2021-10-31
Parigi vuole decidere anche sui migranti e sulla gestione dei confini. I nostri
Due approcci opposti tra chi chiude tutto e chi apre a tutti. Si parla anche di una possibile polizia comune. E chi comanda?Il documento vincola a una stretta collaborazione su università, ricerca e formazione. Senza discussione pubblica su linee guida e priorità. Col rischio di egemonia francese.Lo speciale contiene due articoli.Sotto il titolo anodino «Trattato per una cooperazione bilaterale rafforzata con la Francia» si nasconde un autentico mistero politico. Ma perché, in modo semisegreto e comunque in forme impermeabili allo stesso Parlamento, va avanti da mesi e a ritmi accelerati un'attività volta a legare così strettamente Roma e Parigi in settori ultrasensibili, dalla difesa all'industria, dagli esteri all'energia? C'è il rischio che la Francia si ritagli un ruolo dominante? Perché non si apre un'adeguata discussione pubblica, dopo le rivelazioni di ieri della Verità? Chi (e perché) ha qualcosa da nascondere?Tra le altre materie affrontate, nel Trattato del Quirinale c'è anche un significativo capitolo relativo ai confini e all'immigrazione: temi letteralmente roventi, e di altissimo impatto politico per le opinioni pubbliche interne. Non sorprende dunque che ogni parola del testo sia da soppesare con estrema attenzione: per ciò che il documento dice e per ciò a cui allude, per ciò che esplicita e per ciò che invece lascia sottinteso. Alcuni passaggi sono formulati in modo apparentemente neutro: a proposito della materia migratoria, si definiscono come questioni aperte quelle relative alla gestione degli arrivi in Europa (ovviamente, a seguito di operazioni di ricerca e soccorso in mare) e al consolidamento della brigata mista tra le rispettive forze di polizia. Si fa anche riferimento, in questo secondo ambito, a una possibile parallela eliminazione dei controlli di frontiera da parte della Francia.Di tutta evidenza, la prima questione sconta un approccio asimmetrico tra i due Paesi: la Francia, anche sotto la presidenza di Emmanuel Macron, ha sempre mantenuto un atteggiamento di estremo e motivato rigore nella difesa dei propri confini; l'Italia, al contrario, tranne la parentesi temporale legata alla presenza di Matteo Salvini al Viminale, è stata e continua ad essere una sorta di ventre molle e di anello debole nella difesa dei confini europei. Come si può immaginare un coordinamento tra due soggetti, uno dei quali chiude tutto e l'altro dei quali apre tutto? Delle due l'una: o entrambi si allineano su un maggior rigore, oppure tutto rischia di ridursi ad un patto leonino, in cui qualcuno si offre come campo profughi e qualcun altro, invece, mantiene una linea di assoluta impermeabilità. Ciò si riverbera anche sulla seconda questione, quella di un ipotetico corpo comune. In ogni ambito, il coordinamento di polizia e militare non è mai solo un fatto tecnico. Restano quindi inevase domande letteralmente cruciali: l'azione di polizia comune al servizio di quale linea politica sarebbe messa? Come funzionerebbe la catena di comando? Chi avrebbe l'ultima parola? Non sarebbe di per sé asimmetrica una situazione in cui qualcuno (l'Italia) ha il problema della quantità enorme di persone che accoglie e qualcun altro (la Francia) ha essenzialmente l'esigenza di evitare che i migranti sbarcati in Italia entrino in territorio francese? Più avanti nel testo si aggiunge che Italia e Francia intendono coordinare il loro approccio europeo e rafforzare la loro cooperazione bilaterale in materia di asilo e migrazioni. Anche qui la contraddizione balza agli occhi: da un lato si evoca il rapporto bilaterale tra Roma e Parigi, ma dall'altro si menziona un fantomatico approccio «europeo», e si fa quindi riferimento alla politica comune dei 27. Il problema - come si sa - è che l'Ue pratica da anni una politica di assoluta ipocrisia: a parole, accoglienza e solidarietà; ma nei fatti, abbandono a sé stessi dei Paesi di primo approdo dei migranti (Italia, Grecia, Spagna). Questo passaggio appare dunque vago e inconcludente. Non aggiunge di più la parte in cui si cita un auspicato approccio equilibrato al tema dell'asilo: tutti sanno che i rifugiati raramente superano il 10% di coloro che sbarcano. Quindi, a maggior ragione, l'Italia sembra destinata a rimanere con il suo problema di un numero esorbitante di migranti economici, come confessato l'altro giorno dallo stesso ministro Luciana Lamorgese al suo omologo francese Gérald Darmanin: «Alla fine il problema ce l'abbiamo noi e non ci sentiamo supportati dall'Europa in alcun modo».Sulla questione - cruciale per l'Italia - dei movimenti secondari, quindi degli spostamenti verso altri Paesi dei migranti sbarcati qui, tutto è assolutamente generico: ci si limita a dire che occorre approfondire la cooperazione. Altrettanto vago il riferimento ai partenariati strategici con i Paesi terzi di origine e di transito dei flussi migratori: senza lo stanziamento di adeguate risorse Ue, tutto sarà infatti perfettamente inutile. Altri cenni nel documento riguardano la cooperazione europea a favore dell'integrità dello spazio Schengen e in materia di sicurezza interna. Attenzione all'ultimo riferimento: quello alla cooperazione transfrontaliera per una strategia frontaliera da perseguire anche attraverso l'istituzione di un comitato comune. La questione ha (come ricorda chi seguì la contestatissima vicenda del Trattato di Caen) un risvolto letteralmente esplosivo: quella dei confini marittimi tra Italia e Francia. Altre polemiche in vista?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/parigi-decidere-migranti-gestione-confini-2655457604.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="persino-sullistruzione-ce-mistero" data-post-id="2655457604" data-published-at="1635635728" data-use-pagination="False"> Persino sull’istruzione c’è mistero Mentre, con attivismo tutto da interpretare, una serie di personalità si sbracciano per accelerare l'approvazione del Trattato del Quirinale (ancora a metà settembre, sentito da Repubblica, ne sollecitava l'arrivo al traguardo addirittura prima della conclusione del mandato presidenziale di Sergio Mattarella l'ex sottosegretario italiano Sandro Gozi, che ora è eurodeputato macronista…), fa impressione la vastità delle materie coperte dell'accordo. Ieri La Verità si è soffermata sui macigni rappresentati da esteri, difesa e industria: ma non appaiono da meno i capitoli che riguardano l'immigrazione (come abbiamo già visto in altro articolo), la giustizia, l'istruzione e la formazione. Per ciò che riguarda istruzione e formazione, ricerca e innovazione, il Trattato vincola Roma e Parigi a una stretta cooperazione tra i loro rispettivi sistemi dell'istruzione, dell'istruzione superiore e della ricerca, con la precisa indicazione di alcune direttrici: in modo vago, ci si propone un sistematico avvicinamento dei rispettivi sistemi dell'istruzione nell'ambito di quello che viene definito «quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell'istruzione e della formazione»; e in modo altrettanto generico, ci si impegna a sviluppare ulteriormente gli scambi già intrattenuti tra studenti e personale accademico, al fine - si spiega un po' retoricamente - di «promuovere l'avvicinamento delle giovani generazioni e dell'insieme dei cittadini». Ma poi c'è un'improvvisa accelerazione quando il Trattato mette nero su bianco l'impegno ad approfondire e strutturare la cooperazione in materia di ricerca e innovazione. E qui scattano gli interrogativi: sulla base di quali priorità? Di quali linee guida? Chi sarebbe la mente e chi solo il braccio di questo lavoro comune? Siamo certi che tra Italia e Francia gli interessi in materia siano convergenti e non - invece - altamente competitivi e concorrenziali? Perché non si può discutere apertamente e pubblicamente di questi nodi? Altri passaggi più innocui e altamente retorici riguardano invece la gioventù e la cooperazione culturale. Ma anche qui desta più di qualche dubbio il passaggio finale sull'avvicinamento delle industrie culturali e creative francesi e italiane. Primo: nel documento, in una logica statalista e dirigista tipica del modello francese, si parla di cultura e industria culturale dando per scontato che si tratti di un affare pressoché esclusivamente pubblico e politico, dipendente dai governi e dalla spesa pubblica. Quindi la dimensione privata, come tale più libera e non dipendente dall'intermediazione politica (e dall'erogazione di denaro pubblico) resta fuori. Secondo: è evidente il rischio di un'egemonia francese, con l'Italia oggetto di un'influenza culturale molto orientata da Parigi. Un altro capitolo significativo è quello che riguarda la giustizia. Si evoca una strategia di cooperazione bilaterale strutturata in materia di sicurezza interna; e soprattutto si delinea un rafforzamento della cooperazione giudiziaria su alcuni temi specifici, dalla protezione dei minori alla lotta alla criminalità organizzata, dal contrasto alle attività ambientali illecite al settore penitenziario. Anche qui, siamo certi che sia una buona idea discuterne in modo semisegreto, tagliando fuori Parlamento e opinione pubblica?