2024-12-07
Gli atti ufficiali smentiscono Elly. Dal Nazareno solo urrà all’elettrico
La sede del Pd di via del Nazareno (Imagoeconomica)
La Schlein va a Pomigliano per cercare di ritrovare consensi fra gli operai, ma mozioni e interrogazioni di Pd e alleati raccontano una storia diversa. Dove l’ideologia green, non la difesa dei posti di lavoro, fa da padrona.«Ci sono 32 atti parlamentari sull’automotive e sulle vertenze di settore firmate dal Pd che parlano per noi, abbiamo anche fatto mozioni unitarie, siamo intervenuti in tutte le audizioni. Ma l’abbiamo fatto e lo faremo sempre per i lavoratori». A parlare ieri da Pomigliano d’Arco è stata Elly Schlein, la numero uno del Pd giunta davanti allo stabilimento campano per manifestare insieme ai lavoratori licenziati della Transnova, società di logistica che opera con Stellantis.Il vero problema, però, è che, mentre il Pd e l’opposizione gridano alla mobilitazione, spesso non capiscono di essere loro stessi il problema alla base della crisi di Stellantis in Italia. Anche perché il ritornello che in molti hanno cantato (tra cui anche Antonio Misiani, responsabile economia e finanze del Partito democratico) è stato quello di un massiccio ricorso all’elettrico, salvo poi tornare sui propri passi quando si è capito che non era la strada giusta. Insomma, poche idee ma confuse, verrebbe da dire.Basta dare uno sguardo ad alcune mozioni sul tema del rilancio di Stellantis e, più in generale, del mercato automobilistico in Italia per capire che l’opposizione ha preferito scegliere la strada della lamentale, piuttosto che quella delle idee innovative. Anche perché puntare sulle auto a batteria ha rappresentato, di fatto, una scelta suicida.All’interno della mozione 1-00107 presentata dal senatore Pd Francesco Boccia, il 5 novembre scorso, si dice che il «taglio previsto dal disegno di legge di bilancio dell’80% delle risorse stanziate per gli anni compresi tra il 2025 e il 2030 del fondo per la transizione verde, la ricerca, gli investimenti del settore automotive e per il riconoscimento di incentivi all’acquisto dei veicoli non inquinanti (drasticamente ridimensionato da 5,8 a 1,2 miliardi di euro) appare una scelta assurda, del tutto inopportuna e contraria agli interessi del Paese».Peccato che il governo sia al lavoro per incrementare il fondo automotive e immettere subito risorse per 750 milioni di euro. Si tratta di liquidità che non servirà per gli incentivi, ma andrà alle imprese a sostegno dei loro investimenti produttivi.Ancora: all’interno di una mozione unitaria delle opposizioni firmata da Elly Schlein, dal presidente del M5s, Giuseppe Conte, dai segretari di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni, ed Europa verde, Angelo Bonelli, oltre che da Carlo Calenda (Azione) si legge che si deve sostenere «la transizione all’elettrico in quanto le novità introdotte nel contesto normativo europeo, l’evoluzione tecnologica nella propulsione elettrica, delle batterie di ricarica e dei circuiti e le nuove esigenze di mobilità dei cittadini impongono alle grandi aziende automobilistiche l’avvio immediato di un processo di ulteriore profonda trasformazione del loro assetto produttivo e della filiera di distribuzione». Peccato che non esista nulla di più sbagliato. Al momento, la tecnologia legata alla propulsione elettrica appare inadeguata a servire il fabbisogno di una grande quantità di automobilisti: il problema riguarda sia la capacità di produrre energia elettrica a sufficienza per tutti sia le tempistiche di ricarica, oltre alla scarsità di infrastrutture (colonnine) per un grande numero di veicoli.Del resto, lo dicono anche i numeri. A fonte di cospicui incentivi stanziati dai governi, Italia compresa, l’auto elettrica continua a piacere sempre meno perché gli svantaggi sono ancora più dei vantaggi: costi elevati per l’acquisto e autonomia scarsa, su tutti. Senza contare che la produzione di auto elettriche e di grandi quantità di energia elettrica mal si sposa con la salvaguardia dell’ambiente. Eppure, il Pd negli ultimi anni ha cavalcato senza se e senza ma la politica green. All’interno di una interrogazione con risposta immediata in commissione (la numero 5-00887) presentata da Vinicio Giuseppe Guido Peluffo, si chiede «un’adeguata revisione delle politiche incentivanti e fiscali, per i privati e per le flotte, attraverso un lavoro di coordinamento con tutti i soggetti coinvolti che definisca la strategia per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni al 2035». Ma si tratta di un puro sogno sperare che in dieci anni l’elettrico diventi sostenibile per tutti, senza considerare che le emissioni zero sono solo quelle prodotte dai veicoli circolanti. Per produrre una vettura a batteria (e per smaltirla successivamente) i livelli di inquinamento restano molto elevati.Ciononostante, il Pd ha sempre voluto puntare sulle auto elettriche per salvare l’industria automobilistica italiana. Sempre all’interno della mozione 1-00107 presentata da Francesco Boccia si invitava l’esecutivo a «proseguire e a rafforzare le politiche di sostegno volte alla transizione all’elettrico, in quanto le novità introdotte nel contesto normativo europeo, l’evoluzione tecnologica nella propulsione elettrica, delle batterie di ricarica e dei circuiti e le nuove esigenze di mobilità dei cittadini impongono alle grandi aziende automobilistiche l’avvio immediato di un processo di ulteriore profonda trasformazione del loro assetto produttivo e della filiera di distribuzione». Proprio quello che ha portato molto colossi del settore alla crisi.
Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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