2024-09-15
Frase choc di Francesco sul dialogo: «Le religioni sono tutte uguali»
In Oriente il Papa sprona i giovani ad avere coraggio. Lo stesso che manca, però, nel suo annuncio del Vangelo. Non può affermare che una fede vale l’altra: deve ricordare che solo una porta a Dio, quella della «sua» Chiesa.Per i grandi combattenti della fede, monaci impegnati nella battaglia spirituale nei deserti d’Oriente e nelle celle dei monasteri medievali, uno dei più temibili nemici era il demone meridiano. Del resto già per i pagani mezzogiorno era l’ora di Pan, il momento in cui questa divinità del desiderio selvaggio irrompeva con più brutalità sulla scena insidiando pastori e pastorelle, i quali venivano rapiti da una forza che i greci chiamavano akedia: l’accidia.Peccato capitale per i cristiani, l’accidia viene spesso assimilata alla pigrizia ma non è esattamente la stessa cosa. In greco indica la mancanza di kedos, che è il patimento ma anche la cura. Accidia è, dunque, l’essere incapaci di passione, noncuranti, indifferenti. E sì, anche pigri. Ma pure (e soprattutto) sconfortati, apatici, depressi. Evagrio Pontico la descriveva come una debolezza dell’anima, una forma penosa di blocco.Lo psicoanalista Sergio Benvenuto ha notato che la malinconia, il pessimismo e, appunto, la depressione fioriscono nel territorio del temibile demone meridiano, danno vita a «una fenomenologia del desiderio che selvaggiamente emerge e distrae dal godimento di ciò che è e che conta. Il demone della depressione», conclude Benvenuto, «ci fa allora sentire tutto il peso del reale, restituito alla sua verità arida e gelida di deserto».L’accidia in qualche modo paralizza, rende noncuranti e fa sprecare le buone occasioni. È parente dell’ansia e non è un caso che oggi fioriscano studi e libri sull’ansia caratterizzante le nuove generazioni, che potremmo anche definire accidiose.Proprio di questo ha parlato papa Francesco durante l’incontro interreligioso con i giovani a Singapore, con un discorso che suona come un manifesto contro la «vita comoda», un invito potente a togliersi dai piedi quelle che Pascal Bruckner ha chiamato «le sacre pantofole». Dice il Pontefice che «I giovani devono avere il coraggio di costruire di andare avanti e uscire dalle zone “confortevoli”. Un giovane che sceglie di passare sempre la sua vita in modo “confortevole” è un giovane che ingrassa! Ma non ingrassa la pancia, ingrassa la mente! Per questo dico ai giovani: “Rischiate, uscite! Non abbiate paura!”. La paura è un atteggiamento dittatoriale che ti rende paralitico, ti procura una paralisi». Eccola lì, l’accidia. La paralisi scambiata per benessere, per assenza di dolore: una mancanza di patimento che si rivela carenza di passione. La depressione che rinchiude, il panico che immobilizza.Francesco invita a non avere paura, a rischiare, a lanciarsi, a uscire spalancando le porte: «È vero che tante volte i giovani sbagliano, tante, e sarebbe bello che ognuno di noi, che ognuno di voi, giovani, pensaste: quante volte ho sbagliato?», dice. «Ho sbagliato perché ho incominciato a camminare e ho fatto degli errori nel cammino. E questo è normale, l’importante è rendersi conto di aver sbagliato. Faccio una domanda, vediamo chi mi risponde di voi. Cosa è peggio? Sbagliare perché faccio un cammino o non sbagliare perché rimango chiuso in casa? Tutti, la seconda! Un giovane che non rischia, che ha paura di sbagliare è un vecchio!».A ben vedere, questo discorso potrebbe essere rivolto anche agli adulti, che nella società del rischio appaiono più congelati che mai. La paura che caratterizza questa fase terminale della nostra civiltà - come hanno rimarcato Massimo Cacciari e, oggi, Marcello Veneziani - si caratterizza come timore del confronto, evitamento della battaglia. E si traduce in rifiuto dell’altro e, quindi, della relazione, con ricaduta nella più disperata delle solitudini. Si può affermare che l’antidoto all’accidia, la virtù che le corrisponde e la contrasta, sia il coraggio: esattamente quello che oggi difetta ai più. Coraggio di affrontare il conflitto, più verbale e intellettuale che fisico. Coraggio di accettare anche, perché no, lo scontro. Oggi si prova a evitarlo in ogni modo, al benefico clangore delle idee differenti si preferisce l’uniformità del pensiero unico che, per definizione, rinchiude, impone l’accidia e deprime.Per paradosso, questo livellamento avviene esattamente nell’era in cui si eleva il dialogo a mito, quasi a dogma. Sulla carta, dobbiamo tutti dialogare e ascoltare. In realtà ciascuno ascolta solo sé stesso e il demone meridiano ci conduce in quello che Byung-chul Han indica come «inferno dell’uguale».Dispiace che tracce di tale melassa uniformatrice affiorino pure nel discorso del Papa, nonostante le premesse. Il cuore del suo intervento rivolto ai giovani è proprio il dialogo interreligioso. Un tema fondamentale, soprattutto nella prospettiva di un’alleanza fra le visioni tradizionali del mondo schiacciate dalla modernità dissacrante. Tuttavia, il dialogo, il confronto e lo scontro dovrebbe essere condotto con il coraggio che Bergoglio prima celebra e poi sembra mettere in ombra. «Una delle cose che più mi ha colpito di voi giovani, di voi qui, è la capacità del dialogo interreligioso», dice il Papa ai ragazzi. «E questo è molto importante, perché se voi incominciate a litigare: “La mia religione è più importante della tua…”, “La mia è quella vera, la tua non è vera…”, dove porta tutto questo? Dove? Qualcuno risponda, dove? Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio. Sono - faccio un paragone - come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì. Ma Dio è Dio per tutti. E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio. “Ma il mio Dio è più importante del tuo!”. È vero questo? C’è un solo Dio le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio. Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini. Understood? Ma per il dialogo interreligioso fra i giovani ci vuole coraggio. Perché l’età giovanile è l’età del coraggio, ma tu puoi avere questo coraggio per fare cose che non ti aiuteranno. Invece puoi avere coraggio per andare avanti e per il dialogo».È sacrosanto che ci voglia coraggio per dialogare e per condurre buone battaglie. Ma il coraggio presuppone anche una certa sicurezza di sé, una saldezza di convinzioni che nel ragionamento papale si fa un po’ evanescente. Il rispetto per tutte le fedi è fondamentale e imprescindibile, ma resta che ogni fede è convinta di essere quella giusta. Sostenere o suggerire che, in fondo, si equivalgano appare come un cedimento all’ideologia dominante dell’uniformità. Ovvio, Bergoglio ha senz’altro semplificato per farsi meglio comprendere dai giovani e probabilmente quel che gli interessava di più era invitare al reciproco riconoscimento di valore. Ma certe sottigliezze è bene comunque notarle: confrontarsi, dialogare, accogliere l’altro non devono portare all’eliminazione delle differenze. Anzi, sono proprio differenze, limiti e confini a rendere possibile il confronto, sempre agonistico e mai antagonistico. E allora sì, ci sono tante vie diverse. Una, però, è quella giusta anche se ciascuno è convinto (forse sbagliando) che sia la sua.È solo un dettaglio, come no. Ma il demone meridiano sta anche lì, nei dettagli.
Federico Marchetti, fondatore di Yoox (Ansa)
Pier Silvio Berlusconi (Ansa)