
Nel silenzio generale, altri cinque Paesi fuori dai paletti della Ue oltre all'Italia. Alla Francia è imputata un'esplosione del debito. La Spagna ha pure inviato il bilancio senza il via libera del Parlamento. Nonostante ciò, per loro nessuna procedura d'infrazione.Nonostante la prevedibile bocciatura del Documento programmatico di bilancio italiano abbia occupato gran parte della scena mediatica, in realtà nella giornata di mercoledì la Commissione europea ha emesso il proprio parere sui testi inviati da tutti i 19 Paesi dell'eurozona. Sfogliando i giudizi redatti da Bruxelles, si scopre che non è tutto rose e fiori, anzi. Per ciascuno degli Stati membri, la Commissione ha emesso un giudizio di conformità riguardo al rispetto dei criteri imposti dal Patto di stabilità e crescita: un deficit (ovvero la differenza tra le entrate e le uscite dello Stato al netto degli interessi sul debito) non superiore al 3% sul Prodotto interno lordo, e un debito pubblico non superiore al 60% del Pil. Per quei Paesi che eccedono quest'ultimo limite, i tecnici verificano che il debito diminuisca a una velocità sufficiente. È la cosiddetta «regola del debito», ovvero la norma che definisce numericamente il ritmo di avvicinamento al valore soglia (ovvero 1/20 all'anno della parte eccedente il 60%).Dei Paesi esaminati, dieci risultano totalmente conformi (Austria, Cipro, Finlandia, Germania, Grecia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Malta e Paesi Bassi) e tre parzialmente (Estonia, Lettonia e Slovacchia). Tra gli Stati membri a rischio, troviamo invece Belgio, Francia, Portogallo, Slovenia e Spagna. L'Italia, come ben sappiamo, è stata giudicata «gravemente non conforme», e rappresenta l'unico Paese per il quale la Commissione ha richiesto espressamente al Consiglio l'apertura di una procedura per disavanzo eccessivo.Spulciando i report che riguardano gli Stati a rischio, ci si imbatte in parole poco tenere. Guardiamo ad esempio al Belgio, Paese che al pari del nostro lo scorso maggio ha ricevuto dalla Commissione una «tirata d'orecchi» sui conti pubblici. Non solo il piccolo reame che ospita la Commissione si accinge a violare gli obiettivi di medio-termine (Omt) di finanza pubblica per il biennio 2018-2019, ma a non è essere rispettato risulta anche il percorso di riduzione del debito. Il Belgio, lo ricordiamo, è l'unico Paese, insieme all'Italia, alla Grecia e al Portogallo, che presenta un debito in tripla cifra (103,4% nel 2017).La Slovenia, nonostante l'elevata crescita (4,3% nel 2018 e 3,3% nel 2019, secondo l'Autumn forecast della Commissione), risulta a rischio per l'eccessivo incremento della spesa pubblica. Sotto la lente per lo stesso motivo anche il Portogallo, che rischia di sforare gli obiettivi indicati da Bruxelles. Meritano un discorso a parte, invece, Madrid e Parigi. La Spagna è l'unico Paese, al momento, che risulta ufficialmente sotto procedura per disavanzo eccessivo. Un iter iniziato addirittura nel lontano 2009 e non ancora giunto al capolinea. Nel 2018 il deficit dovrebbe attestarsi al 2,7% (molto vicino alla soglia massima consentita), ma l'anno prossimo il governo stima che cali all'1,8%. Ottimismo non condiviso dalla Commissione, che invece lo prevede al 2,1%. Nel report si denuncia come la Spagna sia non solo «a rischio di una significativa deviazione dal percorso previsto di aggiustamento degli obiettivi di budget a medio termine», ma anche in ritardo con il programma di riduzione del debito. Una nota grottesca a margine è rappresentata dai «pasticci» combinati dal governo iberico. La Commissione lamenta di aver dovuto chiedere a Madrid nel mese di ottobre l'invio di una nuova bozza, in quanto la precedente mancava delle informazioni richieste dalla normativa e non dava una visione completa delle misure prese. Come se non bastasse, Bruxelles osserva che il testo revisionato manca del visto del Parlamento spagnolo.La Francia, grazie alle misure «una tantum» riesce a farsi perdonare un rapporto deficit/Pil del 2,8% nel 2019 (dunque superiore a quello italiano), ma la Commissione sottolinea sia il rischio da una deviazione significativa dagli obiettivi di medio termine, che «progressi insufficienti» nel percorso di riduzione del debito, che è previsto attestarsi al 98,6% nel 2019. Nell'arco del decennio 2007-2018, il rapporto debito/Pil in Francia è cresciuto ben del 34%. Nonostante la scia di giudizi negativi, l'unico Stato per il quale Bruxelles ha richiesto l'avvio della procedura per disavanzo eccessivo risulta l'Italia. L'accusa, spiega la Commissione, è quella di aver violato la già citata regola del debito. In realtà, da quando nel 2015 è scaduta la moratoria di due anni concessa a seguito della chiusura della precedente procedura a carico dell'Italia (2009-2013), tale parametro è sempre stato sforato. Semplicemente, di volta in volta Bruxelles ha scelto di chiudere un occhio, esattamente come ha fatto stavolta con i paesi sopra menzionati. Cosa è cambiato stavolta? Nel caso di violazione della regola del debito, la Commissione può decidere di valutare alcuni «fattori significativi», come le famigerate riforme strutturali e le misure di natura economica e fiscale. A finire nel mirino, in particolare, la revisione della riforma Fornero e, più in generale, le misure contenute nella manovra, considerate inefficaci per «affrontare la fiacca crescita potenziale dell'Italia» e la «persistente stagnazione della produttività». Tutte argomentazioni di natura prettamente politica. D'altronde, come diceva Giovanni Giolitti, la legge si applica per i nemici e si interpreta per gli amici.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






