Paramount si butta nello streaming. Ormai è una gara a chi spende di più

Un’altra piattaforma, l’ennesima. Paramount+, servizio streaming che nel mondo conta già 64 milioni di clienti, sarà disponibile in Italia da giovedì 15 settembre. La formula, la stessa di altre e – a oggi – più note piattaforme, si articolerà in un abbonamento rinnovabile su base mensile. Pochi euro, 7,99, per vedersi garantito l’accesso ad una mole immensa di contenuti: ottomila ore di intrattenimento, serie estere, show, produzioni originali, studiate appositamente per il territorio sul quale il servizio è utilizzato, l’Italia. Circeo ripercorre le fasi del processo seguito al caso di cronaca del 1975, le sue implicazioni sociali e culturali, Miss Fallaci, storia di una giovane Oriana negli Stati Uniti d’America, Corpo Libero, tratto dal romanzo omonimo di Ilaria Bernardini, Chiara Barzini, Ludovica Rampoldi e Giordana Mari.
«Paramount+ porterà al pubblico italiano un’offerta unica e mai vista di intrattenimento di qualità», ha commentato in sede di presentazione Jaime Ondarza, fra i responsabili per l’Europa dei contenuti e del servizio.
«Paramount+ sta rapidamente espandendo la sua presenza a livello globale, offrendo al pubblico una serie unica di contenuti, con le più grandi star e le più avvincenti storie globali e locali insieme su un'unica piattaforma», ha proseguito Marco Nobili, executive vice president e international general manager di Paramount, spiegando come «l'Italia non solo ha un'incredibile storia cinematografica, dai film di culto alle serie tv, ma è anche un mercato chiave per l'espansione globale di Paramount+. Con il lancio in Italia a settembre, seguito da Germania, Austria, Svizzera e Francia, entro la fine dell'anno Paramount+ sarà presente in tutti i principali mercati europei».
Fatto, questo, destinato a complicare ulteriormente la geografia di un mercato sovrappopolato.
L’offerta televisiva, un tempo monopolizzata dalla cosiddetta generalista, da quell’oligarchia compresa fra i primi sette numeri del telecomando, si è frammentata. Di più. Ha cambiato luoghi, inaugurato nuovi spazi, nuove frontiere, altre modalità di fruizione. Si è spostata, ha lasciato lo spazio magico del telecomando tradizionale, è migrata verso la doppia cifra. Di lì, ha preso il volo. Internet ha cominciato a sostituire la più classica antenna. Netflix è venuto per primo, seguito da Amazon Prime Video, da Disney+. E poi da Hayu, Chili, RakutenTv, Apple Tv+. È stata un’invasione.
E raccapezzarsi, ad oggi, non è stato possibile. Nemmeno lo è stato capire se davvero ci sia bisogno di tanti player, di tante piattaforme, di un’offerta tale da non poter essere davvero goduta.
I numeri direbbero di sì. L’audience, rispetto ai mesi precedenti la grande pandemia, è passata, secondo l’Agenzia per le garanzie nelle comunicazioni, da 10,9 milioni di utenti a 16,1, dati aggiornati nel marzo scorso e validi per la sola Italia. La crescita della platea nel triennio 2019-2022, dunque, si attesterebbe intorno a un +47%, con un picco massimo registrato nel marzo 2020, in pieno lockdown. Gli italiani disposti a guardare la tele attraverso internet, con i benefici meraviglioso dell’on demand (i famosi «dove, come e quando vuoi»), sarebbero sempre di più.
Ma lo scenario roseo dell’Italia non potrebbe sussistere altrove. Non per Netflix, almeno. Il gigante dello streaming ha annunciato di aver perso, nel primo e nel secondo trimestre del 2022, quasi un milione ottocentomila abbonati. Dato, questo, che ha portato il colosso a perdere la propria supremazia. Disney+, comprensivo di servizi che a loro volta prevedono un abbonamento (Hulu, Espn+), ha affermato di aver raggiunto un totale di 221,1 milioni di sottoscrizioni, di poco superiore ai 220,7 milioni di iscritti in capo a Netflix. Il numero sarebbe destinato a crescere.
La Disney, pur costretta a rivedere al ribasso le proprie aspettative, ha stimato di arrivare a un totale compreso fra i 215 e i 245 milioni di clienti entro la fine di settembre 2024. Ma il numero, da solo, non sarà sufficiente a garantirle la serenità. Disney ha deciso di cambiare, dal dicembre prossimo, la formula dei propri abbonamenti: di alzare i prezzi oppure di mantenerli così come sono introducendo, per chi non volesse pagare di più, la pubblicità. Netflix dovrebbe fare altrettanto, in modo da recuperare gli abbonati persi, e di attirarne di nuovi. Da strapparne alla concorrenza, spietata.
Benché Amazon Prime Video non abbia mai rilasciato numeri ufficiali, Jeff Bezos ha fatto sapere che oltre 200 milioni di iscritti a Prime (servizio di spedizione veloce, che dà accesso anche alla componente video di Amazon) hanno utilizzato lo streaming almeno una volta nel corso del 2021. Potrebbe, dunque, crescere a dismisura il potere di Amazon Prime Video.
Ed è una lotta, ormai, a chi spende di più, a chi ingaggia l’attore più noto, l’attrice del momento. È una lotta a chi produce il maggior numero di titoli, di show, di spettacoli, figlia di un’impazienza, di un bisogno, di una fretta tale da renderli – spesso – privi di valore.






