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2018-11-17
Parigi è quasi araba e si indigna per Riace
ANSA
Prima si era paragonato a un oppositore del Terzo Reich («Anche le leggi del periodo nazista erano legalità, ma averle osservate è stato un dramma per l'umanità»). Poi aveva proiettato la sua cittadina nell'eternità dell'epica omerica («Più la colpiscono e più rendono mitica Riace, proprio come Troia»). Insomma, l'ego di Mimmo Lucano di tutto aveva bisogno tranne che il Comune di Parigi si occupasse di lui.
E invece ci tocca vedere anche questo, ben consapevoli che la cosa non farà affatto bene a quel «delirio da sovraesposizione» constatato da una fonte al di sopra di qualsiasi sospetto, come il prefetto Mario Morcone, presidente del Consiglio italiano per i rifugiati, già direttore del Dipartimento che si occupava dei richiedenti asilo.
I fatti: il consiglio comunale della capitale francese ha approvato una delibera in sostegno del sindaco di Riace. Nel documento si legge che «la decisione della giustizia italiana di sospendere il primo cittadino dal suo incarico di primo cittadino è una decisione politica inaccettabile». L'iniziativa di sostegno a Mimmo Lucano è stata promossa dai gruppi Communistes-Front de Gauche, Groupe écologiste e Génération.s. Nel testo si esprime quindi l'auspicio che il sindaco Anne Hidalgo inviti Lucano in città «a testimonianza del sostegno della città di Parigi». Nel testo approvato si plaude alle «eccezionali azioni di solidarietà realizzate da Domenico Lucano» nell'accoglienza dei migranti, in quanto «il sindaco di Riace ha dimostrato che una tale politica è possibile a livello comunale e che è compatibile con il rispetto, la dignità e il benessere dei suoi abitanti».
Alla Hidalgo viene quindi chiesto di «scrivere all'ambasciata della Repubblica italiana per condividere la preoccupazione del Consiglio di Parigi rispetto al trattamento subito da Domenico Lucano». Alla prima cittadina di Parigi viene anche chiesto di «rivolgersi ai propri omologhi sindaci italiani» per riaffermare «la necessaria protezione dei rappresentanti locali e testimoniare solidarietà al sindaco di Riace».
Un appello che non dovrebbe cadere nel vuoto, se è vero che la Hidalgo, già all'epoca in cui fu emesso il divieto di dimora nei confronti del controverso primo cittadino, twittò: «Solidarietà totale a Domenico Lucano, sindaco di Riace condannato all'esilio per aver accolto dei migranti». Il tutto condito dagli hashtag «Riace non si arresta» e «Riace in ogni città». Si noterà, di sfuggita, che né in questi tweet, né nella delibera si fa menzione delle gravi accuse che pendono sul capo di Lucano. Da apprezzare anche la faccia tosta con cui un divieto di dimora, misura ovviamente temporanea e che viene regolarmente comminata a migliaia di altri normalissimi cittadini italiani, viene spacciato per il più drastico e poetico «esilio». Il sindaco che accoglie coloro che sono scacciati dalle loro terre diventa a sua volta esule: perfetto, per costruire una narrazione strappalacrime, ma decisamente poco aderente alla realtà.
Quanto invece all'idea di costruire una «Riace in ogni città», la Hidalgo sembra comunque già di suo sulla buona strada: pensiamo solo ai ragazzini nordafricani che scorrazzano per le strade del quartiere della Goutte-d'Or, violenti e drogati che di notte vanno a dormire nelle lavatrici automatiche, come avevamo documentato a suo tempo. Non è certo l'unica situazione a rischio della capitale parigina, che ha serissimi problemi di ordine pubblico in tutta la sua periferia. Tanto che verrebbe da dire che è stata semmai la capitale francese a esportare un modello: una banlieue in ogni città.
L'attrazione della Francia per Lucano non è del resto nuova: alla fine di ottobre, un appello per la sua «liberazione immediata» era stato diffuso sui media (se ne trova traccia per esempio sul sito de L'Humanité, l'ex organo ufficiale del Partito comunista francese).
Il tono è da ciclostilato dei collettivi degli anni Settanta: «Di fronte all'offensiva scatenata contro i migranti, i poveri e coloro che li sostengono dal ministro dell'Interno italiano, Matteo Salvini, noi denunciamo questo arresto e affermiamo pubblicamente la nostra solidarietà piena e integrale con coloro che, come Mimmo Lucano, sono entrati in lotta o si apprestano a farlo». Seguiva una lista dei primi firmatari: Mireille Alphonse, vicesindaco di Montreuil, Clémentine Autain, deputata de La France Insoumise, Bally Bagayoko, vicesindaco di Saint Denis, Joel Besse, sindaco di Tarnac Philippe Bouyssou, sindaco d'Ivry-sur-Seine, Elsa Faucillon, deputata del partito comunista, e così via.
Alcuni delle città citate, con amministratori così attenti alla cronaca italiana e all'eterno rischio fascismo che incomberebbe sull'Italia, sono peraltro collocate proprio in quelle periferie violente e completamente arabizzate di cui si diceva: pensiamo a Montreuil, a Saint Denis, a Ivry-sur-Seine. Comuni che forse avrebbero bisogno di uscire da questo trip ideologico e cominciare a guardare in faccia i problemi derivanti da quell'immigrazione incontrollata che loro sembrano volere, invece, con ancor meno controlli.
Adriano Scianca
L’imam che esultò per Charlie Hebdo fa la star nelle moschee di Torino
In Tunisia gli hanno vietato di fare sermoni, in Quebec gli hanno impedito di tenere una conferenza e, dove va a predicare il suo islam radicale, l'imam estremista finito pure in galera? Ma in Italia, ovviamente. E per la precisione a Torino dove, in queste ore Béchir Ben Hassen, l'uomo che nel 2015 giustificò l'attentato a Charlie Hebdo sostenendo, in buona sostanza, che quei giornalisti se l'erano andata a cercare, sta facendo il tour delle moschee per parlare di Maometto, di legge coranica e perché no, per cercare proseliti alla sua visione integralista contraria alla libertà di opinione, all'alcol e ai festeggiamenti di qualsiasi tipo.
Non è uno scherzo: due giorni fa, il predicatore, arrivato in città è stato accolto come un divo nella moschea di corso Giulio Cesare, mentre, ieri, avrebbe visitato quella di via Saluzzo, senza che nessuno trovasse nulla di particolarmente strano, nella sua presenza.
Eppure Béchir Ben Hassen, membro dell'Unione mondiale degli studiosi dell'Islam, è ben noto per le sue posizioni estremiste.
Durante una diretta su internet, seguitissima dai suoi numerosi seguaci (sono più di 50.000 i fanatici che lo seguono sul web) il 10 gennaio del 2015 parlando della strage di Charlie Hebdo sostenne che «la punizione per chiunque insulti il profeta Maometto è la morte e dovrà essere punito». A causa delle sue prediche radicali, persino in Tunisia, Paese a maggioranza musulmana, la sua presenza non è ben tollerata.
Già dal 2012 le autorità tunisine lo tenevano d'occhio. A quel tempo l'imam si era avvicinato al capo della Fratellanza musulmana tunisina, Rached Ghannouchi, con il quale, a quanto risulta, avrebbe voluto proporre un referendum per applicare la sharia in Tunisia. E in seguito, anche nei momenti più caldi del terrorismo di matrice islamica, non fece mai segreto delle proprie convinzioni arrivando, in diverse occasioni pubbliche, a professare apertamente l'astinenza dall'alcol, sostenendo che la vendita dovrebbe essere vietata, ad esprimersi contro l'emancipazione femminile e a sostenere che molti festeggiamenti (tra cui quello di San Valentino) andrebbero aboliti. Per questo lo Stato tunisino, lo scorso marzo, accogliendo le proteste dei moderati, ha deciso di vietargli la possibilità di tenere orazioni pubbliche.
E in Quebec non gli è andata meglio. Nel marzo del 2015 l'Università di Laval aveva programmato una lezione contro la radicalizzazione islamica che prevedeva anche la sua presenza. Prima dell'evento, però, ci fu una levata di scudi da parte della politica: «Siamo interdetti nell'apprendere che quest'uomo a cui sono vietati i sermoni in Tunisia, che è stato cacciato da una moschea e arrestato dall'Interpol nel 2013 abbia il diritto di venire a spiegare ai nostri studenti come prevenire la radicalizzazione», sostenne pubblicamente la deputata Nathalie Roy, ottenendo la cancellazione di quello e di tutto il ciclo di incontri a cui il predicatore aveva previsto di partecipare.
Recentemente, in Francia Ben Hassen è stato condannato a sei mesi di carcere per aver diffamato un professore svizzero, mentre in Marocco è stato pure arrestato, dietro mandato dell'Interpol, per essersi rifiutato di concedere alla ex moglie la custodia dei loro quattro figli.
Nonostante questo, lo scorso ottobre, l'imam è stato ospite della comunità musulmana trentina e ha predicato nelle moschee di Trento, già segnalate come possibili focolai di radicalizzazione terroristica, mentre ora è Torino ad accoglierlo a braccia aperte.
Alessia Pedrielli
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Il consiglio comunale della capitale francese approva una delibera in sostegno di Mimmo Lucano: «Sua sospensione inaccettabile». A quanto pare le periferie in fiamme e le bande di migranti violenti che girano per la città transalpina non hanno insegnato nulla.L'imam che esultò per Charlie Hebdo fa la star nelle moschee di Torino. Béchir Ben Hassen aveva giustificato il terrorismo. Ora ha tenuto due sermoni in Italia.Lo speciale comprende due articoli.Prima si era paragonato a un oppositore del Terzo Reich («Anche le leggi del periodo nazista erano legalità, ma averle osservate è stato un dramma per l'umanità»). Poi aveva proiettato la sua cittadina nell'eternità dell'epica omerica («Più la colpiscono e più rendono mitica Riace, proprio come Troia»). Insomma, l'ego di Mimmo Lucano di tutto aveva bisogno tranne che il Comune di Parigi si occupasse di lui. E invece ci tocca vedere anche questo, ben consapevoli che la cosa non farà affatto bene a quel «delirio da sovraesposizione» constatato da una fonte al di sopra di qualsiasi sospetto, come il prefetto Mario Morcone, presidente del Consiglio italiano per i rifugiati, già direttore del Dipartimento che si occupava dei richiedenti asilo. I fatti: il consiglio comunale della capitale francese ha approvato una delibera in sostegno del sindaco di Riace. Nel documento si legge che «la decisione della giustizia italiana di sospendere il primo cittadino dal suo incarico di primo cittadino è una decisione politica inaccettabile». L'iniziativa di sostegno a Mimmo Lucano è stata promossa dai gruppi Communistes-Front de Gauche, Groupe écologiste e Génération.s. Nel testo si esprime quindi l'auspicio che il sindaco Anne Hidalgo inviti Lucano in città «a testimonianza del sostegno della città di Parigi». Nel testo approvato si plaude alle «eccezionali azioni di solidarietà realizzate da Domenico Lucano» nell'accoglienza dei migranti, in quanto «il sindaco di Riace ha dimostrato che una tale politica è possibile a livello comunale e che è compatibile con il rispetto, la dignità e il benessere dei suoi abitanti». Alla Hidalgo viene quindi chiesto di «scrivere all'ambasciata della Repubblica italiana per condividere la preoccupazione del Consiglio di Parigi rispetto al trattamento subito da Domenico Lucano». Alla prima cittadina di Parigi viene anche chiesto di «rivolgersi ai propri omologhi sindaci italiani» per riaffermare «la necessaria protezione dei rappresentanti locali e testimoniare solidarietà al sindaco di Riace». Un appello che non dovrebbe cadere nel vuoto, se è vero che la Hidalgo, già all'epoca in cui fu emesso il divieto di dimora nei confronti del controverso primo cittadino, twittò: «Solidarietà totale a Domenico Lucano, sindaco di Riace condannato all'esilio per aver accolto dei migranti». Il tutto condito dagli hashtag «Riace non si arresta» e «Riace in ogni città». Si noterà, di sfuggita, che né in questi tweet, né nella delibera si fa menzione delle gravi accuse che pendono sul capo di Lucano. Da apprezzare anche la faccia tosta con cui un divieto di dimora, misura ovviamente temporanea e che viene regolarmente comminata a migliaia di altri normalissimi cittadini italiani, viene spacciato per il più drastico e poetico «esilio». Il sindaco che accoglie coloro che sono scacciati dalle loro terre diventa a sua volta esule: perfetto, per costruire una narrazione strappalacrime, ma decisamente poco aderente alla realtà. Quanto invece all'idea di costruire una «Riace in ogni città», la Hidalgo sembra comunque già di suo sulla buona strada: pensiamo solo ai ragazzini nordafricani che scorrazzano per le strade del quartiere della Goutte-d'Or, violenti e drogati che di notte vanno a dormire nelle lavatrici automatiche, come avevamo documentato a suo tempo. Non è certo l'unica situazione a rischio della capitale parigina, che ha serissimi problemi di ordine pubblico in tutta la sua periferia. Tanto che verrebbe da dire che è stata semmai la capitale francese a esportare un modello: una banlieue in ogni città. L'attrazione della Francia per Lucano non è del resto nuova: alla fine di ottobre, un appello per la sua «liberazione immediata» era stato diffuso sui media (se ne trova traccia per esempio sul sito de L'Humanité, l'ex organo ufficiale del Partito comunista francese). Il tono è da ciclostilato dei collettivi degli anni Settanta: «Di fronte all'offensiva scatenata contro i migranti, i poveri e coloro che li sostengono dal ministro dell'Interno italiano, Matteo Salvini, noi denunciamo questo arresto e affermiamo pubblicamente la nostra solidarietà piena e integrale con coloro che, come Mimmo Lucano, sono entrati in lotta o si apprestano a farlo». Seguiva una lista dei primi firmatari: Mireille Alphonse, vicesindaco di Montreuil, Clémentine Autain, deputata de La France Insoumise, Bally Bagayoko, vicesindaco di Saint Denis, Joel Besse, sindaco di Tarnac Philippe Bouyssou, sindaco d'Ivry-sur-Seine, Elsa Faucillon, deputata del partito comunista, e così via. Alcuni delle città citate, con amministratori così attenti alla cronaca italiana e all'eterno rischio fascismo che incomberebbe sull'Italia, sono peraltro collocate proprio in quelle periferie violente e completamente arabizzate di cui si diceva: pensiamo a Montreuil, a Saint Denis, a Ivry-sur-Seine. Comuni che forse avrebbero bisogno di uscire da questo trip ideologico e cominciare a guardare in faccia i problemi derivanti da quell'immigrazione incontrollata che loro sembrano volere, invece, con ancor meno controlli. Adriano Scianca<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/parigi-e-quasi-araba-e-si-indigna-per-riace-2620115747.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="limam-che-esulto-per-charlie-hebdo-fa-la-star-nelle-moschee-di-torino" data-post-id="2620115747" data-published-at="1766669011" data-use-pagination="False"> L’imam che esultò per Charlie Hebdo fa la star nelle moschee di Torino In Tunisia gli hanno vietato di fare sermoni, in Quebec gli hanno impedito di tenere una conferenza e, dove va a predicare il suo islam radicale, l'imam estremista finito pure in galera? Ma in Italia, ovviamente. E per la precisione a Torino dove, in queste ore Béchir Ben Hassen, l'uomo che nel 2015 giustificò l'attentato a Charlie Hebdo sostenendo, in buona sostanza, che quei giornalisti se l'erano andata a cercare, sta facendo il tour delle moschee per parlare di Maometto, di legge coranica e perché no, per cercare proseliti alla sua visione integralista contraria alla libertà di opinione, all'alcol e ai festeggiamenti di qualsiasi tipo. Non è uno scherzo: due giorni fa, il predicatore, arrivato in città è stato accolto come un divo nella moschea di corso Giulio Cesare, mentre, ieri, avrebbe visitato quella di via Saluzzo, senza che nessuno trovasse nulla di particolarmente strano, nella sua presenza. Eppure Béchir Ben Hassen, membro dell'Unione mondiale degli studiosi dell'Islam, è ben noto per le sue posizioni estremiste. Durante una diretta su internet, seguitissima dai suoi numerosi seguaci (sono più di 50.000 i fanatici che lo seguono sul web) il 10 gennaio del 2015 parlando della strage di Charlie Hebdo sostenne che «la punizione per chiunque insulti il profeta Maometto è la morte e dovrà essere punito». A causa delle sue prediche radicali, persino in Tunisia, Paese a maggioranza musulmana, la sua presenza non è ben tollerata. Già dal 2012 le autorità tunisine lo tenevano d'occhio. A quel tempo l'imam si era avvicinato al capo della Fratellanza musulmana tunisina, Rached Ghannouchi, con il quale, a quanto risulta, avrebbe voluto proporre un referendum per applicare la sharia in Tunisia. E in seguito, anche nei momenti più caldi del terrorismo di matrice islamica, non fece mai segreto delle proprie convinzioni arrivando, in diverse occasioni pubbliche, a professare apertamente l'astinenza dall'alcol, sostenendo che la vendita dovrebbe essere vietata, ad esprimersi contro l'emancipazione femminile e a sostenere che molti festeggiamenti (tra cui quello di San Valentino) andrebbero aboliti. Per questo lo Stato tunisino, lo scorso marzo, accogliendo le proteste dei moderati, ha deciso di vietargli la possibilità di tenere orazioni pubbliche. E in Quebec non gli è andata meglio. Nel marzo del 2015 l'Università di Laval aveva programmato una lezione contro la radicalizzazione islamica che prevedeva anche la sua presenza. Prima dell'evento, però, ci fu una levata di scudi da parte della politica: «Siamo interdetti nell'apprendere che quest'uomo a cui sono vietati i sermoni in Tunisia, che è stato cacciato da una moschea e arrestato dall'Interpol nel 2013 abbia il diritto di venire a spiegare ai nostri studenti come prevenire la radicalizzazione», sostenne pubblicamente la deputata Nathalie Roy, ottenendo la cancellazione di quello e di tutto il ciclo di incontri a cui il predicatore aveva previsto di partecipare. Recentemente, in Francia Ben Hassen è stato condannato a sei mesi di carcere per aver diffamato un professore svizzero, mentre in Marocco è stato pure arrestato, dietro mandato dell'Interpol, per essersi rifiutato di concedere alla ex moglie la custodia dei loro quattro figli. Nonostante questo, lo scorso ottobre, l'imam è stato ospite della comunità musulmana trentina e ha predicato nelle moschee di Trento, già segnalate come possibili focolai di radicalizzazione terroristica, mentre ora è Torino ad accoglierlo a braccia aperte. Alessia Pedrielli
Giovanni Malagò (Getty Images)
Adesso si trova in Campania, dopo esser passata tra Lazio, Umbria Toscana, Sardegna, Sicilia e Calabria. Molte regioni verranno ripercorse di nuovo, in lungo e in largo. Il 26 gennaio tornerà invece, dopo 70 anni esatti dalla Cerimonia d’Apertura dei Giochi, a Cortina d’Ampezzo e concluderà il suo tragitto a Milano facendo il suo ingresso allo Stadio di San Siro, la sera di venerdì 6 febbraio 2026. 10.000 tedofori la stanno conducendo tra volti noti e persone comuni. I primi volti noti dello spettacolo e dello sport sono il cantante Achille Lauro, Flavia Pennetta, icona del nostro tennis, vincitrice degli US Open 2015 e di 4 Billie Jean King Cup e Francesco Bagnaia, due volte campione del mondo di MotoGP e una in Moto2. Tantissimi altri ancora e altri ce ne saranno. Anche perché la storia del Viaggio della Fiamma è piena di leggende, come Muhammad Alì ad Atlanta 1996, Cathy Freeman a Sydney 2000 e poi ancora la fondista Stefania Belmondo, ultima tedofora di Torino 2006 vent’anni fa nell’ultima edizione invernale italiana, dopo le frazioni di altri campioni olimpici azzurri come Alberto Tomba, Manuela Di Centa, Silvio Fauner e Deborah Compagnoni (nella foto di copertina). Quattro anni prima, invece, l’intera squadra statunitense di hockey maschile del “Miracolo sul ghiaccio” di Lake Placid 1980 che accese il braciere di Salt Lake City 2002 tra la commozione del pubblico statunitense.
La fiamma olimpica nasce con le prime olimpiadi nell'antica Grecia, dove il fuoco sacro ardeva in onore degli dèi durante i Giochi originali. La tradizione moderna è stata reintrodotta con l'accensione del braciere ai Giochi Olimpici di Amsterdam nel 1928 e la prima staffetta della torcia a Berlino nel 1936. Le torce di #MilanoCortina2026 sono un omaggio al design italiano con uno stile che mette al centro la fiamma. Eleganti. Iconiche. Sostenibili. Si chiamano Essential e portano con sé lo spirito dei Giochi che verranno.
La fiamma paralimpica partirà invece il 24 febbraio 2026 e si concluderà il 6 marzo 2026, giorno della cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici all’Arena di Verona. Sfilerà nelle mani di 501 tedofori per 2.000 chilometri in 11 giorni. “La fiamma paralimpica verrà accesa il 24 febbraio a Stoke Mandeville in Inghilterra, storico luogo di nascita dello sport Paralitico - dichiara Maria Laura Iascone, Ceremonies Director di Fondazione Milano Cortina 2026 -. L’arrivo in Italia coinciderà con l’inizio di un viaggio che focalizzerà l’attenzione e l’entusiasmo verso le Paralimpiadi, amplificandone i messaggi di rispetto e inclusività, e generando un volano di entusiasmo, attesa e partecipazione intorno agli atleti paralimpici”. Dopo l'accensione nel Regno Unito, la fiamma paralimpica animerà 5 Flame Festival dal 24 febbraio al 2 marzo a Milano, Torino, Bolzano, Trento e Trieste, con la cerimonia di unione delle Fiamme il 3 marzo a Cortina d’Ampezzo. Dal 4 marzo, la fiamma raggiungerà Venezia e Padova, per fare il suo ingresso il 6 marzo all’Arena di Verona per la cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici.
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Tra Natale ed Epifania il turismo italiano supera i 7 miliardi di euro di giro d’affari. Crescono presenze, viaggi interni ed esperienze artigianali, con città d’arte e montagne in testa alle preferenze.
Le settimane comprese tra il Natale e l’Epifania si confermano uno dei momenti più redditizi dell’anno per il turismo italiano. Secondo le stime di Cna Turismo e Commercio, il giro d’affari generato tra feste, fine anno e Befana supera i 7 miliardi di euro. Un risultato che non fotografa soltanto l’andamento economico del settore, ma racconta anche un’evoluzione nelle scelte e nelle aspettative dei viaggiatori.
Nel periodo festivo sono attesi oltre 5 milioni di turisti che trascorreranno almeno una notte in una struttura ricettiva: circa 3,7 milioni sono italiani, mentre 1,3 milioni arrivano dall’estero. A questi si aggiunge una platea ben più ampia di persone in movimento: oltre 20 milioni di individui si sposteranno per escursioni giornaliere, soggiorni nelle seconde case o visite a parenti e amici.
Per quanto riguarda i flussi internazionali, la componente europea resta prevalente, con arrivi soprattutto da Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. Fuori dal continente, si segnalano presenze significative da Stati Uniti, Canada e Cina. Le preferenze delle destinazioni confermano una tendenza ormai consolidata. In cima alle scelte ci sono le città e i borghi d’arte, seguiti dalle località di montagna. Due modi diversi di vivere le vacanze natalizie: da un lato l’attrazione per il patrimonio culturale, i mercatini e le atmosfere urbane illuminate dalle feste; dall’altro la ricerca della neve, degli sport invernali e di un contatto più diretto con l’ambiente naturale.
Alla base di questo successo concorrono diversi fattori. L’Italia continua a esercitare un forte richiamo quando si parla di tradizioni natalizie: dai presepi, in particolare quelli napoletani, ai mercatini dell’arco alpino, passando per i centri storici addobbati e le celebrazioni religiose che trovano a Roma uno dei loro punti centrali. Un insieme di elementi che costruisce un’offerta culturale difficilmente replicabile. Proprio la dimensione religiosa e identitaria del Natale italiano rappresenta un elemento di attrazione per molti visitatori nordamericani e per i turisti provenienti da Paesi di tradizione cattolica, spesso alla ricerca di un’esperienza percepita come più autentica rispetto a celebrazioni considerate eccessivamente commerciali. A questo si aggiunge la varietà climatica del Paese: temperature più miti al Sud e nelle isole per chi vuole evitare il freddo, condizioni ideali sulle Alpi per gli amanti dello sci e della montagna. Un segnale particolarmente rilevante arriva dalla crescita delle cosiddette esperienze, soprattutto quelle legate all’artigianato. Sempre più viaggiatori scelgono di affiancare alla visita dei luoghi la partecipazione diretta ad attività tradizionali: dalla preparazione della pasta fresca alle lavorazioni del vetro di Murano, fino alla ceramica umbra e toscana. È un approccio che indica un cambiamento nel modo di viaggiare, meno orientato alla semplice osservazione e più alla partecipazione.
Questo interesse incrocia diverse tendenze attuali: il bisogno di autenticità in un contesto sempre più standardizzato, la volontà di riportare a casa un’esperienza che vada oltre il souvenir e l’attenzione verso il “saper fare” italiano, riconosciuto come patrimonio immateriale di valore internazionale.
Sul piano economico incidono anche fattori più generali. La ripresa del potere d’acquisto delle classi medie in Europa e negli Stati Uniti, dopo anni di incertezza, ha sostenuto la propensione alla spesa per le vacanze. Il rafforzamento del dollaro favorisce i turisti statunitensi, mentre la fase di stabilizzazione successiva alla pandemia ha contribuito a ricostruire la fiducia nei viaggi. Il periodo natalizio rappresenta inoltre uno degli esempi più riusciti di destagionalizzazione, obiettivo perseguito da tempo dagli operatori del settore. Le strutture ricettive registrano livelli di occupazione elevati in settimane che in passato erano considerate marginali. Anche i collegamenti giocano un ruolo chiave: l’espansione dei voli low cost e il miglioramento dell’offerta ferroviaria rendono più accessibili non solo le grandi città, ma anche destinazioni meno centrali, favorendo una distribuzione più ampia dei flussi.
Accanto ai dati positivi emergono però alcune criticità. La concentrazione dei visitatori rischia di mettere sotto pressione alcune mete, mentre altre restano ai margini. Il turismo di prossimità, rappresentato dai milioni di italiani che si spostano senza pernottare in alberghi o strutture ricettive, costituisce un bacino ancora parzialmente inesplorato. Allo stesso tempo, la crescente domanda di esperienze personalizzate richiede investimenti in formazione e una maggiore integrazione tra operatori locali.
Le festività di fine anno restano comunque un motore fondamentale per l’economia del turismo, in grado di coinvolgere l’intera filiera: ristorazione, artigianato, trasporti e offerta culturale. Un patrimonio che, per continuare a produrre risultati nel tempo, richiede una strategia capace di innovare senza snaturare quell’autenticità che rappresenta il vero punto di forza del sistema italiano.
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I computer che guidano i mezzi non sono più stati in grado di calcolare come muoversi anche perché i sensori di bordo leggono lo stato dei semafori e questi erano spenti. Dunque Waymo in sé non ha alcuna colpa, e soltanto domenica pomeriggio è stato ripristinato il servizio. Dunque questa volta non c’è un problema di sicurezza per gli occupanti e neppure un pericolo per chi si trova a guidare, piuttosto, invece, c’è la dimostrazione che le nuove tecnologie sono terribilmente dipendenti da altre: in questo caso il rilevamento delle luci dei semafori, indispensabili per affrontare gli incroci e le svolte. Qui si rivela la differenza tra l’umano che conduce la meccanica e l’intelligenza artificiale: innanzi a un imprevisto, seppure con tutti i suoi limiti e difetti, un essere umano avrebbe improvvisato e tentato una soluzione, mentre la macchina (fortunatamente) ha obbedito alle leggi di controllo. Il problema non ha coinvolto i robotaxi Tesla, che invece agiscono con sistemi differenti, più simili ai ragionamenti umani, ovvero sono più indipendenti dalle infrastrutture della circolazione. Naturalmente Waymo può trarre da questo evento diverse considerazioni. La prima riguarda l’effettiva dipendenza del sistema di guida dalle infrastrutture esterne; la seconda è la valutazione di come i mezzi automatizzati hanno reagito alla mancanza di informazioni. Infine, come sarà possibile modificare i software di controllo affinché, qualora capiti un nuovo incidente tecnico, le auto possano completare in sicurezza il servizio. Dall’esterno della vicenda è invece possibile valutare anche altro: le tecnologie digitali applicate alle dinamiche automobilistiche non sono ancora sufficientemente autonome. Sia chiaro, lo stesso vale per navi e aeroplani, ma mentre per questi ultimi gli algoritmi dei droni stanno già portando a una ricaduta di tecnologia che viene trasferita ai velivoli pilotati, nel campo automobilistico c’è ancora molto lavoro da fare. Proprio ieri, sempre negli Usa, il pilota di un velivolo King Air da nove posti è stato colpito da un malore. La chiamano “pilot incapacitation” e a bordo non c’era nessun altro che potesse prendere il controllo e atterrare. Ed è qui che la tecnologia ha salvato aeroplano e occupanti: il passeggero che sedeva accanto all’uomo ha premuto il tasto del sistema “Autoland”, l’autopilota ha scelto la pista idonea per lunghezza più vicina alla posizione dell’aereo e alla rotta percorsa, ha avvertito il centro di controllo e anche messo il passeggero nelle condizioni di dichiarare la necessità di un’ambulanza sul posto. L’alternativa sarebbe stato un disastro aereo con diverse vittime. La notizia potrebbe sembrare senza alcuna correlazione con quanto accaduto a San Francisco, ma così non è: il produttore del sistema di navigazione dell’aeroplano è Garmin, ovvero il medesimo che fornisce navigatori al settore automotive. E che prima o poi vedremo fornire uno dei suoi prodotti a qualche costruttore di automobili.
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