2024-12-08
Parigi e Berlino ora seguono Roma per frenare sulle auto elettriche
Robert Habeck, ministro tedesco dell’Economia (Ansa)
Asse con Eliseo e Ppe tedesco, che fanno retromarcia sul bando ai motori termici.Germania e Francia fanno un passo indietro e intendono mettere il cappello su un’iniziativa portata avanti dall’Italia con forte determinazione dall’inizio dell’insediamento del governo Meloni. Si tratta della revisione delle stringenti regole europee sul Green deal. Ipotesi che fino a poco tempo fa era considerata da «negazionisti». Pragmatismo e realtà però a quanto pare stanno facendo breccia anche tra i più oltranzisti. La crisi dell’auto europea è diventata enorme, impossibile da non affrontare, impossibile non vedere che gran parte dei problemi derivano proprio dall’ideologia verde. Si parte appunto da un documento promosso dall’Italia, firmato già da Repubblica Ceca e sostenuto da Bulgaria, Polonia, Romania e Slovacchia per anticipare al 2025 dal 2026 la revisione delle regole che impongono lo stop al 2035 ai motori a combustione interna, diesel e benzina. Al tavolo dei ministri dei Trasporti a Bruxelles, Matteo Salvini ha chiesto di «rivedere, tempi, modi, obiettivi e sanzioni» perché non intervenire è «un suicidio ambientale economico, sociale, industriale, commerciale e politico». Poi parlando con i giornalisti ha sottolineato che «ci sono 14 milioni di posti di lavoro a rischio» e ha puntato il dito contro il presidente Ursula von der Leyen che negli ultimi cinque anni «ha sbagliato tutto» e contro il vicepresidente esecutivo spagnolo Teresa Ribera, che ha difeso nei giorni scorsi il target al 2035: una «marziana» che «non si accorge che le fabbriche stanno chiudendo e che le auto elettriche arrivano dalla Cina che brucia carbone». Fin qui tutto coerente, ma anche Parigi e il Ppe tedesco si sono mossi capendo che le loro industrie senza flessibilità andranno a picco trainando giù l’economia dei loro Paesi e dell’intera Europa. Un dietrofront dopo aver sostenuto senza se e senza ma la transizione green. Per ora l’intesa ci sarebbe solo sulla revisione delle sanzioni. Al Ppe teutonico son servite tre elezioni dei Lander vinte o quasi vinte dall’Afd e una crisi di governo per capire, forse, che si stava sbagliando. Ma il nuovo corso rischia di scontrarsi con le posizione dell’esecutivo, che al momento non sembra sentire ragioni. Un anno fa il cancelliere tedesco Olaf Scholz continuava ostinatamente a voler rendere ancora più «green» il parco auto della Germania puntando a 15 milioni di vetture elettriche entro il 2030. Un sogno che si è infranto schiantandosi contro la dura realtà. Le auto elettriche non si vendono perché costano troppo mentre l’industria automotive sta morendo. Molto più recenti invece le dichiarazioni del ministro dell’Economia Robert Habeck, che appena la settimana scorsa, pur ribadendo la centralità dell’industria automobilistica in Germania, prometteva che «non ci saranno ritocchi agli obiettivi di CO2». Non solo, perché non ipotizzava neanche l’opportunità di «mettere in discussione l’importo delle multe» previste per le aziende automobilistiche. I liberali dell’ex ministro delle Finanze Christian Lindner invece non vorrebbero solo eliminare le multe, ma anche riconsiderare il divieto di vendere nuove auto termiche nell’Unione europea entro il 2035, ma sono stati fatti fuori dal governo.Nel gennaio 2024 i socialisti europei pubblicavano un manifesto in cui si opponevano alle crescenti lamentele in tutta l’Unione europea sull’eccesso di regolamentazione e su una possibile pausa normativa per le politiche verdi.II governo francese il 18 dicembre 2023 ha firmato una dichiarazione congiunta al Pentalateral Energy Forum, impegnandosi per una completa decarbonizzazione del proprio sistema energetico entro il 2035. Il 6 febbraio di quest’anno il francese Pascal Canfin, presidente della commissione Ambiente del Parlamento europeo, affermava: «Da qui al 2030 il lavoro è fatto», con una «massiccia trasformazione» della società già in corso. Su una cosa aveva ragione: «Il lavoro è fatto». Fin qui malissimo. La Commissione europea presentò il Green deal nel dicembre 2019, all’inizio del suo mandato, sottolineando che rappresentava per l’Europa l’equivalente «dell’uomo sulla Luna». Il 28 marzo 2023 gli Stati membri hanno approvato in via definitiva un regolamento che vieterà la vendita di auto e furgoni che emettono CO2 dopo il 2035. Il regolamento è poi passato in Consiglio con il voto contrario della sola Polonia, mentre Bulgaria, Italia e Romania si sono astenute. Francia e Germania votarono a favore. Oggi è un contrordine compagni, si cambia rotta, si spera. Guai però a dire che l’idea nasce dalla «negazionista» Giorgia Meloni e i suoi alleati.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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