
L’articolo 314 bis che integra le pene per le distrazioni di un funzionario pubblico ha l’obiettivo di evitare le sanzioni di Bruxelles a causa dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Ma l’effetto è quello di prevedere condanne spropositate per condotte già disciplinate.Di Pietro Dubolino, Presidente di sezione a riposo della Corte di Cassazione.Invano risuona, fin dal XIII secolo, il saggio ammonimento del filosofo Guglielmo di Occam: Entia non sunt multiplicanda sine necessitate (gli enti non vanno moltiplicati senza necessità). È il principio noto appunto come «il rasoio di Occam», per il quale non solo i concetti filosofici (ai quali, essenzialmente, si riferiva il Nostro parlando di «enti») ma anche, più in generale, i principi e gli istituti che regolano ogni aspetto della vita sociale, ivi compreso quello dei rapporti giuridici, vanno limitati all’indispensabile, per evitare che, sovrapponendosi e interferendo gli uni con gli altri, finiscano, quasi fatalmente, per contraddirsi e creare, quindi, confusione e incertezza. Ennesima violazione di questo salutare principio è quella che appare riscontrabile nella creazione, ad opera del dl numero 92/2024, convertito con modifiche nella legge 8 agosto 2024 numero 112, del nuovo reato di «indebita destinazione di denaro a cose mobili», previsto dall’articolo 314 bis del codice penale e già ribattezzato, nel comune parlare, con la riesumata definizione del vecchio e da molti anni abrogato «peculato per distrazione». La condotta punita è quella del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che - fuori dei casi in cui si configurerebbe il vero e proprio peculato previsto dall’articolo 314 del codice penale - «intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto», destinando il danaro o altra cosa mobile di cui abbia il possesso o la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio «ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità». La ragione per la quale è stata introdotta questa nuova figura di reato è quella che, altrimenti, essendo stato abrogato, con l’articolo 1 della legge 9 agosto 2024 numero 114, il reato di abuso d’ufficio, previsto dall’articolo 323 del codice penale, si sarebbe corso il rischio di disattendere la direttiva europea numero 1317 del 2017, la quale – si afferma – obbligherebbe ciascuno degli Stati aderenti all’Unione europea a prevedere come reato l’appropriazione indebita o la distrazione di «fondi o beni» dei quali un pubblico funzionario disponga per ragione del proprio ufficio. Si tratta, però, di una ragione il cui fondamento risulta, a dir poco, assai discutibile. Anzitutto, infatti, l’abrogato reato di abuso d’ufficio non era stato certo introdotto in adempimento della direttiva europea, ma esisteva, si può dire, da sempre nell’ordinamento italiano, pur avendo subito, nel corso degli anni, molteplici modificazioni, neppur esse, però, funzionali all’adempimento della direttiva ma finalizzate soltanto a rendere più chiara e specifica la descrizione delle condotte da considerare penalmente illecite. Secondariamente, tali condotte, pur dovendo anch’esse (come quelle ora previste dal nuovo articolo 314 bis), produrre un ingiusto vantaggio patrimoniale per il loro autore o un ingiusto danno per altri soggetti, non presupponevano affatto che tali risultati fossero ottenuti mediante l’indebito uso, da parte del pubblico funzionario, di denaro o altra cosa mobile di cui egli avesse la disponibilità per ragioni d’ufficio. Si era, quindi, del tutto al di fuori delle previsioni della direttiva europea, per cui l’intervenuta abrogazione del reato in questione, comunque la si voglia giudicare, non comportava affatto l’obbligo di introdurre, in sua sostituzione, per non dar luogo ad inadempienza rispetto alla suddetta direttiva, una qualsivoglia nuova figura di illecito penale. D’altra parte, la stessa direttiva, essendo dichiaratamente finalizzata soltanto alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea, non impone affatto che sia previsto come reato l’uso indebito, da parte di pubblici funzionari, di tutti indistintamente i «fondi o beni» dei quali essi dispongano per ragione del loro ufficio, ma soltanto (come testualmente precisato nell’articolo 3) di quelli «provenienti dal bilancio dell’Unione o dai bilanci gestiti da quest’ultima, per suo conto». La nuova norma penale, invece, non fa alcun riferimento alla provenienza del denaro o degli altri beni ai quali venga data, dal pubblico funzionario, una «indebita destinazione», prevedendo soltanto, a seguito di una modifica introdotta dalla legge di conversione, che il reato sia aggravato quando «offende gli interessi finanziari dell’Unione europea». Il che costituisce ulteriore dimostrazione del fatto che anch’essa, nel suo contenuto essenziale, nonostante le intenzioni, non è oggettivamente funzionale all’adempimento della direttiva europea, così come non lo era l’abrogato reato di abuso d’ufficio. La sua introduzione, in sostituzione di quest’ultimo, non sembra, quindi, rispondere ad alcuna, effettiva necessità. Ma si sa che ciò che è inutile è, non di rado, anche nocivo, dando luogo, in particolare, quando si tratti di norme giuridiche, a conseguenze aberranti. E ciò sembra verificarsi anche nel caso in esame. Mettiamo, ad esempio, che un pubblico funzionario, denunciato falsamente il furto dell’autovettura di servizio che gli è stata assegnata, la venda sottobanco e intaschi il ricavato. Fino a ieri sarebbe stato certamente chiamato a rispondere, oltre che di simulazione di reato, anche del comune delitto di peculato, punibile con la reclusione fino a dieci anni e sei mesi. Oggi, con un po’ di fortuna, facendo leva sul cosiddetto «principio di specialità», potrebbe sperare che la sua condotta venga fatta rientrare nelle previsioni del nuovo e specifico reato di indebita destinazione di beni, per il quale è prevista, come pena massima, quella della reclusione fino a tre anni. Di contro, questa stessa pena sarebbe quella che continuerebbe ad essere applicabile, ai sensi del secondo comma dell’attuale articolo 314 del codice penale, nel caso di cosiddetto «peculato d’uso», la cui condotta, però, è di gran lunga meno grave di quella prevista dall’anzidetto, nuovo reato, perché consiste nell’indebito «uso momentaneo» della cosa di cui il pubblico funzionario abbia il possesso o la disponibilità, cui faccia seguito la sua immediata restituzione. In pratica, il funzionario che usi indebitamente l’autovettura di servizio soltanto per accompagnare i figli a scuola o andare a fare la spesa, riportandola, quindi, subito al suo posto, rischierebbe la stessa pena irrogabile a quello che, invece (riprendendo l’esempio di cui sopra), la faccia sparire per trarne un indebito profitto o, comunque, agisca in vista di una tale finalità. Chissà cosa ne penserebbe la Corte costituzionale, se un caso del genere venisse, una volta o l’altra, sottoposto al suo giudizio.
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