2018-08-15
Per i catalani il vero problema sono turisti e lavoratori europei
Da tempo a Barcellona, con il beneplacito del sindaco, è in atto una campagna contro gli stranieri paganti. Il caso di Cecilia Botrè, figlia di un editore italiano che abita in città, minacciata con un biglietto anonimo.Migranti dell'Aquarius divisi fra cinque Paesi. Gibilterra revocherà l'autorizzazione alla nave delle Ong. Che attacca: «Salvini mette in pericolo vite umane».Lo speciale contiene due articoli.Un cartello che intima di andarsene, «altrimenti sarà peggio per voi». Affisso all'interno dell'ascensore di casa, un elegante stabile sulla Rambla, nel cuore di Barcellona, dove Cecilia Botrè e il suo ragazzo, venticinquenni di Monza, vivono dall'ottobre dello scorso anno. «Ci ha preso un colpo», commenta la giovane, «Qui gli unici stranieri siamo noi. Perché questa intimidazione?». La scritta, in un inglese approssimativo, era particolarmente dura e minacciosa: «Stranieri tornatevene a casa. Lasciate il nostro stabile e la Catalogna altrimenti sarà peggio per voi». A Barcellona messaggi come questi si stanno moltiplicando. L'hanno definita turismofobia, insofferenza, odio verso chi arriva e spende soldi. Un'avversione che il sindaco Ada Colau alimenta, mentre paradossalmente cresce l'apertura verso i migranti, accolti a braccia aperte. Nella città condale, che a giugno offriva il porto di Barcellona ai profughi dell'Aquarius e a luglio riceveva quelli della Open Arms, con tanto di striscioni «Benvenuti a casa vostra» in spagnolo, catalano, inglese, francese e arabo (non ancora in tedesco), lo scorso anno le manifestazioni anti turisti occupavano le cronache estive. Prima del tragico attentato sulla rambla del 17 agosto, che causò 16 morti e 134 feriti. Le iniziali, violente azioni del gruppo di disobbedienti di ultrasinistra Arran Països Catalans, contro strutture turistiche di Barcellona, sono in breve diventate atteggiamento diffuso tra associazioni e piattaforme. Protestano perché la città da 1,7 milioni di turisti nel 1990 ora ne accoglie 32 milioni, circa venti volte la popolazione residente, provocando aumenti degli affitti, spingendo i residenti fuori dai quartieri. Chiedono un freno alla diffusione di piattaforme di home sharing come Airbn e Homeaway, che tendono ad essere più economiche e convenienti degli hotel. La Colau li sta accontentando. Eppure la ricchezza prodotta dal turismo rappresenta tra il 15 e il 17% del Pil di Barcellona. L'insofferenza per il turismo massivo non giustifica graffiti con scritte offensive sui muri come «Tutti i turisti sono dei bastardi», «Smettila di distruggere le nostre vite!» o «Perché chiamarla stagione turistica se non possiamo sparare contro di loro?». Contro i turisti adesso ci sono anche los manteros, i venditori ambulanti illegali che utilizzano mantas, coperte, per esibire la loro mercanzia. Responsabili di aggressioni, stanno diventando un nuovo problema e le opposizioni hanno chiesto le dimissioni del sindaco da responsabile della sicurezza. A fine luglio dello scorso anno, un autobus turistico venne preso di mira da vandali che ne squarciarono le gomme, ma era da mesi che hotel, ristoranti, servizi turisti come i bike sharing della capitale finivano sotto assalto. Nella stessa città, a febbraio centinaia di migliaia di persone erano sfilate per Barcellona protestando a gran voce: «Basta scuse, accogliamo subito i rifugiati», era l'appello scandito dal corteo. Almeno 4.500 rifugiati volevano i manifestanti, contro la decisione del governo spagnolo di ospitare soltanto 1.100 persone. In prima fila, tra politici e intellettuali, c'era il sindaco pasionario e terzomondista, Ada Colau. «Siamo la capitale della speranza in un'Europa sempre più xenofoba» spiegò alla piazza. Sì agli africani accolti a pagamento dalla Spagna, no agli italiani che lavorano in terra iberica? Il cartello nell'ascensore di casa è un brutto segnale, come testimoniano le parole di Cecilia, figlia di Franz Botrè, giornalista, editore di libri e raffinate riviste, fondatore dell'impresa editoriale Swan Group con testate come Monsieur, Arbiter, Spirito Di Vino e altri magazine che raccontano l'eccellenza del vivere.«Qui lavoriamo e abbiamo preso ufficialmente residenza», racconta la ragazza. Che aggiunge: «Il mio compagno fa il barman, io ho trovato impiego presso una multinazionale, mi occupo di marketing. Siamo stranieri, certo, italiani che lavorano in Spagna». L'avviso minaccioso, racconta, è stato trovato abato mattina, entrando nell'ascensore. «Nel nostro palazzo», spiega, «vivono tutti catalani di mezza età, era evidente che prendeva di mira noi. Dopo due giorni hanno tolto il cartello». Una minaccia preceduta al massimo da qualche banale sgarbo fra vicini, ma, spiega ancora Cecilia, «nulla di così pesante, solo un'evidente antipatia da parte dei proprietari e inquilini, persone distinte che non ci salutano mai. Buttano mozziconi sul nostro balcone, capiamo di non essere molto simpatici. Eppure lavoriamo, paghiamo l'affitto che è di 1.200 euro al mese». L'aria tesa nel palazzo, tuttavia, riflette il cambiamento di un'intera città: «Noi a Barcellona ci viviamo bene e in generale siamo stati ben accolti. Da tempo però avvertiamo una palese ostilità, scritte e graffiti sono contro turisti e stranieri indistintamente. Come se fossimo diventati bersaglio di un'insofferenza trasversale che prende di mira coloro che non sono catalani, dagli spagnoli ai foreigners ». Un'ostilità che stride con la grande apertura verso i migranti. «Se in Catalogna vogliono l'autonomia e non l'integrazione», si chiede Cecilia, «perché questo grande slancio verso i profughi e poi l'ostilità verso noi italiani e gli altri europei?».Patrizia Floder Reitter<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/per-i-catalani-il-vero-problema-sono-turisti-e-lavoratori-europei-2595902097.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="migranti-dellaquarius-divisi-fra-cinque-paesi" data-post-id="2595902097" data-published-at="1757759855" data-use-pagination="False"> Migranti dell’Aquarius divisi fra cinque Paesi Per essere uno che parla a nome di una nave che sta forse per perdere persino i requisiti per stare in mare, Nicola Stalla, uno dei due coordinatori delle operazioni di soccorso della Aquarius, mantiene una certa sfrontatezza. Parlando con La Stampa, infatti, l'esponente delle Ong ha in buona sostanza chiamato in causa il ministro dell'Interno italiano per le recenti e le future morti in mare. «Continuando a premere l'acceleratore sui porti chiusi alle navi Ong, il ministro Salvini mette in pericolo centinaia di vite umane. A causa della politica del vicepremier e del governo, tra giugno e luglio si è registrata un'impennata delle vittime: tra morti e dispersi 700 migranti hanno perso la vita durante vari naufragi nel Mediterraneo centrale», ha tuonato Stalla. Insomma, le morti in mare non sono colpa degli scafisti, con cui qualche gruppo di attivisti ha rapporti decisamente poco chiari, non c'entrano i governi locali che reclamano solo fondi per contromisure mai attuate e quelli occidentali presenti nell'area che fanno finta di non vedere, e guai a prendersela con chi, in casa nostra, gli immigrati li vuole per calcoli economici o per allucinazioni ideologiche. Macché, la colpa è di Salvini, che i barconi non vorrebbe neanche farli partire, prima ancora di evitare di farli sbarcare (solo) qui da noi. Ma la provocazione dell'Aquarius, come dicevamo, serve forse a rilanciare dopo la bordata arrivata da Gibilterra, luogo in cui l'imbarcazione è registrata. Ma le autorità marittime locali hanno annunciato che tra sei giorni revocheranno l'autorizzazione in quanto la nave non sarebbe registrata come nave per il salvataggio. «Una manovra politica volta a danneggiare il lavoro dell'Ong Sos Méditerranée, che insieme a Medici senza frontiere gestisce la nave», accusano gli esponenti dell'Ong, spiegando di avere tutte le carte in regola. «È probabile che chiederemo alle autorità tedesche di battere bandiera della Germania visto che la nave precedente era immatricolata e di proprietà tedesca. In ogni caso chiederemo bandiera ad un altro Paese e almeno fino al 20 agosto faremo ancora riferimento a Gibilterra», ha poi precisato Stalla. Al momento, comunque, l'Aquarius resta in acqua. Il suo problema, anzi, è quello di raggiungere la terra ferma e far sbarcare i 141 immigrati raccolti nel fine settimana da due diversi barconi. Ieri, tuttavia, c'è stata la svolta decisiva, con un accordo europeo in base al quale gli immigrati saranno distribuiti tra cinque Paesi: Francia, Spagna, Germania, Portogallo e Lussemburgo li ospiteranno, mentre Malta ha acconsentito all'attracco dell'imbarcazione. Il governo maltese, in una nota, ha infatti annunciato che «Malta farà una concessione che consente alla nave Aquarius di entrare nei suoi porti, nonostante non abbia alcun obbligo giuridico nel doverlo fare». L'esecutivo isolano, però, specifica che servirà esclusivamente come base logistica. «Questa è la seconda volta che un meccanismo volontario è stato messo in atto in seguito a quello relativo alla Mv Lifeline. Il governo maltese ritiene che questo sia un esempio concreto di leadership e solidarietà europea», ha spiegato ancora La Valletta. «Lodo questi Paesi per la loro solidarietà e per la condivisione della responsabilità», ha commentato il commissario Ue Dimitris Avramopoulos all'agenzia Ansa. «Nei giorni scorsi ci sono stati intensi contatti, facilitati e coordinati dalla Commissione europea, così come ci siamo impegnati a fare, fino a quando non saranno messe in atto iniziative più stabili. Non possiamo contare su accordi ad hoc, abbiamo bisogno di soluzioni sostenibili. Non è responsabilità di uno o solo pochi Paesi, ma dell'Unione europea nel suo insieme». La notizia dell'accordo è giunta quando la nave era ferma da 48 ore tra Linosa e Malta in attesa che qualche Paese europeo manifestasse la disponibilità ad accoglierla in porto. A bordo, come detto, 141 migranti, la metà minori non accompagnati, due terzi provengono da Eritrea e Somalia. L'annuncio non placa però la polemica contro la posizione del governo italiano, che ha sin da subito fatto sapere di non avere alcuna intenzione di far attraccare nei suoi porti la nave dell'Ong, uscendo peraltro vincitore dal braccio di ferro, che ha finalmente messo l'Europa di fronte alle proprie responsabilità. Amnesty International, in una nota, definisce «pura crudeltà» il «vergognoso rifiuto» di Italia e Malta di acconsentire allo sbarco. «Queste persone hanno sfidato con coraggio viaggi pericolosi e condizioni inumane in Libia solo per finire bloccati in mare per governi che vergognosamente hanno abdicato alla propria responsabilità di proteggerli», ha affermato Maria Serrano, del settore migranti della Ong. Adriano Scianca