2021-05-28
Partiti spiazzati: Semplificazioni oggi in Cdm
Mario Draghi (Pool /Insidefoto/Augusto Casasoli/Mondadori Portfolio via Getty images)
Cambio di agenda, meno tempo per litigare. Salta il massimo ribasso ma verrà alzata oltre il 40% la soglia per i subappalti. Resta lo scontro con i sindacati, innescato da Andrea Orlando, sul blocco dei licenziamenti. Maurizio Landini minaccia uno sciopero generale.Il dem dopo il no di Mario Draghi alla tassa di successione: «Troveremo la miglior sintesi»Lo speciale contiene due articoli.Si va verso un compromesso complessivamente ragionevole, anche se i sindacati - Cgil in testa - mentre rivendicano un risultato positivo sulle semplificazioni, continuano a dichiararsi sul piede di guerra sui licenziamenti. Ma procediamo con ordine. Oggi andrà in Consiglio dei ministri il decreto Semplificazioni: possibile che vada tutto liscio, o che invece occorra ancora qualche altro giorno per le limature. Ma siamo sostanzialmente in dirittura d'arrivo, anche considerando il doppio impegno assunto dal governo con Bruxelles: varo del provvedimento entro fine maggio e sua conversione in legge entro giugno (obiettivo più difficile, visto che il Parlamento ha tempo 60 giorni per convertire i decreti).Ieri Mario Draghi, insieme al ministro del Lavoro Andrea Orlando, ha visto i rappresentanti sindacali. Alcune ore prima si era invece riunita la cabina di regia (organo, come si sa, costituzionalmente inesistente, eppure ormai affermatosi di fatto). Presenti, con Draghi, i ministri Vittorio Colao, Roberto Cingolani, Enrico Giovannini, Andrea Orlando, Dario Franceschini, Daniele Franco, Massimo Garavaglia, Renato Brunetta, Elena Bonetti, Roberto Speranza, Fabiana Dadone, più il sottosegretario Roberto Garofoli. Giancarlo Giorgetti era in collegamento online. Risultato? Su richiesta pressoché generale, è stato accantonato - per essere bocciato - il criterio del massimo ribasso, un po' da tutti ritenuto nemico della qualità delle offerte e quindi delle opere pubbliche da realizzare. Il solito Enrico Letta, reduce da una sequenza di umiliazioni, ha provato a mettere il cappello su questo punto: «L'eliminazione del massimo ribasso è un ottimo segnale. L'avevamo chiesto con forza. Bene». Ma in realtà - su questo - erano e sono d'accordo tutti. Ecco infatti la reazione di Matteo Salvini: «Non si parlerà più di appalti al massimo ribasso per le opere pubbliche, che non tutelano l'interesse collettivo e nemmeno quello delle imprese sane».Dopo di che, per ciò che riguarda invece il subappalto, si profila un innalzamento oltre il 40% della quota dei lavori che potrebbero andare in subappalto, anche considerando la struttura delle imprese operanti in Italia. Su questo, i sindacati incassano una mezza sconfitta. Ma recuperano con una mezza vittoria sul trattamento normativo di tutti i lavoratori coinvolti: anche quelli legati alle imprese in subappalto si vedranno infatti applicare le norme del contratto collettivo nazionale dei lavoratori facenti capo alle imprese appaltatrici. Insomma, un compromesso che potrebbe tenere, come sottolinea il ministro per le Pari opportunità e la famiglia Elena Bonetti, secondo cui la situazione «si sta ricomponendo grazie al metodo, all'efficacia e all'efficienza del presidente Draghi». Il decreto va in cdm, dunque? «Penso di sì», risponde la renziana.Morale, oggi in Cdm dovrebbero arrivare il decreto semplificazioni e il Pnrr, con i suoi cosiddetti tre pilastri: la progettazione della governance del piano stesso, le semplificazioni e un piano di reclutamento nella pubblica amministrazione. Resta da capire quale sarà l'atteggiamento del sindacato, a partire dalla Cgil di Maurizio Landini, sull'altro corno della questione, e cioè la norma sui licenziamenti. Fallito il blitz di Orlando, che voleva estendere lo stop per un tempo eccessivamente lungo, sembra ormai acquisita l'altra mediazione voluta da Draghi: stop fino a fine giugno, e poi possibilità di licenziare tranne che per le imprese che ricorrono alla cassa integrazione. In sostanza non un divieto assoluto di licenziare ma un forte disincentivo a farlo. Su questo però una Cgil in cerca di protagonismo minaccia ancora sciopero. Il che rischia di essere incomprensibile nel metodo (rilanciare l'economia di un Paese con uno sciopero generale è un'impostazione per lo meno curiosa), oltre che massimalista e ideologico nel merito, perché una norma come quella inizialmente ipotizzata dal ministro del Lavoro avrebbe caricato sulle imprese un'alea enorme, tale da poterle schiacciare, in ultima analisi mettendo a rischio tutti i posti di lavoro, non solo alcuni. Vedremo se anche su questo, dopo la mossa falsa di Orlando, il Pd continuerà a dare spago a Landini. Resta infatti un punto politico di fondo, che riporta alla sostanziale inaffidabilità del Pd: se non ci fosse stato il tentato blitz di Orlando, poi inevitabilmente costretto a fare un passo indietro, la Cgil non avrebbe avuto il pretesto di scatenare lo scontro col governo a causa del successivo cambiamento della norma. Magari Landini avrebbe lo stesso alzato i toni, ma è stato Orlando a offrirgli l'occasione su un piatto d'argento. A testimonianza del fatto che il Pd, lungi dall'essere forza stabilizzatrice del governo, crea un problema al giorno. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/partiti-spiazzati-semplificazioni-oggi-in-cdm-2653128289.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="letta-a-palazzo-chigi-per-ricucire-e-da-incendiario-diventa-pompiere" data-post-id="2653128289" data-published-at="1622141894" data-use-pagination="False"> Letta a Palazzo Chigi per ricucire. E da incendiario diventa pompiere Un Enrico Letta in uno stato di palpabile difficoltà politica ha varcato ieri il portone di Palazzo Chigi, dopo la sequenza di problemi (tutti evitabili, tutti volontariamente procurati) che lui stesso ha causato al governo e alla maggioranza. L'elenco è così lungo da essere ormai difficile da recitare a memoria: ius soli, legge Zan, voto ai sedicenni, tassa di successione, fino alle ultime sparate del Pd su licenziamenti e semplificazioni. Dopo la stroncatura della scorsa settimana da parte di Mario Draghi in persona dell'aumento della tassa di successione («Non è tempo di prendere soldi, è tempo di darne»), Letta si era affrettato a rendere nota una sua telefonata di presunto chiarimento con il premier, precisando in un comunicato, con una certa coda di paglia, che con Draghi c'è «consuetudine di rapporti». Non sfugge a nessuno che, nella vita personale e nella politica, quando c'è tale consuetudine, non si avverte il bisogno di ribadirla per iscritto. La realtà è che a Palazzo Chigi c'è irritazione crescente verso il Pd: e non solo per le rodomontate direttamente ascrivibili a Letta, ma anche per il ruolo incendiario che il ministro Andrea Orlando, nella partita sui licenziamenti, ha giocato rispetto alla Cgil. È per questo che Letta ieri è andato a Canossa, naturalmente cercando - subito dopo - di dissimulare l'imbarazzo, e anzi di rivendicare la tenuta delle sue posizioni. Ecco infatti il tweet post meeting: «Lungo e proficuo colloquio a Chigi con Draghi. Sintonia piena e determinazione ad accelerare le riforme su giustizia, fisco, lavoro e semplificazioni che sono alla base del patto con l'Ue, riforme per le quali porteremo le nostre idee e troveremo le migliori sintesi. Avanti». E ancora: «Con Draghi abbiamo parlato delle grandi riforme, quella della giustizia, che è importantissima, la riforma del fisco, dentro cui noi proporremmo varie idee, fra cui quella sulla successione per i patrimoni più ricchi, poi le semplificazioni, il mercato del lavoro. Con Draghi abbiamo condiviso un metodo, noi portiamo le nostre proposte, lavoriamo nella stessa direzione». Il tentativo di salvare capra e cavoli è fin troppo evidente: da un lato, provare a riaccreditarsi come leale forza di maggioranza; dall'altro, ribadire che Letta e il Pd non rinunceranno alle loro posizioni («Porteremo le nostre idee»). Insomma, tirare la corda per poi trovare «le migliori sintesi». In giornata Letta ha anche riunito la segreteria del partito al Nazareno con all'ordine del giorno la riforma fiscale e le proposte dem, oltre alle elezioni amministrative di ottobre. Anche qui un tentativo un po' affannoso di presentarsi come partito «sia di lotta sia di governo», in realtà barcamenandosi tra una sostanziale subalternità all'agenda Draghi e il tentativo di far vedere che invece esiste anche un'agenda Letta. Operazione finora pateticamente fallita: tutti vedono che, in mancanza di un'effettiva capacità di incidere, il Pd lettiano si è buttato sulla mera propaganda, peraltro largamente inefficace. In fin dei conti, il neosegretario sconta due contraddizioni ormai brucianti. La prima è quella di aver provato - all'inizio del suo mandato - ad accreditare la Lega come forza destabilizzatrice e il Pd come partito leale e credibile: ora, però, i fatti stanno clamorosamente dimostrando il contrario. La seconda contraddizione sta nell'altra operazione non riuscita: quella di assorbire e contemporaneamente «civilizzare» i grillini. L'assorbimento è fallito, visto che (a partire da Roma) il M5s farà corsa autonoma alle amministrative, e anche culturalmente è proprio il Pd (si pensi all'ennesimo bonus proposto da Letta stesso) che sembra subire la peggiore influenza pentastellata. Non viceversa.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)