2024-03-06
Per finanziare il pass eterno si usano i soldi destinati alle vittime di effetti avversi
Il decreto sul Pnrr riesuma la piattaforma del certificato e stanzia oltre 5 milioni, da prelevare dal fondo per i danneggiati. Orazio Schillaci in retro: «Cambieremo la norma». Il diavolo, al solito, sta nei dettagli. Qui però ci troviamo di fronte a un demone bello grosso, e i dettagli sono particolarmente inquietanti. In buona sostanza c’è una brutta sorpresa - solo in parte spiegabile - che contiene una sorpresa ancora peggiore. Vediamo di spiegare. Il 2 marzo è stato presentato il decreto legge numero 19 intitolato Ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). All’articolo 43 si trova un passaggio decisamente disturbante che riportiamo: «Per far fronte a eventuali emergenze sanitarie, nonché per agevolare il rilascio e la verifica di certificazioni sanitarie digitali utilizzabili in tutti gli Stati aderenti alla rete globale di certificazione sanitaria digitale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la Piattaforma nazionale digital green certificate […] emette, rilascia e verifica le certificazioni di cui al medesimo articolo 9 del decreto-legge n. 52 del 2021 e le ulteriori certificazioni sanitarie digitali individuate e disciplinate con uno o più decreti del ministro della Salute, adottati di concerto con il ministro dell’Economia e delle finanze e previo parere del Garante per la protezione dei dati personali». Non è difficile capire che cosa voglia dire tutto ciò: il decreto che mette a terra il Pnrr di fatto istituzionalizza l’infrastruttura digitale del green pass, che riemerge dal buco nero della Storia in cui speravamo venisse confinato per riproporsi come realtà per il prossimo futuro. Non che non ce lo aspettassimo. Anzi, abbiamo ripetutamente scritto su queste pagine che il grande esperimento di controllo realizzato durante la pandemia sarebbe servito alle istituzioni europee per mettere a punto il portafoglio digitale che con tutta probabilità conterrà le nostre vite da qui a qualche anno. Trovarlo scritto nero su bianco in una legge dello Stato, tuttavia, suscita comunque un certo malumore. Vanno fatte, per amore di onestà e per non incendiare eccessivamente gli animi, alcune specifiche. Nel senso che questo provvedimento potrebbe persino avere una sua ragion d’essere, per quanto contestabile. Ha provato a chiarirla ieri, con un post su X, Claudio Borghi della Lega. «Non siamo soli al mondo e se internazionalmente hanno adottato quella piattaforma significa che devi averla anche tu nel caso che tu voglia viaggiare in uno Stato che richiede determinate profilassi, foss’anche per la solita febbre gialla per viaggiare in Africa», ha scritto il senatore. «Estendo il concetto: se domani Macron mette il green pass per l’antivaiolosa e uno vuole lo stesso viaggiare in Francia tu stato devi poterla fornire in un formato accettato, altrimenti neghi ai tuoi cittadini la possibilità di viaggiare». Borghi si è spinto oltre nel tentativo di rassicurare i suoi follower: «Finché ci siamo noi, qui in Italia nessuno ti obbligherà. Il punto è se altri nel mondo decidono di mettere obblighi. Tu e io gli possiamo fare un bel dito medio e stiamo comodi a casa nostra. Abbiamo però il diritto di impedire a tutti di viaggiare in quei Paesi anche se vogliono? […] La mia sovranità finisce dove inizia la sovranità degli altri. Il trattato pandemico impone obblighi a me, quindi lo rifiuto. Se il Paese XYZ pretende che tutti quelli che arrivano lì si rasino i capelli è una decisione sua e di chi ci vuole andare. Se tu domani vuoi andare che so, in Niger, devi avere obbligatoriamente la vaccinazione contro la Febbre gialla (è così da anni). Se non ce l’hai non ti fanno entrare. Dall’anno scorso il formato internazionale con cui si presenta il certificato è quello del green pass».La spiegazione, va detto, è molto chiara. Ma non è molto rassicurante (lo stesso esponente leghista lo ammette). Il fatto che ora al governo ci sia una coalizione che - almeno sulla carta - ha rinnegato le restrizioni sanitarie non garantisce che da qui a qualche tempo non arrivi qualcuno con la passione per gli obblighi e le chiusure. Non solo: nemmeno con questo esecutivo c’è da stare troppo sereni, anche perché all’interno dei ministeri - e in particolare di quello della Salute - ci sono ancora parecchi collaborazionisti del vecchio regime. E qui veniamo alla seconda e più sconvolgente parte del problema, che riguarda i soldi. Nel decreto si legge che «al fine di assicurare l’evoluzione della Piattaforma nazionale-Dgc per il collegamento della stessa alla rete globale di certificazione sanitaria digitale dell’Oms, nonché di assicurare la conduzione e manutenzione ordinaria della stessa, è autorizzata la spesa di euro 3.850.000 per l’anno 2024, da gestire nell’ambito della vigente convenzione tra il ministero dell’Economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato e la società Sogei Spa. A decorrere dall’anno 2025, per la conduzione e manutenzione ordinaria della Piattaforma nazionale-Dgc è autorizzata la spesa di euro 1.850.000 annui». Non sono cifre allucinanti, anzi. Ma i guai cominciano quando si scopre da dove vengono presi questi denari. Il decreto spiega che «all’onere derivante dai commi 2 e 3, si provvede mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 20, comma 1-bis, del decreto legge 27 gennaio 2022, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2022, n. 25». L’articolo della legge del 2022 citata rientra nelle «disposizioni in materia di vaccini anti Sars-CoV2 e misure per assicurare la continuità delle prestazioni connesse alla diagnostica molecolare». Di che cosa si occupa tale articolo? Di indennizzi che spettano «alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge, anche a coloro che abbiano riportato lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, a causa della vaccinazione anti Sars-CoV-2 raccomandata dall’autorità sanitaria italiana». Capito che significa? Che i soldi per tenere in piedi la struttura digitale del green pass del futuro verranno presi dal fondo destinato agli indennizzi dei danneggiati da vaccino. Il che è semplicemente abominevole: lo strumento di oppressione viene finanziato con i soldi degli oppressi che hanno riportato danni gravi. Fin qui l’orrore. Bisogna però - per essere schifati ma onesti - prendere in considerazione anche le (non tantissime) attenuanti. Il fondo per risarcire i danneggiati, almeno sulla carta, non ha una dotazione fissa, ma può essere alimentato a seconda delle esigenze. Tradotto: i soldi presi per pagare il green pass potrebbero anche essere compensati da ulteriori versamenti. Di nuovo, però, questo non ci rassicura molto. Resta dunque una speranza: il decreto legge che istituzionalizza la tessera sanitaria deve ancora passare al vaglio del Parlamento. Vuol dire che c’è ancora tempo per modificarlo, e ci auguriamo che la maggioranza provveda a farlo il più velocemente possibile. Quanto stabilito dal decreto, infatti, è semplicemente inaccettabile, offensivo per tutti coloro che sono stati sottoposti a restrizioni e obblighi. È talmente allucinante da far pensare che qualcuno, dentro al ministero della Salute, abbia voluto giocare un brutto tiro a questo governo: a pensar male… In ogni caso, scaricare le colpe non si può: a questo orrore va posto rimedio prima di subito. Orazio Schillaci, nella serata di ieri, ha assicurato che il governo provvederà a correggere il tiro: «A seguito dell’approvazione in Consiglio dei ministri del decreto-legge del 26 febbraio, ritengo utile precisare che il governo non ha alcuna intenzione di aderire al cosiddetto green pass globale dell’Oms. In sede di conversione del decreto-legge, verrà presentato un emendamento per riformulare il testo e ricondurre la norma agli obiettivi Pnrr in tema di salute, a partire dalla piena operatività del fascicolo sanitario elettronico», queste le parole del ministro. Sul tema si è espresso anche Marcello Gemmato, sottosegretario in quota Fratelli d'Italia. «In merito al cosiddetto green pass globale dell’Oms, questo governo non ha intenzione di aderirvi», assicura. «Come già comunicato dal ministro Schillaci, verrà presentato un emendamento - in sede di conversione del decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 26 febbraio - per riformulare il testo e ricondurre la norma agli obiettivi Pnrr in tema di salute». Vedremo se alle parole seguiranno i fatti: a questo punto è obbligatorio più del vaccino. Resta da capire per quale motivo nel testo dei decreti possano entrare certe aberrazioni: chi le inserisce? Qualche tecnico che risponde ad altri interessi che non siano quelli del governo? Qualche burocrate rimasto ai tempi di Speranza? Sarebbe opportuno appurarlo e prendere provvedimenti. A oggi, fidarsi è bene, non fidarsi è meglio..
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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