2022-04-05
Pd contro Orbán: è uno che vince le elezioni
Il risultato rotondo delle votazioni ungheresi non piace ai democratici di casa nostra: il leader magiaro non è allineato e scattano accuse di brogli e leggi scritte su misura. Fa ridere che arrivino da un partito che governa da anni senza consensi.Drammaticamente carenti sul piano della proposta politica, i democratici nostrani sopperiscono impegnandosi in una guerra di religione permanente. Il loro tratto caratterizzante è il manicheismo, una visione dualistica che postula l’esistenza di due princìpi in perenne lotta. Da un lato c’è il Bene, cioè il Progresso con le sue varie ramificazioni (la scienza, la giustizia sociale, i diritti delle minoranze eccetera). Dall’altro abbiamo il Male assoluto, una sorta di «essenza hitleriana» che si può manifestare con diversi gradi di intensità. Attualmente, essa è presente al massimo grado in Vladimir Putin, identificato con Hitler, Stalin e lo Zar. Il presidente russo è, dunque, il Nemico per eccellenza, quindi non lo si può trattare come un avversario qualsiasi: egli deve essere anche moralmente deprecabile, un criminale di guerra, un genocida (anche se le organizzazioni ebraiche continuano a chiedere di evitare paragoni a sproposito con la Shoah). Un mostro contro cui «bisogna» agire senza compromessi perché «non c’è alternativa»: ogni intervento contro di lui sarebbe, per definizione, «umanitario». L’essenza maligna, tuttavia, non si esaurisce nel Nemico assoluto: essa è infettiva, contamina. Se l’Hitler di turno è in cima alla scala dell’orrore, appena sotto ci sono altri hitleriani di prima e seconda fascia che il sincero democratico si sente in dovere di disprezzare, demonizzare, combattere perché «ne va della libertà e della democrazia». È questo il caso di Viktor Orbán, appena rieletto con una robusta maggioranza alla guida dell’Ungheria. Il capo del partito Fidesz ha raccolto il 53% dei voti contro il 35% dell’opposizione coalizzata attorno a Peter Marki-Zay, ottenendo così il quarto mandato consecutivo, e conquistando circa due terzi dei seggi parlamentari. È opportuno notare che a valutare la correttezza del processo elettorale erano presenti la bellezza di 900 osservatori internazionali (tra cui una delegazione italiana di Nazione futura), ben più di quelli presenti in Ungheria per la tornata del 2018. Eppure, ieri sui giornali italiani rimbalzavano titoli su «il sospetto dei brogli». Nella gran parte dei commenti si leggeva che la nazione è magiara è «sempre più isolata». Se ci fate caso, sono gli stessi toni utilizzati nei confronti della Russia di Putin, ma appena più lievi. E infatti le parole più sfruttate negli ultimi giorni per descrivere Orbán sono «amico di Putin». Alcuni esponenti del Partito democratico sono stati anche (prevedibilmente) più duri. «Orbán ha riscritto la legge elettorale a proprio favore», ha twittato Lia Quartapelle, «ha fatto chiudere i media liberi e ha speso più soldi di ciò che è permesso. Facile vincere così. Il primo a congratularsi per la “vittoria”? Salvini, quello in caduta nei sondaggi e che può vincere solo truccando le regole». Si potrebbe puntualizzare che il Partito democratico - salvo la fugace esperienza gialloverde - sta ininterrottamente al governo dai tempi di Monti, e lo fa senza aver mai ottenuto la maggioranza in Parlamento, nemmeno all’interno di una coalizione. Se i progressisti sono al potere, infatti, è grazie a nemmeno troppo oscure alchimie di palazzo, e alla presenza di capi di Stato non esattamente ostili. Sarebbe quindi il caso che gli esponenti dem fossero più cauti con i giudizi. In ogni caso, è evidente quale sia il punto. Orbán, adepto del Male assoluto, non può semplicemente aver vinto le elezioni. Egli deve avere per forza imbrogliato, manipolato, rubato, truffato. Non può aspettarsi di essere trattato come un politico con diverso orientamento. No, egli viene considerato un rappresentante della Reazione, un nemico dei «diritti civili» (così Laura Boldrini), il principale responsabile della «fase di oscurantismo nel cuore dell’Ue» (ancora la Boldrini). Enrico Letta ha sperato in «un miracolo» che favorisse la sconfitta del capo di Fidesz alle urne, e nelle stesse ore se la prendeva con «la barbarie della guerra di Putin». Questo perché, se si osserva il mondo attraverso lenti progressiste, il presidente russo, quello ungherese e le destre italiane sono sostanzialmente sfumature dello stesso orrore.Certo, Orbán ci mette del suo. Alla retorica manichea risponde con un binarismo di segno opposto: «Abbiamo vinto anche a livello internazionale contro il globalismo», ha detto ieri, «contro Soros, contro i media mainstream europei e anche contro il presidente ucraino». Sono frasi che susciteranno e in parte hanno già suscitato reazioni indignate, ma che rientrano perfettamente in una logica di risposta alla demonizzazione continua e alla superiorità morale esibita pure da Volodymyr Zelensky, il quale si è sentito in diritto di trattare gli ungheresi come se fossero grotteschi famigli di Putin. Al di fuori delle costruzioni propagandistiche, è un fatto che l’Ungheria non abbia certo mostrato di approvare l’azione militare russa, abbia accettato le sanzioni e abbia ribadito di stare dalla parte dell’Occidente e della Nato. Semplicemente, rifiuta il blocco totale delle forniture di gas e la spedizione di armi all’Ucraina. Orbán ha spiegato le ragioni della sua posizione: l’ulteriore estensione delle sanzioni e l’escalation militare, ha detto, sono «contrarie agli interessi del popolo ungherese». Dargli torto è molto difficile: un capo politico dovrebbe preoccuparsi prima di tutto del benessere della sua popolazione. Però ai propugnatori del manicheismo non interessa: la collocazione nel campo del male prescinde dalle azioni concrete, dipende esclusivamente dai presunti «valori» di riferimento. Chi non si definisce «progressista» è cattivo per forza, anche se vince regolarmente, anche se è amato dal suo popolo. Per lo stesso motivo, i nostri cari liberal sono pronti a scatenare la terza guerra mondiale per «la libertà e la democrazia» in Ucraina, ma non riescono proprio ad accettare la democrazia ungherese.
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