorie, all'indebolimento delle regole, è inevitabile che le partenze aumentino». Eppure, l'invito è a rivolgere lo sguardo verso qualcosa di meno visibile, ma altrettanto pressante: «Di fronte alle barche piene, non possiamo far finta di niente. Ma più su, al confine con la Slovenia, i numeri sono almeno il doppio: tutte le sere, attraverso i valichi campestri, il via vai è senza sosta. Di questo, tuttavia, si parla solo in rare occasioni». Nella sola giornata di sabato, la polizia di frontiera di Trieste ha intercettato un furgone con 17 pakistani irregolari a bordo e fermato 6 migranti irregolari stipati nel bagagliaio di un'auto. Di fronte alla crescita dei numeri, l'attività di sorveglianza si complica, «i controlli rigorosi» promessi dal ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, finiscono per essere elusi, soprattutto nei centri più affollati.
A Bari, per esempio, le fughe non sono più una novità. I migranti lasciano il Cara scavalcando le recinzioni, con buona pace delle disposizioni imposte all'interno della struttura dopo i primi casi di positività riscontrati. Come si legge in un'interrogazione parlamentare presentata dai senatori renziani Valeria Sudano e Leonardo Grimani, «episodi del genere destano la profonda preoccupazione dei cittadini residenti intorno ai centri di accoglienza, che, nel contesto di una pandemia mondiale, si sentono maggiormente a repentaglio dal punto di vista sanitario».
Per il Cara di Bari sarebbe passato anche Brahim Aoussaoiu, il killer che a Nizza ha ucciso 3 persone nella cattedrale di Notre-Dame. Dopo l'arrivo a Lampedusa e il periodo di quarantena a bordo della nave Rhapsody, Aoussaoiu è stato trasferito a Bari, con l'ordine di lasciare l'Italia entro 7 giorni. «Qualsiasi migrante conosce bene come funzionano i fogli di via», raccontano ancora da ambienti sindacali della polizia. «In questo periodo di emergenza sanitaria», spiegano, «si tratta di un attentato sanitario mascherato da intimazione all'espulsione: 7 giorni di pacchia in cui ognuno è libero di andare dove vuole. E alla scadenza, arriva il rinnovo».
Ogni giorno lo stesso copione, l'ordine che parte dalle questure è sempre lo stesso: «Entro 7 giorni dalla notifica, i migranti saranno trasferiti a scaglioni presso le stazioni ferroviarie onde consentire loro di raggiungere più agevolmente la più vicina frontiera marittima o aerea da dove potersi imbarcare per rientrare nel paese di origine». Questa frase gli agenti la conoscono bene, molti di loro parlano apertamente di sceneggiata: «Come possono credere che chi ha rischiato la vita attraversando il Mediterraneo si lasci convincere da una intimazione del genere? Ci vuole un certo coraggio anche solo a scriverle certe parole. Noi tutti sappiamo benissimo dove andranno e cosa faranno, qual è la fine di questa parabola». Altri, invece, la fine della parabola la vedono meno nitida, oppure preferiscono guardare altrove per non vederla affatto.
«Dovremmo garantire la sicurezza ma nessuno dice come fare»

Fabio Conestà
«I numeri parlano chiaro: la scarsa organizzazione nella gestione dell'emergenza migratoria ci sovraespone al rischio contagio». Quando spiega le condizioni nelle quali le forze dell'ordine sono costrette a operare, Fabio Conestà, segretario generale del Movimento sindacale autonomo di polizia (Mosap), fatica a contenere la preoccupazione. Le regole, per chi dovrebbe tutelare la sicurezza dei cittadini, non sono chiare. Chi dovrebbe intervenire sui protocolli sembra voltare il capo. Tra le forze di sicurezza serpeggiano disagio e demotivazione.
Segretario Conestà, a più riprese avete chiesto una maggiore chiarezza sulle regole di ingaggio. Che cosa manca?
«Pretendiamo disposizioni certe e uguali per tutti. La mancanza di chiarezza complica i nostri interventi, ci mette in grave difficoltà rispetto alle situazioni che ci troviamo ad affrontare».
Ci faccia un esempio.
«Come dobbiamo comportarci con un potenziale positivo? Quando vigiliamo fuori dai centri di accoglienza, non sappiamo quali protocolli applicare. Sono luoghi dove si vive una promiscuità: la probabilità di finire contagiati è alta».
Dall'inizio dell'emergenza, secondo il Dipartimento di pubblica sicurezza, risultano positivi 1.600 poliziotti, 493 solo nell'ultimo mese.
«Se non ci sono sufficienti misure precauzionali, si rischia. Se non vengono definite le modalità di intervento, ognuno si arrangia come può. È già successo e continuerà ad accadere di fronte alle continue fughe dai centri».
Molte fughe avvengono in violazione dell'isolamento fiduciario o addirittura della quarantena.
«Noi dovremmo fermare i migranti che scappano, ma con quali modalità? Non lo sappiamo, i protocolli di sicurezza non lo esplicitano. Di fronte alle nostre richieste, non sono mai stati presi provvedimenti. Così viene messa a repentaglio la salute nostra e quella delle nostre famiglie».
Che tipo di misure avete chiesto?
«Innanzitutto, i tamponi. Ci viene chiesto di effettuare i rimpatri, ma nessuno di noi sa chi si trova di fronte. Non sappiamo se i rimpatriati siano contagiosi o meno, nessuno verifica le loro condizioni di salute, se non dopo il volo».
Un centinaio di agenti sono finiti in isolamento dopo che è stata accertata la positività di un tunisino rimpatriato con un volo partito da Gorizia.
«Per questo abbiamo avanzato una proposta, che ci sembra di buon senso: tampone entro le 48 ore precedenti alla partenza».
Qual è stata la risposta?
«Non c'è stata alcuna risposta. Malgrado la nostra segnalazione, continuano a fare i tamponi nelle stesse modalità. Abbiamo provato anche a chiedere i test rapidi in alternativa, ma anche questo non è stato fatto. Evidentemente, quanto accaduto non è sufficiente per stimolare un provvedimento specifico».
Ritiene che ci sia una scarsa tutela nei vostri confronti da parte di chi ha in mano la gestione del sistema?
«Le cose non funzionano come dovrebbero. Il governo dovrebbe darci gli strumenti, la forza e le tutele per adempiere a pieno al nostro compito, in maniera rigorosa e protetta. Chi ha il dovere di prendere le decisioni dovrebbe avere una maggiore considerazione per chi rischia la vita. Basta consultare i numeri delle aggressioni, delle ferite, alcune volte gravissime, che gli agenti riportano».
I numeri fanno effetto: una aggressione ogni 3 ore, secondo le stime che i sindacati hanno diffuso prima della manifestazione del 14 ottobre.
«Sono dati che nessuno può discutere. Al governo potrebbero fare molto di più e meglio. Stiamo vivendo una situazione grave e i numeri, purtroppo, non ci danno conforto».
Dopo l'attentato di Nizza, qualcuno propone di ritirare il decreto sull'immigrazione, che alleggerisce alcune norme sulla sicurezza. Come avete accolto le modifiche ai decreti sicurezza volute dal governo?
«Restringere le situazioni in cui è possibile intervenire complica il nostro lavoro e facilita le situazioni di irregolarità sul territorio. Con gli uomini e i mezzi a disposizione, fronteggiare una situazione complessa come quella dell'immigrazione diventa difficile. Depotenziati i decreti sicurezza, diventerà tutto più difficile».
«Il Movimento 5 stelle ha un enorme problema nella rappresentanza ministeriale, che è debole e dannosa. Per la poltrona, hanno tradito tutto e tutti. Se agli stati generali non si presenteranno gli attuali ministri per rimettere i propri mandati, sarà tempo perso». La «guerra civile» in atto nel Movimento 5 stelle non stupisce il senatore Mario Giarrusso. Espulso lo scorso aprile, è uno degli esponenti della prima ora, uno di quelli che conosce bene le sfide di potere che hanno portato al caos delle ultime settimane. Una lotta per bande che rischia di far implodere il Movimento e di avere ripercussioni anche sul governo Conte.
Senatore Giarrusso, nel M5s siamo ormai al tutti contro tutti. Come si è arrivati all'anarchia di questi giorni?
«I governisti, quelli adunati intorno a Luigi Di Maio e ai ministri, hanno esagerato. Si sono isolati, hanno cominciato a prendere tutte le decisioni. Gli altri parlamentari si sono sentiti tagliati fuori. Quando si è arrivati a toccare il fondo, hanno detto basta, finiamola qua».
Il «fondo» è arrivato con le elezioni regionali?
«Sono evaporati 8 milioni di voti, il Movimento 5 stelle ha perso in tutte le regioni, tornando a percentuali precedenti al 2012. I nodi sono venuti al pettine e la situazione è precipitata. Tutte le varie anime, che già erano in conflitto tra loro, sono andate alla guerra: quelli del secondo mandato, quelli che battono cassa, come Davide Casaleggio».
È mancata un'autocritica?
«Quando la squadra perde, è normale cambiare i giocatori e invece l'ala governista che sta trascinando a picco il Movimento non vuole fare passi indietro. La colpa è stata data agli elettori che non hanno capito quanto sono bravi la Azzolina, Bonafede e Di Maio. E invece gli elettori lo hanno capito benissimo».
Gli stati generali sono l'occasione per un confronto interno?
«Sarà un contenitore di chiacchiere vuote, uno sfogatoio».
Addirittura? Eppure l'iter che porterà all'assemblea nazionale di novembre sembra essere inclusivo.
«Possono fare tutte le chiacchiere che vogliono, ma il cuore del problema non verrà neanche sfiorato: chi tratta con il Pd, con il presidente del Consiglio, chi è seduto sulle poltrone ministeriali è completamente inadeguato e ha distrutto il Movimento. Se non si mette in discussione la squadra al governo, continueranno a precipitare».
Insomma, fuori tutti i big: un'operazione complicata, non crede?
«Non c'è alcuna volontà di cambiare le carte in tavola. Il famoso passo indietro di Di Maio, per esempio, non ha spostato gli equilibri interni. È stato semplicemente un passo di lato. È ancora lui a dare le carte, è lui che tratta con gli alleati di governo attraverso il capo delegazione Alfonso Bonafede, che è il suo ventriloquo».
E Vito Crimi? Che ruolo ha il capo politico reggente?
«Un tragico pupazzo, Vito Crimi, sul quale far confluire gli strali di chi è arrabbiato con il Movimento».
L'eccessivo accentramento di potere ha risvegliato la base?
«Si stanno rendendo conto che il distacco dai principi originari è ormai prossimo al completamento. Il Movimento 5 stelle delle decisioni condivise contro lo strapotere della partitocrazia è stato trasformato nel regno assoluto del “reuccio" di Pomigliano d'Arco. Hanno perso il lume della ragione, completamente. Nessun ministro sarebbe sopravvissuto alla crisi che c'è stata dopo le scarcerazioni dei boss mafiosi. Eppure, Alfonso Bonafede è stato difeso a spada tratta. Addirittura sono arrivati a insultare Nino Di Matteo, una cosa incredibile. Tutto questo ha risvegliato tardivamente chi ha a cuore il Movimento».
Perché i parlamentari sono in subbuglio? Questa è la settimana della Nadef, la Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza. I numeri, soprattutto al Senato, sono ballerini.
«Il Movimento nasce perché i partiti hanno umiliato il Parlamento. Si parlava di restituire la centralità ai cittadini attraverso i loro portavoce nei palazzi. Il governo Conte ha trasformato l'emergenza sanitaria in emergenza democratica: da mesi, assistiamo a una sequela di decreti legge non emendabili. I parlamentari si stanno rendendo conto dell'assurdità e chiedono che venga riconosciuto loro il normale potere previsto dalla Costituzione».
Queste tensioni mettono a rischio il governo Conte?
«Se non si risolvono i nodi, credo che Conte andrà incontro a brutte cadute. Il primo ministro deve lasciar fare al Movimento 5 stelle il suo corso: un confronto durissimo, un'autocritica interna e la sostituzione degli incapaci. Gli incapaci non li possiamo tenere ancora lì, perché altrimenti distruggono tutto».
Alessandro Di Battista continua a esprimere le sue perplessità.
«Non si mette una pezza nuova sulla toppa vecchia. Questa è l'ultima illusione di Alessandro Di Battista. La sua operazione arriva fuori tempo massimo: Di Maio non gli consentirà di mettere in dubbio i governisti».
Non crede alla resa dei conti tra i due?
«Non ci sono gli strumenti democratici per farlo, quelli li ha in mano Di Maio, per via dello statuto truffaldino approvato nel 2017. La mossa della struttura collegiale, che è semplicemente un nuovo (vecchio) cerchio magico, servirà a neutralizzarlo: resteranno gli stessi, con Di Battista in minoranza».
Eppure, con le sue dichiarazioni, Di Battista continua a picconare dall'esterno: «Finiremo come l'Udeur», ha detto qualche giorno fa.
«La verità è che Di Battista non ne ha imbroccata una dopo il referendum del 2016. Ha visto arrivare i governisti, ha visto arrivare l'eresia che è in Spadafora, ma non ha fatto nulla per fermarla».
Vincenzo Spadafora? Perché tira in ballo il ministro dello Sport?
«Quando Di Battista cita l'Udeur non pensa a Mastella, ma a Spadafora. Vincenzo Spadafora, per il solo fatto di essere il prediletto di Di Maio, è diventato prima deputato, poi sottosegretario e ora ministro. Per quali meriti? Lo ignorano tutti. Guardiamo la storia politica di Spadafora: incarna il male della partitocrazia, la casta che il Movimento ha sempre combattuto. Di Battista ha fatto un passo indietro perché ha capito prima degli altri che Di Maio stava spianando la strada a Spadafora e a quel tipo di potere».
Crede sia stato un errore, alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni?
«Quando Di Battista ha preso quella decisione, è morto il Movimento. Invece di combattere, ha preferito fare il “responsabile". Ma la responsabilità il Movimento ce l'ha verso le persone che ha illuso, promettendo di combattere la mafia, di mettere mano ai disastri del Pd. Intere categorie sono andate via: i professionisti, gli insegnanti, chi aveva a cuore l'ambiente. Non c'è categoria che non abbia preso a pesci in faccia il Movimento».
Molti suoi colleghi hanno messo nel mirino Davide Casaleggio e la piattaforma Rousseau, che avrebbe un ruolo eccessivamente politico. Che ne pensa?
«L'elenco degli iscritti è nelle mani di Davide Casaleggio. Ai parlamentari che glielo chiedono, lui fa marameo. Una volta approvato lo statuto, nel 2017, il Movimento si è messo in un bel guaio: non c'è lo strumento per sfiduciare Casaleggio. Non ci sono strumenti democratici per affrontare questa storia, non sono stati previsti, non sono stati voluti».
Nel post pubblicato sul Blog delle Stelle, Casaleggio ha criticato la possibile trasformazione del Movimento in partito.
«Trovo assurda la rivendicazione del Movimento delle origini. Nella sua nota, Casaleggio parla di attivisti, di trasversalità. Ma dove li vede? In quale sogno? Si è passati da un Movimento liquido alla monarchia assoluta di un piccolo democristiano campano».
Beppe Grillo ha definito le frizioni interne «liti da asilo infantile». Come giudica la sua posizione?
«Perniciosa, ha danneggiato in maniera enorme il Movimento».
Che cosa intende?
«Analizziamo l'elenco delle cose fatte: i pochi risultati raggiunti dal Movimento 5 stelle sono arrivati nel corso del governo Conte 1, quando c'era un contratto. Ora, con il Pd, c'è una mera occupazione delle sedi. Quando qualcuno ha proposto un contratto, Grillo è intervenuto, danneggiando il Movimento: ha lasciato mani libere al Pd, che può fare qualsiasi cosa, anche chiedere il Mes».
In un tweet, Marco Canestrari, ex braccio destro di Grillo e Gianroberto Casaleggio, sostiene che il Garante «ha solo bisogno di protezione per il figlio accusato di stupro. Non dirà né farà mai più nulla che possa infastidire qualcuno al potere».
«Temo sia un'ipotesi plausibile. Troppo improvvisa, strana e immotivata è stata la svolta di Beppe. Il nostro è un Paese in cui i ricatti hanno pesato e continuano a pesare, potrebbe essere una ricostruzione da non escludere».




