
Emmanuel Macron caldeggia Mr. Bce a Bruxelles, eppure l’ex banchiere è più vicino alla Casa Bianca e lontano dalla Cina.L’ipotesi che la prossima Commissione europea possa essere guidata da Mario Draghi è ormai di fatto sul tavolo. Certo: il diretto interessato ha smentito. Ed è anche vero che bisognerà attendere le elezioni europee di giugno per capire quali scenari potrebbero concretizzarsi. Tuttavia non è affatto escludibile che Mr. Bce possa succedere a Ursula von der Leyen. Al momento, la sua candidatura sarebbe ufficiosamente caldeggiata soprattutto dalla Francia. Evidentemente Emmanuel Macron punta a un duplice obiettivo: mettere con le spalle al muro i tedeschi e creare delle difficoltà interne a Giorgia Meloni. Se la carta Draghi dovesse infatti essere prima o poi ufficializzata, per il nostro presidente del Consiglio si profilerebbe un dilemma: se si intesta il suo predecessore, rischia di esporsi ai malumori antiestablishment di parte dell’elettorato italiano; se non lo fa, rischia di spingere l’eventuale nuovo capo dell’esecutivo europeo tra le braccia dell’inquilino dell’Eliseo. Tuttavia attenzione: perché, sponsorizzando l’ex governatore della Bce, Macron potrebbe rischiare un sonoro effetto boomerang. In Italia, Draghi non è espressione della «cordata» filofrancese e filocinese tipica di buona parte del centrosinistra nostrano. È pur vero che fu lui a siglare il trattato del Quirinale a novembre 2021: è tuttavia noto che il vero artefice e garante di quel patto non era l’allora inquilino di Palazzo Chigi, ma il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Quello stesso Mattarella che, a marzo 2019, ricevette al Quirinale il presidente cinese, Xi Jinping, che si era recato a Roma per firmare il memorandum d’intesa sulla Nuova via della seta. Draghi, dal canto suo, è più vicino agli Stati Uniti. Intrattiene storici e solidi rapporti con l’attuale segretario al Tesoro americano, Janet Yellen. E, a giugno 2019, riscosse parole di apprezzamento anche dall’allora presidente statunitense, Donald Trump. Eh sì, perché anche pezzi del mondo conservatore d’Oltreatlantico hanno un’opinione positiva di Draghi: soprattutto alla luce del fatto che, da premier, invertì la rotta di Giuseppe Conte, raffreddando notevolmente i rapporti con Pechino. Una linea, questa, che è stata fatta propria dalla Meloni, la quale - guarda caso - ha recentemente ufficializzato l’addio di Roma alla Nuova via della seta. Non sarà del resto un caso che, nel 2022, l’unica alternativa concreta al Mattarella bis per il Quirinale fosse proprio Draghi. Ora, non è un mistero che la Francia non sia storicamente interessata a rafforzare le relazioni transatlantiche. Macron ha sempre puntato a tenere l’anglosfera abbastanza lontano da Bruxelles (si pensi solo alla sua linea dura nei negoziati sulla Brexit e alle posizioni non troppo convergenti tenute da Parigi e Londra sulla crisi ucraina). Inoltre, il presidente francese si è recato in Cina lo scorso aprile, consolidando significativamente i legami tra l’Eliseo e Pechino. Insomma, non è che ci sia tutto questo allineamento tra Macron e Draghi dal punto di vista geopolitico. Non è quindi affatto detto che un’eventuale Commissione guidata da Mr. Bce andrebbe incontro ai desiderata del presidente francese. Anche perché, sempre dal punto di vista geopolitico, Draghi sembra assai più in consonanza con la Meloni (soprattutto per quanto riguarda le relazioni transatlantiche). Questo vuol dire che il presidente francese rischierebbe di ritrovarsi con una Commissione europea molto più atlantista di quelle guidate dalla von der Leyen e da Jean-Claude Juncker (due Commissioni che, per inciso, hanno reso Bruxelles più vicina a Pechino e Teheran). È pur vero che, secondo Repubblica, l’operazione Draghi vedrebbe alla sua base un asse tra Macron e Joe Biden. Ciononostante, sebbene un certo mondo liberal tenda ad appaiare i due presidenti, la situazione è ben più complessa. Basti ricordare la tensione diplomatica tra la Casa Bianca e l’Eliseo sulla questione dei sottomarini a settembre 2021. Washington non ha inoltre mai gradito il velleitario iperattivismo diplomatico di Macron sull’Ucraina né il suo viaggio di aprile in Cina. Questo significa che, se anche Macron e Biden stessero realmente collaborando per favorire l’ascesa di Draghi alla guida della Commissione europea, i due leader sarebbero verosimilmente mossi da obiettivi differenti (se non addirittura antitetici). Qui il tema vero verte sui rapporti geopolitici e non su presunte alleanze contro gli spauracchi del «sovranismo» o del «trumpismo». A questo punto si registrano varie incognite. Primo: quale maggioranza eventualmente sosterrebbe una Commissione Draghi? Ovviamente la politica estera della futura Unione europea dipenderebbe molto da questo fattore, tenendo sempre bene a mente che finora il gruppo europeo tendenzialmente più atlantista si è rivelato proprio l’Ecr, laddove nel Ppe si registra una corrente che guarda a sinistra e che non esclude di strizzare l’occhio alla Cina. Secondo: in un’eventuale maggioranza a sostegno di Draghi il Pse entrerebbe? E, in caso, a chi andrebbe la poltrona di Alto rappresentante per la politica estera? Si tratta infatti di un ruolo che dal 1999 è sempre stato ricoperto proprio dai socialisti. Un ulteriore elemento da considerare è che i giochi per la prossima Commissione Ue si terranno proprio nelle settimane in cui entrerà nel vivo la campagna per le elezioni presidenziali statunitensi del prossimo novembre. Un fattore che, in quella fase cruciale, potrebbe distogliere l’attenzione di Washington da Bruxelles.
Ansa
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Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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