2023-12-19
Papocchio del Papa sulle coppie gay
Papa Francesco (Getty Images)
Bergoglio firma una Dichiarazione dell’ex Sant’Uffizio che autorizza la benedizione in chiesa di unioni in «situazione irregolare». Poi si affretta a precisare che la pratica non va confusa col matrimonio. Ma il pericolo che diventi una specie di liturgia parallela c’è.È una rivoluzione o un contentino? Cambia tutto o non cambia niente? Con i provvedimenti di papa Francesco, la risposta non è sempre chiara: sì, ma anche no. La stessa impressione la restituisce Fiducia supplicans, la Dichiarazione di ieri del Dicastero per la dottrina della fede (l’ex Sant’Uffizio), guidato dal cardinale Víctor Manuel «Tucho» Fernández: via libera alla benedizione di «coppie in situazioni irregolari» (i divorziati che hanno contratto una nuova unione, per intenderci) e di «coppie dello stesso sesso». Senza, però, «convalidare ufficialmente il loro status o modificare in alcun modo l’insegnamento perenne della Chiesa sul matrimonio». La pubblicazione del testo ha di sicuro una portata storica. È la prima volta che il Pontefice mette la firma su un atto del Dicastero dedicato a questo argomento. Finora, la Santa Sede aveva adottato un criterio interlocutorio: le risposte di Jorge Mario Bergoglio ai dubia dei cardinali conservatori - citate nelle pagine uscite ieri - e quelle dello stesso Tucho a un vescovo brasiliano, a proposito della possibilità di affidare ai gay che convivono l’incarico di padrini di battesimo.Inoltre, lo scritto ribalta il Responsum del 2021, redatto dal predecessore di Fernández, il cardinale gesuita Luis Francisco Ladaria Ferrer. Due anni fa, costui stabiliva che, essendo «moralmente leciti soltanto quei rapporti sessuali che sono vissuti all’interno del matrimonio», non è possibile conferire la «benedizione liturgica quando questa, in qualche modo, possa offrire una forma di legittimazione morale a un’unione che presuma di essere un matrimonio oppure a una prassi sessuale extra-matrimoniale». Il porporato argentino ora obietta che non si deve «ridurre il senso delle benedizioni» all’idea che, per riceverle, siano necessarie «le stesse condizioni morali che si chiedono per la ricezione dei sacramenti». Per farsi la comunione, è obbligatorio essersi confessati e, comunque, trovarsi in stato di grazia; per farsi benedire, no. Infine, colpisce il confronto con il più vicino precedente. Come ha notato Marco Tosatti, l’ultima Dichiarazione emessa dall’organismo vaticano risale addirittura al 2000: il prefetto dell’epoca, Joseph Ratzinger, vergò un documento nel quale ribadiva «l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa», precisando che solo quella cattolica è la «vera religione» e solo la Chiesa di Roma ne è depositaria.Dunque, è una rivoluzione o un contentino? Cambia tutto o non cambia niente? La cifra è quella cui ci ha abituato questo Papa: siamo passati dalla carità nella verità, alla misericordia nell’ambiguità.La Dichiarazione è un profluvio di aperture e altrettanti distinguo. Spiega che una benedizione non presuppone «un’esaustiva analisi morale». Rammenta che il Santo Padre ha invitato ad «ampliare e arricchire il senso» del sacramentale. Intanto, però, prescrive che si evitino «forme gravi di scandalo o confusione fra i fedeli»; che la forma della benedizione non trovi «alcuna fissazione rituale da parte delle autorità ecclesiali»; che sia amministrata lontano dai «riti civili di unione», mai «in relazione a essi» e mai «con degli abiti, gesti o parole propri di un matrimonio». I contesti adatti saranno «la visita a un santuario, l’incontro con un sacerdote, la preghiera recitata in un gruppo o durante un pellegrinaggio».Il documento, peraltro, riconosce che la concessione comporta un rischio: che dal «semplice gesto che fornisce un mezzo efficace per accrescere la fiducia in Dio da parte delle persone che la chiedono», si giunga all’«atto liturgico o semi-liturgico, simile a un sacramento». Una sorta di matrimonio alternativo. Perciò, Tucho richiama all’ordine: a essere benedetti sono quelli che «non rivendicano la legittimazione di un proprio status». In più, la Dichiarazione sottolinea che il sacramentale è abitualmente accordato anche a «oggetti di culto», «immagini sacre», «luoghi di vita, di lavoro e di sofferenza» e persino «frutti della terra e della fatica umana». Per la serie: si può benedire il raccolto, figuriamoci se non si può benedire una coppia omosessuale.Al netto degli artifici del doppio registro, rimangono perplessità di merito. Non c’è nulla di male a invocare «la pace, la salute, uno spirito di pazienza, dialogo e aiuto vicendevole», o «la luce e la forza di Dio per poter compiere pienamente la sua volontà». Ma allora, basterebbe benedire singolarmente le persone. Se oggetto del sacramentale diventa la coppia, è arduo escludere via sia un placet a quel tipo di unione. D’altronde, per un cattolico, cosa ci dovrebbe essere di «buono» e, soprattutto, di «vero», in una relazione irregolare? Intrattenerla è un peccato o no? Se sì, la Chiesa dovrebbe esortare alla conversione; se no, dovrebbe davvero modificare il suo «insegnamento perenne», piuttosto che sgusciare tra le formule fumose. È la tecnica per cambiare tutto lasciando tutto com’era: specificare che nessuno sta convalidando «ufficialmente» il rapporto illecito, trincerandosi dietro la «pastorale». In punto di diritto, non si tocca la forma; nella sostanza, si altera la pratica.Il solito groviglio, che compare mentre una parte degli osservatori progressisti, sulla scia del caso Becciu, rimprovera a Bergoglio di aver disatteso le speranze riformiste. Permane il dubbio: è un Papato di rottura o di maquillage? Il magistero è intatto o è mutato? La difficoltà a offrire un verdetto è già eloquente. Il Vangelo è inequivocabile: «Sia il vostro parlare sì sì, no no; il di più viene dal maligno». Dopodiché, chi siamo noi per giudicare? Ci affideremo alla dritta evangelica: «Ogni albero si riconosce dal suo frutto».
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)