2022-02-20
Dal pass al microchip. I marchi dei moderni che richiamano i passi dell’Apocalisse
Nelle sacre Scritture, l’età più oscura viene associata a simboli che identificano gli uomini. Con inquietanti analogie con l’oggi.Apriamo il famoso libro, che chiude il Libro di tutti i Libri nella sua versione cristiana: «[la Bestia] faceva sì che tutti […] ricevessero un marchio (charaktér) sulla mano destra o sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere quel marchio, cioè il nome della Bestia o il numero del suo Nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della Bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tale cifra è seicentosessantasei» (Ap. 13, 16-18). Malgrado il contesto onirico-visionario dell’Apocalisse, che sfida ogni interpretazione e che può risultare ostico o peggio a una mente affezionata alla chiarezza, il passo sul «marchio» è conturbante. Il riferimento a un’operazione quotidiana come il vendere e il comprare è una finestra che si apre di colpo su qualcosa di molto concreto, che non ha alcun bisogno di interpretazione (a differenza di tutto il resto, dalla fisionomia della Bestia, alla Meretrice, ai sette sigilli ecc.). E poiché gli sviluppi della tecnologia digitale e dell’identità digitale riguardano anzitutto la pratica quotidiana del vendere-e-comprare (tra breve, con l’abolizione del contante, entrare in un negozio per comprare una merce qualsiasi sarà possibile soltanto col pass e il codice personale, unico mezzo di pagamento), è molto difficile, addirittura controintuitivo, derubricare il passo apocalittico a pura mitologia visionaria. È anzi esattamente lo scenario al cui collaudo stiamo assistendo: entusiasti, indifferenti, attoniti. La concretezza del passo è anche analitica e descrittiva: il «marchio» di cui parla (il charaktér) è un marchio impresso come un tatuaggio o un marchio a fuoco, qualcosa - si pensa - di inseparabile dal suo portatore come lo è la pelle del suo portatore, e sta «nella mano destra o sulla fronte». È vero che lo smartphone è già l’«amico inseparabile», sempre a portata di mano (perlopiù la destra). Stando però alle attuali prospettive della digital identity, è noto che gli ambienti più «avanzati» puntano sul microchip sottocutaneo come forma ottimale di inseparabilità (niente di paranoico in tutto questo, è una possibilità estremamente concreta che varie aziende, per esempio svedesi, stanno sperimentando su migliaia di volontari). Un codice continuamente aggiornabile, leggibile dall’esterno (in qualsiasi negozio o servizio o attività), e fisicamente inseparabile dal suo portatore appunto perché «incorporato» al portatore. Sulla mano destra, che si usa di più? Sulla fronte, che già esponiamo docili per la misurazione della temperatura? Tra l’altro, anche la moda universale del tatuaggio, regina assoluta della body art, appartiene a una neo-visione antropologica che ammette come naturale, come «trendy», una modifica permanente della propria pelle, e che finirà per ammettere come «trendy» anche una modifica sottopelle: non per una necessità sanitaria come il pace-maker o la protesi (che nessuno esibisce), ma come uno status symbol appunto da esibire, come in altri tempi più rudimentali il Rolex d’oro o semplicemente l’anello nuziale. Quanto al famoso «numero» apocalittico, il fatto che il valore numerico della tripla «w» ebraica (waw, waw, waw, World Wide Web) corrisponda esattamente (considerata come acronimo) al famoso numero apocalittico è una circostanza inquietante su cui richiamava l’attenzione l’eretico e geniale Geminello Alvi. Non è certamente un caso. Si potrebbe se mai interpretarlo, benevolmente, come una diabolica goliardata da parte di ambienti non privi di cognizioni qabbalistiche. La goliardata di costringere chiunque voglia accedere al Web, a digitare o comunque a utilizzare la famosa sigla luciferina, che, come il triplice accordo iniziale nel Flauto magico di Mozart, ma rovesciato di segno, apre il meraviglioso mondo della Rete. Ci sono altri esempi forse «goliardici» in questo senso, come il vecchio numero di centralino della Fiat, nella storica sede torinese di Corso Marconi (sempre il solito numero a tre cifre): una probabile provocazione in stile torinese-mefistofelico, covata negli stessi ambienti che, sfidando la «superstizione religiosa», adottarono come nome dell’azienda una allusione al terzo versetto della Genesi («e Dio disse fiat lux»). Era il 1899. Non molti anni prima - e la divagazione è solo apparente - Giosué Carducci inneggiava a «Satana» (1863), celebrato Signore dell’Innovazione Tecnologica, e a cui, nella Torino positivistico-muratoria di fine secolo, dedicherà un ponderoso volume uno studioso eminente ed eruditissimo come Arturo Graf: era l’anno 1889, lo stesso anno dell’impazzimento di Nietzsche sempre a Torino (1889) (e dell’incredibile tela di Franz Von Stuck - alla Lenbach Haus di Monaco - sulla Caccia selvaggia, dove il Cacciatore selvaggio ha le fattezze di Adolf Hitler, nato a Braunau sull’Inn appunto nello stesso anno, 1889). Sempre a Torino, anni prima (1855), le famose «profezie» di don Giovanni Bosco sulle prossime sciagure di Casa Savoia non avevano impedito l’approvazione della legge Rattazzi sull’abolizione degli ordini religiosi, fortemente voluta da quegli ambienti che, nella stessa neo-capitale del Regno, vorranno erigere di lì a poco la sfida babelica della Mole Antonelliana: la gigantesca Torre in mattoni puntata contro il Cielo e ultimata, col «genio alato» posto sulla guglia, nello stesso incredibile anno 1889. Mah. Digressioni a parte e tornando al numero apocalittico, si potrebbe interpretare l’allusione del Web al numero della Bestia come uno scherzo, appunto, in grande stile perpetrato dai goliardi nerd di Silicon Valley. Si potrebbe. È invece molto più difficile ridurre a uno scherzo in grande stile l’operazione della digital identity via pass. Perché il Web come tale (la «ragnatela» onniavvolgente) non è certo uno scherzo in grande stile, e c’è ben poco da scherzare in un programma di tracciamento universale degli individui e delle rispettive transazioni finanziarie anche banali, fino alla prospettiva ormai non più distopica del pass fisicamente incorporato. Resta l’impressione di un vertiginoso «cortocurcuito» tra la visione di Giovanni a Patmos e il presente più bruciante: uno di quei rari casi in cui il tempo lineare «collassa» e strane finestre si aprono su un futuro che è già presente. Non è un caso che il simbolo di Giovanni sia proprio l’aquila, lo sguardo aquilino. Gli scettici sorridano, l’intelligenza non sorriderà.
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