2025-01-29
Per Almasri piovono «avvisi di garanzia». Meloni: «Zero ricatti»
Il generale libico Osama Almasri Habish Najeem, arrestato a Torino il 19 gennaio, scarcerato su ordine della Corte di Appello di Roma e rimpatriato in Libia (Ansa/Courtesy Fawaselmedia.com)
Accusati di favoreggiamento e peculato anche Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e Alfredo Mantovano. Rispunta Francesco Lo Voi (processo Open Arms).Il premier Giorgia Meloni, insieme con altri tre ministri, è indagato per i reati di favoreggiamento del generale libico Osama Almasri Habish Najeem, arrestato a Torino il 19 gennaio in seguito a un mandato della Corte penale internazionale, scarcerato su ordine della Corte di Appello di Roma e rimpatriato con un aereo dei servizi segreti. L’alto ufficiale è accusato di crimini contro l’umanità e crimini di guerra che sarebbero stati commessi in una prigione libica a partire dal febbraio del 2011 e puniti con l’ergastolo. A dare la notizia dell’iscrizione è stata la stessa Meloni, in un video preparato ieri. L’incipit è stato lapidario: «La notizia di oggi è questa: il procuratore della Repubblica Francesco Lo Voi, lo stesso del diciamolo fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona, mi ha appena inviato un avviso di garanzia per i reati di favoreggiamento e peculato in relazione alla vicenda del rimpatrio del cittadino libico Almasri». Il capo del governo, giacca crema e sfondo azzurro, ha proseguito: «Avviso di garanzia che è stato inviato anche ai ministri Carlo Nordio (Giustizia, ndr) e Matteo Piantedosi (Interno, ndr) e al sottosegretario (alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, ndr) Alfredo Mantovano, presumo a seguito di una denuncia che è stata presentata dall'avvocato Luigi Li Gotti, ex politico di sinistra, molto vicino a Romano Prodi, conosciuto per aver difeso pentiti del calibro di Buscetta, Brusca e altri mafiosi». La leader di Fratelli d’Italia, dopo aver presentato il denunciante, a questo punto, riassume i fatti che hanno portato alla sua iscrizione: «La Corte penale internazionale, dopo mesi di riflessione, emette un mandato di arresto internazionale nei confronti del capo della polizia giudiziaria di Tripoli. Curiosamente la Corte lo fa proprio quando questa persona stava per entrare sul territorio italiano, dopo che aveva serenamente soggiornato per circa 12 giorni in altri tre Stati europei. La richiesta di arresto della Corte penale internazionale non è stata trasmessa al ministero italiano della Giustizia, come invece è previsto dalla legge, e per questo la Corte d’appello di Roma decide di non procedere alla sua convalida». Ed ecco la spiegazione del perché il generale sia stato rimpatriato: «A questo punto, con questo soggetto libero sul territorio italiano, piuttosto che lasciarlo libero, noi decidiamo di espellerlo e rimpatriarlo immediatamente, per ragioni di sicurezza, con un volo apposito come accade in altri casi analoghi. Questa è la ragione per la quale la Procura di Roma oggi indaga me, il sottosegretario Mantovano e due ministri». Le ultime parole sono un vero e proprio avvertimento, recapitato a più indirizzi: «Allora, io penso che valga oggi quello che valeva ieri. Non sono ricattabile, non mi faccio intimidire, è possibile che per questo sia, diciamo così, invisa a chi non vuole che l’Italia cambi e diventi migliore, ma anche e soprattutto per questo intendo andare avanti per la mia strada, a difesa degli italiani, soprattutto quando è in gioco la sicurezza della nazione, a testa alta e senza paura». Che cosa notiamo? Innanzitutto l’attacco personale al procuratore Lo Voi, capo della Procura di Roma. Non può non venire in mente l’ultimo motivo di attrito. Nei mesi scorsi il capo di gabinetto della Meloni, Gaetano Caputi, si era rivolto proprio agli uffici giudiziari di piazzale Clodio per chiedere di indagare su alcuni articoli sul suo conto molto (forse troppo) informati pubblicati dal quotidiano Domani, lo stesso coinvolto nella vicenda dei presunti dossieraggi che sarebbero stati messi in atto dal tenente Pasquale Striano. Ma mentre indagavano per accesso abusivo e poi per rivelazione di segreto, i magistrati hanno ricevuto una annotazione assai sensibile (e classificata come riservata) firmata dal direttore dell’Aisi Bruno Valensise che dava conto di alcuni controlli effettuati su Caputi da tre 007. Una notizia che avrebbe dovuto rimanere riservata e che invece è finita nel fascicolo consegnato ai giornalisti indagati, dando il via a un’altra (involontaria?) clamorosa fuga di notizie ai danni del governo.Immediata è stata la reazione di Palazzo Chigi, che ha palesato, attraverso un comunicato, l’evidente fastidio per lo strano «scoop» del Domani, realizzato grazie alla complicità (involontaria?) dei pm. Dopo circa 12 ore dopo quel primo cadeau, la Procura di Roma ha fatto recapitare una «comunicazione di iscrizione nel registro delle notizie di reato» alla Meloni e ai suoi ministri, con timbro del 28 gennaio. L’avvocato Li Gotti aveva in effetti inviato alla Procura una Pec con cui sporgeva denuncia per favoreggiamento personale (contestato a chi «aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti»), reato punito con pene sino a 4 anni, e peculato (per il volo pagato dallo Stato per riportare il militare in Libia). Era il 23 gennaio. Cinque giorni dopo, con il weekend in mezzo, Lo Voi informava i quattro ministri di essere indagati per le succitate contestazioni e trasferiva il fascicolo al tribunale dei ministri, come previsto dalla legge. Ricordiamo che le Procure, dopo aver ricevuto una denuncia contro un ministro per ipotetici reati compiuti nell’esercizio delle funzioni, devono omettere ogni tipo di indagine e trasmettere gli atti entro 15 giorni al collegio del tribunale dei ministri e darne immediata comunicazione ai soggetti interessati, affinché possano presentare memorie e/o chiedere di essere ascoltati. In pratica è quanto accaduto, sebbene ben prima del limite delle due settimane. Lo Voi, nella «comunicazione» inviata ai ministri (l’Associazione nazionale magistrati, in versione ufficio stampa della Procura, ha subito precisato che quello ricevuto da Meloni & C non è un avviso di garanzia vero e proprio, ma un atto dovuto), ha spiegato alla Meloni e ai suoi colleghi di averli iscritti in data 27 gennaio per i reati che sarebbero stati commessi «in Roma e in altre località del territorio nazionale, fino al 21 gennaio 2025». E aggiungeva che gli «atti sono stati inoltrati al Collegio per i reati ministeriali del tribunale di Roma». Si tratta di un’operazione più che altro mediatica. Infatti se il tribunale dei ministri, dopo aver svolto le sue indagini, non chiederà entro i 90 giorni previsti l’archiviazione, dovrà trasmettere nuovamente gli atti alla Procura affinché chieda l’autorizzazione a procedere alla Camere d’appartenenza o al Senato per i non parlamentari. Ma se Salvini era stato mandato a giudizio a Palermo, per la vicenda Open Arms su richiesta dello stesso Lo Voi, da una maggioranza giallorossa, oggi è davvero impossibile immaginare che l’attuale maggioranza possa spedire alla sbarra i suoi ministri, a partire dal premier, ritenendo che gli inquisiti, nell’esercizio delle loro funzioni, non abbiano perseguito preminente interesse pubblico. E il diniego all’autorizzazione sarebbe insindacabile. Nel frattempo il presidente del Consiglio dei ministri e i ministri non possono essere sottoposti a misure che limitino la libertà personale, a intercettazioni telefoniche, a sequestro di corrispondenza, a perquisizioni personali o domiciliari senza l'autorizzazione della Camera competente, salvo che non siano pizzicati in flagranza di reato. Il casus belli è rappresentato, come detto, dal mandato di cattura internazionale spiccato nei confronti di Almasri. A emetterlo è stata la Corte penale internazionale, con sede all’Aia, lo scorso 18 gennaio mentre Almasri si recava in Italia. Il giorno dopo la Digos ha tratto in arresto, di propria iniziativa, il militare a Torino (dove aveva assistito alla partita Juventus-Milan), come se si trattasse di un fermo per motivi estradizionali, ma in casi come questo («procedura di arresto nello Stato di detenzione preventiva»), invece, è obbligatoria un’interlocuzione diretta tra la Corte internazionale e il ministero della Giustizia del Paese interessato. Contatto che non c’è stato. E così il procuratore generale di Roma Giuseppe Amato ha chiesto alla Corte d’Appello di «dichiarare l’irritualità dell’arresto in quanto non proceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale». Amato ha aggiunto che Nordio «è stato interessato» dal suo ufficio «in data 20 gennaio, immediatamente dopo la ricezione degli atti da parte della questura di Torino» e ha precisato che lo stesso «non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito». Una specie di «silenzio-dissenso». Quindi, nella sua istanza, Amato scrive che «non ricorrono le condizioni della convalida (dell’arresto, ndr) e, conseguentemente, per una richiesta volta all’applicazione della misura cautelare». Conclusione: «Ne deriva l’immediata scarcerazione del prevenuto». Per questo la Corte, dopo aver esaminato anche le istanze difensive, il 21 gennaio ha dichiarato il «non luogo a provvedere sull’arresto […] in quanto irrituale poiché non previsto dalla legge» e ha ordinato l’immediata scarcerazione di Almasri , «in assenza di richiesta di applicazione di misura cautelare da parte del procuratore generale per mancata trasmissione degli atti della Corte penale internazionale di competenza ministeriale». Insomma nessuna colpa viene imputata al primo ministro nell’ordinanza in materia di consegna alla Corte penale. Eppure la denuncia dell’avvocato Li Gotti , con il nome della Meloni, è stata immediatamente trasmessa al tribunale dei ministri dalla Procura di Roma causando il clamoroso putiferio.
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