2024-04-29
«Patrizia Reggiani plagiata? Quella derubata e usata sono io»
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Patrizia Reggiani e Loredana Canò
Parla Loredana Canò, ex compagna di cella della vedova Gucci. «Sono stanca di vedere il mio nome accostato a quello della signora Pina Auriemma: è gravemente e gratuitamente lesivo della mia reputazione e del mio onore» Ha trascorso appena 7 mesi a San Vittore, ma lì è diventata amica e poi assistente di Patrizia Reggiani, la vedova Gucci. Ora Loredana Canò si ritrova a processo. «Ma» dice alla Verità «la vittima sono io»Come ha conosciuto la signora Gucci?«Più che signora Gucci io ritengo sia corretto chiamarla signora Martinelli Reggiani. Non si può chiamarla con il nome di un giovane uomo al quale lei stessa (come ha dichiarato pubblicamente) ha deciso di togliere la vita. L’ho conosciuta nell’agosto del 2012 a San Vittore durante la mia custodia cautelare dal 2 agosto 2012 fino al 19 marzo 2013. Durante quei 7 mesi c’è stato reciproco rispetto e stima. Si vedeva che era una donna che aveva vissuto nella bambagia e nel lusso».Che cosa le raccontava sul delitto del marito?«Non ho mai fatto domande. Una sera rientrata dal permesso chiese se potesse sedersi sul mio letto. Aveva bevuto, era molto arrabbiata. Io non chiesi nulla tranne se stava bene. Lei iniziò a parlare. Aveva litigato con la sua famiglia. Disse che si trovava in quella situazione solo perché voleva garantire un futuro alle sue figlie altrimenti per come era il padre non avrebbero trovato nulla».È stata Patrizia a cercarla per prima quando lei è uscita da San Vittore?«Il primo mercoledì a casa mi arriva una telefonata sul cellulare, rispondo e sento una voce che mi dice: «sono Patrizia, ti sei già dimenticata?» Poi cosa è successo?«L’incontro di persona è avvenuto casualmente. L’ho incontrata vicino all’edicola di via Larga. “Ciao come stai”? mi giro, era Patrizia. Era in macchina con l’autista e la figlia Alessandra. Patrizia ci invita a prendere un aperitivo. Siamo andate al bar Cimmino. La figlia Alessandra ci aveva raccontato della sua creazione di borse: il conto lo pagai io».Lei ha lavorato per la signora Reggiani«Dopo la morte della madre era diventata ancora più sola. Soprattutto dopo la confessione fatta a Le Iene dove aveva ammesso che era stata lei a far ammazzare il marito: non l’aveva fatto di persona perché aveva paura di sbagliare la mira. Dopo quella confessione le figlie chiusero i rapporti con la madre. Lei ne soffriva molto, convinta di aver fatto ammazzare l’ex marito per il bene delle figlie stesse. Allora mi disse di trasferirmi da lei e di farle da assistente personale. Questa decisione fu condivisa anche dal suo amministratore di sostegno Pizzi, la quale inoltrò richiesta al giudice tutelare e venne approvata la mia assunzione».Cosa faceva?«Oltre alla mansione di assistente personale e autista, Patrizia, l’amministratore di sostegno e gli amministratori delle società mi chiesero se volessi seguire il lato amministrativo della società, anche per la mia esperienza professionale in Olivetti e Eutelia, ma anche nel tribunale di Milano. Accettai e avendo già un contratto di 40 ore (anche se le ore lavorate erano molte di più) fu consigliato di aprirmi la partita iva».Perché i magistrati la accusano di questi reati?«Ancora oggi vorrei capirlo anche perché non ho tratto alcun vantaggio. Tramite i miei avvocati (Alessandro Sacca, Renato Musella e Raffaello Fabbri) mi sono difesa e mi sto difendendo in tutte le sedi, civili e penali. Abbiamo fornito tutte le spiegazioni ed i documenti che provano come io non abbia mai approfittato di Patrizia Reggiani e come anzi l’abbia aiutata moralmente e materialmente quando, dopo la scarcerazione, era una donna sola e senza un euro».Eppure è stata rinviata a giudizio«Si ignora che Patrizia prima della morte della madre era nullatenente. La madre con grande intelligenza, conoscendo la figlia, l’ha sottoposta ad amministrazione di sostegno. Quindi quando Patrizia ha ereditato nessuno poteva portarle via un euro, perché il tutto veniva autorizzato dal giudice tutelare. E io non ho ricevuto nulla di quanto non mi spettasse, visto che io di lei mi sono occupata, materialmente e affettivamente da molto prima che la stessa ereditasse dalla madre o ricevesse il vitalizio».Quindi lei non ha ricevuto nulla«Basta leggere la costituzione di parte civile di Reggiani e delle società, per accorgersi del fatto che molte accuse sono solo una finzione giornalistica. Mi chiedono la restituzione di circa 130.000 euro sommando importi che io ho percepito come compensi per lavori effettivamente svolti e spese legali per giudizi da me intentati a tutela dei miei diritti. Quindi nessuna palazzina da 18 milioni di euro né nessun tesoro».Quindi di chi è la colpa?«Quella frodata sono io, perché la signora Patrizia Reggiani dalla fine del 2014 fino alla morte della madre si è fatta prestare dei soldi che ad oggi non ha mai restituito. Anche la famosa polizza di cui io sarei beneficiaria è in realtà un qualcosa su cui io non c'entro niente perché è stato tutto autorizzato dal tutore di della signora Reggiani e dal Tribunale di Milano». E il famoso bracciale?«Mi fu regalato da mia madre in occasione del mio matrimonio. Quindi il furto e la calunnia l’ho subito io. Patrizia Reggiani ha detto che era suo, quando sapeva benissimo che quel bracciale mi era stato regalato dai miei genitori 35 anni fa quando mi sono sposata, (ci sono foto che lo provano). Patrizia l’aveva visto un paio di volte quando l’avevo indossato e più volte mi aveva chiesto se glielo regalassi. Il bracciale oggi mi è stato restituito ma, a causa del pregiudizio e della campagna mediatica-giudiziaria di cui sono vittima dal 2021 fino ad oggi, ci sono volute molte battaglie giudiziarie per riaverlo indietro».Sente ancora la signora Gucci?«No. E sono stanca di vedere il mio nome accostato a quello della signora Pina Auriemma: è gravemente e gratuitamente lesivo della mia reputazione e del mio onore. La persona usata, raggirata, plagiata ma soprattutto derubata sono io».
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Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)