2022-07-28
Giuliano Panza: «Clima, il pericolo è impegnare risorse su una finta emergenza»
Il geofisico, massimo esperto di sismologia, ha firmato con oltre mille esperti la dichiarazione che nega l’urgenza: «Costruire una politica di protezione civile su un rischio così poco definito è deplorevole».In un mondo dove il Gabibbo è più rispettato di un Umberto Veronesi, pochissimi conoscono Giuliano Panza. Professore di geofisica all’università di Trieste, detentore, honoris causa, di laurea in quella di Bucarest e di cattedra in quella di Pechino, membro dell’Accademia dei Lincei e dell’Accademia nazionale delle scienze, il professore è stato direttore del Gruppo di struttura e dinamica non-lineare della Terra presso il Centro internazionale di fisica teorica di Trieste. Un solo difetto: è membro anche dell’Accademia nazionale russa delle scienze, circostanza che, coi tempi che corrono, impone di guardarlo con circospezione assieme ad altri d’altri campi, tipo Dostoevskij e Tolstoj, Tchaikovsky e Stravinsky, Kandisnkij e Mendeleev. Ce ne faremo una ragione e, con la circospezione dovuta, lo intervistiamo lo stesso. Professor Panza, nella lista dei 1000 più quotati esperti mondiali di Scienza della Terra lei è al quarto posto tra gli italiani. Lei è riconosciuto tra i massimi esperti mondiali in sismologia, ma ha sottoscritto la Dichiarazione mondiale sul clima «Non v’è alcuna emergenza climatica». Come mai?«Intanto mi lasci dire che quelle classifiche, come a volte accade con esse, significano poco. Ciò precisato, anche se mi occupo di sismologia, e anche se pur sempre geofisica ho studiato, vorrei rispondere usando le parole del premio Nobel per la fisica, Ivar Giaever, che è primo firmatario di quella Dichiarazione: “Non bisogna neanche essere scienziati per rendersi conto che non stiamo vivendo alcuna crisi climatica” e, soprattutto, nulla possiamo fare per governare un clima che, ci insegna la storia della Terra, è sempre cambiato. I mille e più miei colleghi che hanno sottoscritto quella Dichiarazione hanno inteso allertare i responsabili politici ai massimi livelli del rischio che si corre a impegnare risorse su una finta emergenza: quelle risorse sono distolte da emergenze vere e, restando nel campo delle scienze della Terra, l’emergenza vera non è quella di governare il clima - che è ingovernabile - ma proteggersi dagli eventi climatici indesiderati e disastrosi, così come è necessario proteggersi dai terremoti, anch’essi ingovernabili».Cosa non l’ha convinta della narrazione climatica?«Le valutazioni di rischio climatico - esattamente come, devo dire a malincuore, le valutazioni di rischio sismico - non soddisfano il principio popperiano di falsificabilità: per essere presa in considerazione, una congettura che aspiri ad essere scientifica deve, intanto, essere formulata in modo che sia falsificabile e, inoltre, deve avanzare previsioni correttamente confermate dalla realtà. Tutto ciò non sembra sia rispettato da parte di coloro che sostengono che il clima attuale sarebbe governato dall’uomo. I modelli climatici sui quali si fonda l’intera congettura che vuole l’attuale clima governato dalle nostre emissioni di CO2 semplicemente porgono previsioni errate: non hanno correttamente previsto il pattern di temperatura della troposfera, né l’evoluzione climatica dei primi tre lustri di questo millennio e neanche hanno “previsto” il clima del passato, in particolare il Periodo caldo romano. Hanno ricostruito solo il clima dei 20 anni del 1980-2000». Tutto sbagliato? «Sui modelli climatici errati non bisogna infierire troppo, perché quello climatico è uno dei sistemi più complessi che c’è e bisogna essere indulgenti coi colleghi e con lo sforzo che fanno. Al momento, però, i risultati sono molto deludenti. Costruire una politica di protezione civile su un rischio così poco definito, a fronte di reali rischi che sono irresponsabilmente quasi ignorati è una cosa decisamente deplorevole. Per giunta con la possibilità che un clima più caldo e una maggiore concentrazione atmosferica di CO2 potrebbero essere di beneficio: sarebbe veramente stranissimo che il clima ideale per l’umanità fosse esattamente quello del 1850, per tacere del fatto che nessuno ci ha detto quale questo clima ideale dovrebbe essere. Abbiamo altre emergenze accertate cui pensare».Per esempio quali? «Il rischio sismico, per esempio».Ai terremoti vengo tra breve. Prima le chiedo un ultimo commento in tema di clima. Lei è un fiore all’occhiello nell’Accademia dei Lincei. Eppure, quando i promotori italiani della petizione che avverte che non v’è alcuna crisi climatica chiesero di intervenire a una conferenza che l’Accademia aveva organizzato su codesta (presunta) crisi, l’Accademia preferì cancellare la Conferenza piuttosto che confrontarsi coi colleghi, che furono sùbito spregevolmente chiamati «negazionisti». Che idea s’è fatto della vicenda?«Intanto, come membro dell’Accademia, ho manifestato il mio dissenso sulla scelta. È stato un grossolano errore e, soprattutto, è stato calpestato lo spirito della scienza e del suo metodo, che è quello del libero confronto. Tra i relatori a quella conferenza c’erano anche alcuni che, senza arte né parte con la geologia, la geofisica e, in generale, la scienza del clima, avevano assegnate relazioni plenarie; eppure, si negava la parola a studiosi del calibro dei professori Scafetta, Prodi e Crescenti. A pensar male, la circostanza è stata facilmente interpretata come il timore, da parte dei sostenitori della congettura della causa antropica, di non saper rispondere alle obiezioni sollevate dai “negazionisti”». Ne sono convinto anch’io. A quel tempo anche io avevo chiesto di fare una piccola relazione, visto che negli ultimi anni ho studiato approfonditamente la questione energetica, e avrei voluto esporre tutte le ragioni per cui nessun programma di riduzione della CO2 è possibile senza effetti disastrosi per l’umanità.«Già, e credo che lei abbia ragioni da vendere, in proposito. Come dimostra la spasmodica ricerca di gas e petrolio da parte dei Paesi europei, che fino allo scorso 24 febbraio giuravano di avere in programma la riduzione dell’uso di gas e di petrolio». Addirittura l’azzeramento entro il 2050. Ma veniamo alla questione che le sta a cuore e che pure c’interessa: la necessità di rivedere i criteri di valutazione della pericolosità sismica. Ce ne parla in breve?«Gli attuali criteri di definizione di maggiore o minore pericolosità sismica sono di natura probabilistica, ove però la probabilità è definita in termini di periodo di ricorrenza. Così, a un’area ove l’osservazione storica mostri che terremoti di una prefissata intensità avvengono, per dire, ogni 500 anni, è assegnata una pericolosità sismica diversa da quella di un’area ove terremoti di quell’intensità si osservino, poniamo, ogni 100 anni. Le mappe sono costruite con questo criterio e l’attenzione dei responsabili politici segue quelle mappe. In questo modo, il territorio modenese che non registrava terremoti intensi da secoli era considerato, per ciò stesso, “sicuro”. Che le cose non stessero così fu nel 2012 una sorpresa, tanto amara quanto ingiustificata, per tutti».Invece, in alternativa all’approccio probabilistico, lei propone un approccio neodeterministico...«Esatto. Se in una certa area un terremoto di magnitudo 7 è occorso 1000 anni fa, anziché dormire sonni tranquilli per il fatto che occorse «ben» 1000 anni fa, bisogna invece stare in allerta che, in quell’area, un terremoto di magnitudo 7 può avvenire. Il metodo neodeterministico da me proposto impiega un modello di calcolo che considera, per ogni area considerata, la descrizione fisica del processo di rottura che è causa del terremoto nella zona studiata e il percorso seguito dall’onda sismica durante la sua propagazione. In questo modo si può con buona confidenza prevedere la risposta del territorio a diverse potenziali sorgenti di sismicità».L’argomento è affascinante. I suoi studi le hanno avvalso, nel 2000, la medaglia Beno-Gutenberg dell’Unione europea di fisica e, nel 2018, il Premio internazionale dell’Unione geologica americana. Come mai, ancora oggi, per le loro decisioni i responsabili politici si servono delle mappe probabilistiche anziché delle sue neodeterministiche?«Forse per la stessa ragione per cui, in tema di politiche climatiche ed energetiche, prestano orecchio alle Greta Thunberg anziché ai professori Scafetta, Prodi, Crescenti, Battaglia e i mille altri “negazionisti”?».
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