2019-02-03
Il 2019 sarà
«bellissimo» ma le liti sulla Tav no
Nel governo rischiano di trivellarsi da soli. Già, perché mentre l'opposizione fa di tutto per perdere voti, la maggioranza riesce a trovare ogni argomento per far perdere la pazienza agli italiani. Mesi fa avevamo scritto che leghisti e pentastellati recitavano due parti in commedia, mostrandosi a seconda degli argomenti come partiti di lotta e di governo. Una dialettica interna che occupava ogni spazio, relegando la minoranza a un ruolo del tutto marginale, tanto che la voce degli altri gruppi presenti in Parlamento era praticamente scomparsa. A otto mesi dal varo del governo Conte, però, il gioco di dividersi gli argomenti per cercare ciascuno di guadagnare consensi rischia non solo di stancare, ma soprattutto di fare danni, in particolar modo quando ci sono di mezzo argomenti che hanno una ricaduta di natura economica. Io capisco che i 5 stelle in campagna elettorale abbiano appoggiato i movimenti No Tav e ora siano preoccupati di perdere voti cambiando posizione, ma le Grandi opere sono uno strumento non solo per rendere più efficiente e competitivo il Paese, ma anche per far crescere il Pil e il lavoro. Dire no a un'infrastruttura come la Tav significa farsi del male da soli, rinunciando a un'opportunità. So che ogni volta che si tocca questo tasto la risposta è scontata: bisogna calcolare costi e benefici. Ma non c'è impresa che decollerebbe se si facesse solo il calcolo aritmetico di costi e benefici, perché nel conto economico non si iscrivono le poste dello sviluppo e del futuro. Se applicassimo questa logica (ammesso e non concesso che nel caso della Tav i benefici siano inferiori ai costi, perché non essendoci stata la possibilità di un'analisi pubblica accurata nessuno lo può realmente sostenere) o quella delle previsioni di mercato, la metà delle aziende online oggi non esisterebbe. Amazon non sarebbe mai decollata e neppure Netflix, per restare alle più note. All'analisi matematica delle potenzialità del loro business, tutti gli esperti, se interpellati, avrebbero scosso la testa. Il mercato e lo sviluppo hanno dimostrato che invece il commercio online era il futuro e così pure la vendita in abbonamento di film. I grandi magazzini hanno dovuto cedere il passo e pure Blockbuster, perché spesso ciò che sembra follia diventa realtà più in fretta di quanto si creda. Avessimo affidato agli esperti la scelta, probabilmente anche questo sciagurato giornale non sarebbe nato.Del resto, fossimo rimasti ancorati a ragionamenti del genere, in Italia non avremmo l'autostrada del Sole e nemmeno la tv a colori, perché a sinistra le ritenevano spese inutili, sempre in base ai costi e benefici prodotti dalla cultura dell'epoca. Avessimo ascoltato il movimento ambientalisti non avremmo la variante di valico, un'opera che tra rinvii e polemiche si è trascinata per 33 anni e i cui costi sono lievitati da 1 miliardo a 4,1. Ne valeva la pena per accorciare il tragitto di un quarto d'ora? Sì, perché si è deviata una parte di traffico, riducendo gli incidenti. Ma se avessimo dato retta ai «No Var», ci saremmo fatti del male.E così come reputo autolesionista dire no al treno ad alta velocità Torino-Lione, ritengo assurdo bloccare le trivelle in Adriatico. Il gas e il petrolio ci servono e se non li estraiamo noi li estrarranno dall'altra parte, sul lato croato del mare, come sta già accadendo, dunque con eguali risultati ambientali. Per far funzionare la nostra economia abbiamo bisogno di una produzione di idrocarburi che non dipenda da terzi e abbia prezzi accettabili, proprio ciò che si potrebbe ottenere dalle trivelle in Adriatico. Il gas estratto in Italia costa meno di quello che importiamo e non deve farci paura, perché è più pericolosa una nave cisterna che circola nei nostri porti di un tubo che ci rifornisce di quel che ci serve. Non si può dire no a tutto, alla Tav, alle trivelle, al Tap, allo sviluppo. Un'economia cresce se non ha le briglie tirate. E quelle dell'Italia sono tiratissime, da un eccesso di norme e da una serie di ingiustificati pregiudizi. Settimane fa, intervenendo agli stati generali dei consulenti del lavoro, Luigi Di Maio disse di credere che «un nuovo boom economico possa nascere». Ma per fare boom bisogna liberare le energie, non arrestarle. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si dice convinto che il 2019 sarà bellissimo. Ce lo auguriamo. Per ora registriamo solo un braccio di ferro nella maggioranza, che di bellissimo non ha nulla.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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