Cosa c'è dietro il crollo di Netflix, la tv in streaming è costretta a rilanciarsi

Netflix pensa a strategie per rilanciarsi
Lo streaming via web è in crisi. Lo dicono i numeri del leader di mercato Netflix, con oltre 220 milioni di abbonati totali, che per la prima volta dal lancio del servizio online nel 201, ha chiuso il trimestre in calo di duecentomila abbonati e prevede, nel secondo trimestre, di perderne altri 2 milioni.
Cosa sta accadendo? Ebbene lo streaming video che assomiglia molto alla tv tradizionale non piace più. Gli utenti più giovani per l’intrattenimento usano in maniera intensiva i social network tipo Tik Tok o anche Snapchat oppure si incontrano in universi artificiali tipo il social game Roblox che già contiene caratteristiche proprie del metaverso.
UNIVERSI ARTIFICIALI
L’intrattenimento dunque sta diventando sempre più sociale, interattivo, personalizzato e immersivo e crea universi artificiali dove il mondo reale viene amplificato tramite le infinite possibilità del digitale. Social media e social gaming assomigliano già molto di più all’universo artificiale del metaverso che allo streaming video.
Netflix aveva intuito questa tendenza e già lo scorso anno progettava di lanciare una sua piattaforma social, N-Plus dove gli utenti avrebbero potuto incontrarsi e discorrere delle serie tv e di altri contenuti. Ma il progetto, che avrebbe distratto gli utenti dalla visione dei contenuti, non ha avuto seguito. Almeno per ora. Anche se potrebbe essere ripreso dopo le recenti difficoltà. Netflix è stato per anni l’unico servizio in streaming a livello globale.
PROSPETTIVE CAMBIATE
Negli ultimi tempi però la concorrenza, con l’entrata in campo di attori come Amazon e Apple, molto attive nello streaming per le quali però si tratta solo di un servizio aggiuntivo rispetto al loro core business, ha cambiato le prospettive. E quindi continuare a crescere in un mercato così affollato con rivali agguerriti e con grandi disponibilità di spesa diventa molto complicato. Da sottolineare che i social network hanno vantaggio competitivo immenso rispetto a chi fa streaming. Infatti, mentre Netflix &Co sono obbligate a spendere miliardi di dollari in contenuti, i migliori servizi di social media intrattengono i loro iscritti con flussi quasi infiniti di video personalizzati, generati dagli utenti stessi.
E dunque gratuiti per la piattaforma e, ovviamente, per gli iscritti. Con queste prospettive anche la strategia che Netflix vorrebbe mettere in campo per far fronte al crollo degli abbonati, ossia la raccolta pubblicitaria, potrebbe non essere risolutiva in quanto gli inserzionisti preferirebbero, come già avviene, i social per reclamizzare i loro prodotti. Del resto la spesa per la realizzazione di contenuti per lo streaming è enorme.
Nel 2021 è stata pari a 50 miliardi di dollari, più 20% rispetto al 2020. Dietro questo dato, oltre al lancio di nuove piattaforme, anche l’aumento di spesa di attori quali Apple TV+, Disney+, HBO Max, Paramount+, Discovery+ che complessivamente hanno investito oltre 8 miliardi di dollari nell’ultimo anno. Comcast, che ha acquistato Sky, è la società che spende di più in contenuti con un investimento pari a 22,7 miliardi. Segue Disney con 18,6 miliardi. La cifra comprende anche i diritti sportivi, che rappresentano un terzo della spesa per entrambi i big. Netflix è certamente tra gli attori principali con investimenti pari a 14 miliardi di dollari.
La quindicesima stagione di MasterChef Italia, al via ieri su Sky, conferma la forza di un format immutabile: giudici rodati, prove iconiche e una scrittura autoriale che bilancia tradizione, ritmo e personaggi, rendendo il talent un appuntamento ormai rituale.
Come il Natale, parte di un rituale che, di anno in anno, si ripete identico a se stesso. MasterChef Italia, la cui quindicesima stagione è partita ieri su Sky nella prima serata di giovedì 11 dicembre, è l'usato sicuro, quello che vince. Di più, convince. Senza, per giunta, avere bisogno di colpi di scena. Il talent show, alla cui giuria siederanno, ancora una volta, Bruno Barbieri, Antonino Cannavacciuolo e Giorgio Locatelli, è riuscito nella mirabile impresa di bastare a se stesso, elevando quel che avrebbe potuto essere un triste effetto già-visto a chiave del proprio successo.
Sono i fornelli sempre accesi, le prove sempre uguali, è l'alternarsi di casi umani e talenti ai Casting, l'ansia palpabile di chi, davanti alla triade stellata, non riesce più a proferire parola.
Sono le Mistery Box, i Pressure Test, la Caporetto di Iginio Massari, con i suoi tecnicismi di pasticceria. Sono, ancora, i grembiuli sporchi, le urla, le esterne e i livori fra brigate, la prosopopea di chi crede di meritare la vittoria a rendere MasterChef un appuntamento imperdibile. Tradizionale, per il modo silenzioso che ha di insinuarsi tra l'Immacolata e il Natale, addobbando i salotti come dovrebbe fare l'albero.
MasterChef è fra i pochissimi programmi televisivi cui il tempo non ha tolto, ma dato forza. E il merito, più che dei giudici, bravissimi - loro pure - a rendere vivo lo spettacolo, è della compagine autoriale. Gli autori sono il vanto dello show, perfetti nel bilanciare fra loro gli elementi della narrazione televisiva, come comanderebbe l'algoritmo di Boris. La retorica, che pur c'è, con l'attenzione alla sostenibilità e alla rappresentazione di tutte le minoranze, non ha fagocitato l'impianto scenico. L'imperativo di portare a casa la doggy bag sfuma, perché a prevalere è l'esito delle prove. Il battagliarsi di concorrenti scelti con precisione magistrale e perfetto cerchiobottismo. Ci sono, gli antipatici, quelli messi lì perché devono, perché il politicamente corretto lo impone. Ma, tutto sommato, si perdono, perché accanto hanno chi merita e chi, invece, riesce con la propria goffaggine a strappare una risata sincera. E, intanto, le puntate vanno, queste chiedendo più attenzione alla tradizione, indispensabile per una solida innovazione. Vanno, e poco importa somiglino alle passate. Sono nuovi i concorrenti, nuove le loro alleanze. Pare sempre sincero il divertimento di chi è chiamato a giudicarle, come sincero è il piacere di vedere altri affannarsi in un gesto che, per ciascuno di noi, è vitale e quotidiano, quello del cucinare.
Bene, male, pazienza. L'importante, come ci ha insegnato MasterChef, è farlo con amore e rispetto. E, pure, con un pizzico di arroganza in più, quella dovuta al fatto che la consuetudine televisiva ci abbia reso più istruiti, più pronti, più giudici anche noi del piatto altrui.
Come se non bastassero le tragedie che ti sconvolgono la vita improvvisamente, ecco i tempi della giustizia che sono anch’esse una tragedia ma di quelle che si potrebbero evitare. La vera tragedia, per Andrea Furlan, è avvenuta 12 anni fa nel suo posto di lavoro, il supermercato Prix di Albignasego, in provincia di Padova. È lì che uno dei due banditi, armato, fa partire un colpo di pistola che perfora la testa del ragazzo riducendolo in stato vegetativo. Tragedie che ti sconvolgono la vita e ti domandi: perché? Perché a me? L’altra tragedia - quella che invece si dovrebbe evitare - è ritrovarsi con lo Stato che latita, che non riesce a dare un nome e una fisionomia al killer e che soprattutto si presenta nella veste del temporeggiatore.
Sono 12 anni che Cristina Calore, la mamma di Andrea, attende giustizia e un risarcimento, ma per ora pare non esserci verso. E anche qui ti domandi: perché? Perché a me? Già, perché non si riesce ad avere giustizia? Ti dicono: perché le telecamere presso il supermercato, quel giorno, non funzionavano e quindi diventa difficile. Ma davvero lo Stato non riesce a dare il giusto risarcimento a una vittima? Diventa difficile rispondere e nello stesso tempo confortare quando poi ti informano di casi in cui persino chi attenta alla vita delle persone riesce a ottenere un risarcimento del danno. Lo prevede la legge.
Intanto, in quel pezzo di Italia, sulla legge cala il crepuscolo dei rinvii. Come quello di pochi giorni fa della Corte d’Appello, l’ennesimo, che ha il sapore amaro della beffa. Cristina attende giustizia ma è stanca; come non esserlo quando vedi come hanno ridotto il tuo Andrea; e ripensi che l’ultima cosa che Andrea in salute aveva fatto era stato scendere dallo spogliatoio del supermercato giù al primo piano dove aveva lasciato la bicicletta. Poi… il colpo di pistola diretto alla testa. Una esecuzione criminale. Da lì l’inferno. Per quel ragazzotto che divorava la vita nulla è stato più come prima: non si muove più, non parla più, per qualsiasi attività ha bisogno di un sostegno. Ed è per questo che pensi: se tutto è ingiusto, se del rapinatore e del complice non si è mai saputo nulla, possibile che chi dovrebbe rappresentare il giusto prende tempo? Solo l’Inail ha riconosciuto ad Andrea un assegno di invalidità. Ma l’Inail non rappresenta la giustizia.
Quindi dove sono gli operatori del giusto che riparano i torti? Eccome se te lo domandi: il giudice civile in primo grado ha negato il risarcimento perché il supermercato Prix non deve nulla ad Andrea. Ma come, è lecito domandarsi? «C’erano delle telecamere in quel supermercato, ma non funzionavano», ha commentato mamma Cristina. «Io non credo che i titolari del supermercato abbiano delle colpe, hanno però delle responsabilità ed è mio dovere andare avanti». Già, possibile che un giudice non abbia il coraggio di dire all’assicurazione: «Tocca a te pagare»? O le assicurazioni sono diventate intoccabili? (Domanda retorica).
Fatto sta che la famiglia non si arrende. Né l’avvocato Matteo Mion è un tipo che si accontenta: si va in appello. Già, ma quando? Boh… per ora sembra che la giustizia si sia impastata di quella gomma ciccosa che ci mettiamo in bocca, che s’appiccica ai denti, che si dilata e perde sapore. L’avvocato Mion sta facendo il possibile per anticipare i tempi dell’appello e non si capacita dei tanti rinvii: cosa pensare? Davvero tutto può ridursi a fatalità? Davvero non c’è un buco in questo muro di gomma? Davvero è impossibile pensare a un appiglio che consenta quel risarcimento che diventa il minimo per gestire i risvolti della tragedia? In casa di Andrea tragedia e burocrazia stanno togliendo energie e speranze.
Che si facessero un giro lì, in quella casa dove la vita ha cominciato a girare da un altro verso. Vogliono vedere come si gestisce una persona a cui un criminale ha bucato la testa? Vogliono vedere le due persone che si prendono cura di questo ragazzo che passa dal letto alla carrozzina? Vogliono provare la fatica di prendersi cura di una persona che vive senza vita? Mamma Cristina e il papà di Andrea non hanno problemi a dar prova di quel che per loro è la quotidianità. Delle loro sofferenze e delle paure legate al «dopo di noi».
Eccome se i genitori ci sperano nell’appello, invece altro giro a vuoto, altro rinvio. Altro perché da tre anni non c’è ancora stata nemmeno la prima udienza. «Ci sentiamo presi in giro», ha commentato la madre. «È l’ennesima volta che rinviano l’inizio di un processo. Ci sentiamo raggirati, è come se a un certo punto lo Stato fosse diventato nostro nemico: ogni volta questa data si sposta di sei mesi in avanti, come se davanti a noi ci fosse tutto il tempo del mondo, come se mio figlio potesse aspettare i tempi infiniti».
La burocrazia ha i suoi tempi, il suo traffico da regolare: c’è da comprendere, signora mia. E quante cose debbono comprendere la mamma e il papà di Andrea? Debbono comprendere che il colpevole non si trova ed è già un cazzotto alla bocca dello stomaco. Debbono comprendere la decisione di primo grado del giudice civile. Debbono comprendere che i tribunali sono pieni di cause. Ora dovrebbero pure comprendere che le vittime non sono tutte uguali?
Dimmi La Verità | Alessandro Da Rold: «Sviluppi dell'inchiesta sull'urbanistica di Milano»
Ecco #DimmiLaVerità del 12 dicembre 2025. Il nostro Alessandro Da Rold ci rivela gli ultimi sviluppi dell'inchiesta sull'urbanistica di Milano e i papabili per il dopo Sala.














