2020-10-27
Paradosso del disastro sulla scuola. Presidi e bidelli presenti, prof forse
Da oggi via alla didattica a distanza al 75% (ma in alcune regioni è già totale). In teoria i docenti dovrebbero poter trasmettere la lezione dalle aule, ma la rete internet è un colabrodo. Ci si aggrappa ai modem domestici.Poche ore per organizzarsi. Poi, da oggi, nella maggior parte degli istituti secondari resteranno solo preside, segretario e bidelli. Sì, perché di loro non si parla nell'ultimo Dpcm che impone la didattica a distanza «almeno» al 75% in tutto il Paese, fatta eccezione di regioni come Lombardia, Campania e Sicilia dove la Dad è stata prevista al 100% dai presidenti. Circa tre ragazzi su quattro delle superiori a casa, personale Ata in presenza, insegnanti in ordine sparso: alcuni faranno lezione dal tinello, altri dalle aule vuote perché ogni scuola decide autonomamente. Sempre che l'Ufficio scolastico regionale non abbia disposto in maniera diversa. In Lombardia «è stato chiarito che formalmente non sono state sospese le attività didattiche, quindi i docenti dovrebbero fare lezione a distanza rimanendo a scuola», prova a spiegare Matteo Loria, vice presidente regionale dell'Anp, l'Associazione nazionale presidi. «Però, in considerazione dei sovraccarichi di Rete, i singoli dirigenti scolastici possono decidere di tenere gli insegnanti a casa, dando per scontato che nelle loro abitazioni Internet funzioni senza problemi e che sia risolta la questione della protezione dati. Dobbiamo arrangiarci e in velocità. Siamo nel caos, davvero sconcertati», ammette Loria che è preside dell'Istituto superiore Caramuel Roncalli di Vigevano, in provincia di Pavia. «Ho 1.400 studenti a casa e 160 docenti, dei quali solo due faranno Dad da scuola». Anche in Sicilia l'ordinanza del governatore Vito Musumeci ha preceduto il decreto del premier Conte, stabilendo solo lezioni online. «Siamo in affanno, qui con Internet è complicatissimo», risponde preoccupato Bartolo Saitta, preside dell'Istituto professionale Principi Grimaldi di Modica. Ha 850 studenti tra alberghiero, agrario e indirizzo oftalmico che si devono arrangiare da casa, con computer e tablet «non sufficienti». I 130 docenti sono impegnati da remoto, da postazioni tra le mura domestiche e non dall'aula scolastica «perché le connessioni dell'istituto non lo consentono», spiega Saitta. «La cosa peggiore è l'impossibilità di frequentare i laboratori, che rappresentano nel nostro caso il 50 per cento dell'attività didattica», precisa il preside. «A scuola ci sono solo io, assieme ai bidelli che non posso lasciare a casa». Quando non sono la fibra, la connettività o la strumentazione i problemi più grandi: «In regione, da noi, viene raggiunto solo il 60% degli studenti», precisa Franco De Rosa, presidente Associazione nazionale presidi (Anp) della Campania, a limitare il diritto allo studio diventano le ordinanze dei governatori. «Il presidente della Regione, Vincenzo De Luca, ha voluto chiudere già da una settimana anche la primaria, ma i bambini che adesso sono in seconda classe hanno frequentato la maggior parte dello scorso anno scolastico a distanza. C'è un pesante problema di alfabetizzazione», afferma De Rosa. Mario Rusconi, presidente Anp Lazio, tuona contro la decisione di «lasciare studenti in massa a casa, senza però che tutti, dico tutti, possano contare su connessioni adeguate a seguire le lezioni in didattica digitale». Rusconi accusa le Regioni: «Non ci hanno ancora dimostrato quanto hanno speso per incrementare le corse degli autobus e limitare così la diffusione del virus. Però si arrogano il diritto di intervenire sull'organizzazione della didattica, andando contro l'autonomia scolastica sancita dalla Costituzione. È un federalismo all'Amatriciana, fai da te, quello che stanno attuando, senza degnarsi di ascoltare gli istituti scolastici». L'idea di ricorrere al Tar al momento è solo abbozzata, ma il presidente Anp Lazio tiene a ricordare che «alla fine dello scorso anno scolastico gli studenti sono stati solo ammessi alla classe successiva, non promossi. Con il blocco della didattica, oggi rischiano di perdere due anni». Intanto nei plessi scolastici si stanno accumulando gel e mascherine che, a differenza dei banchi innovativi, continuano a essere consegnati ogni giorno. «Faremo un museo della scuola moderna», è l'amara ironia di Rusconi. Dalla Lombardia, Matteo Loria fa questa considerazione: «Abbiamo lavorato quattro mesi per rendere le scuole sicure, nel mio istituto solo sei studenti su 1.400 sono risultati positivi. Stavamo mantenendo le distanze, l'obbligo di mascherine, tutte le cautele che ci erano state chieste. Il problema non è dentro ma al di fuori degli istituti scolastici. Bisognava risolvere il problema dei trasporti, magari chiudere le discoteche, pensare ad altri provvedimenti ma le scuole dovevano essere considerate servizi pubblici essenziali. La didattica doveva proseguire in presenza. Con questo Dpcm si sta dando ai giovani un segnale molto brutto».