2025-12-02
Follia Nato: guerra preventiva a Putin
L'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone (Ansa)
L’ammiraglio Cavo Dragone, capo militare: «Dovremmo essere più aggressivi con Mosca, cyberattacchi per scongiurare imboscate». Ma l’Organizzazione ha scopi difensivi: questa sarebbe una forzatura. Con il rischio che dal conflitto ibrido si passi a quello coi missili.«Attacco preventivo». L’avevamo già sentito ai tempi dell’Iraq e non andò benissimo. Eppure, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del Comitato militare Nato, ha riproposto uno dei capisaldi della dottrina Bush in un’intervista al Financial Times. Si riferiva alla possibilità di adottare una strategia «più aggressiva» con la Russia. Beninteso, l’ipotesi verteva su un’offensiva cyber: «Stiamo studiando tutto sul fronte informatico», ha spiegato il militare.L’Alleanza atlantica, quindi, non bombarderà Mosca. Ma poiché essa stessa ritiene che i blitz virtuali, almeno quelli dalle conseguenze più gravi, rendano necessario attivare l’articolo 5 sulla mutua assistenza, realizzare la proposta di Cavo Dragone equivarrebbe a compiere un atto di guerra nei confronti della Federazione di Vladimir Putin. Sia pure al fine esclusivo di scoraggiare hackeraggi, sconfinamenti nello spazio aereo europeo e disinformazione.Il punto è che il Trattato Nordatlantico indica nella sicurezza collettiva gli scopi della partnership. La Nato è un’alleanza difensiva. È questo il senso degli articoli 4 e 5 del suo documento fondativo, relativi alle consultazioni tra Stati in caso di minaccia esterna e al soccorso reciproco, nell’eventualità in cui uno di essi venga colpito. Inoltre, come specifica, con estrema trasparenza, persino il sito Web dell’organizzazione, qualunque incursione informatica contro ospedali, reti energetiche, sistemi di difesa e che, in ogni caso, provochi effetti paragonabili a quelli di un raid missilistico, va trattata esattamente come un «attacco armato» convenzionale.Del dettaglio si è reso conto lo stesso Cavo Dragone, che ritiene di aver trovato un escamotage: l’«attacco preventivo», ha spiegato al quotidiano britannico, potrebbe essere ritenuto «un’azione difensiva», dal momento che scongiurerebbe le imboscate «sporche» del Cremlino. Per la serie: l’attacco è la miglior difesa. Qui, però, non stiamo parlando di catenaccio o di calcio totale. E c’è di mezzo un enorme intoppo legale. Il capo militare della Nato ha ammesso che questo scenario «va oltre il nostro solito modo di pensare e di comportarci». L’organizzazione, da anni, riconosce che quello cyber è un «dominio» analogo a terra, aria, mare e spazio; tuttavia, nemmeno il suo attuale segretario generale, Mark Rutte, si è spinto oltre l’invito a impiegare «l’intera gamma di capacità per dissuadere, difendersi e reagire a tutto lo spettro di minacce cyber». «Forse», ha riflettuto l’ammiraglio sul Financial Times, «dovremmo agire in maniera più aggressiva del nostro avversario». Ma ciò solleverebbe una serie di «domande» sul «quadro giuridico» e sulla «giurisdizione: chi lo farà?».I nostri partner dell’Europa dell’Est, probabilmente. I quali un po’ si sentono sul collo il fiato di Mosca; un po’ temono una conclusione sfavorevole all’Occidente del conflitto in Ucraina; e un po’ sono convinti che i tempi siano maturi per chiudere le antiche dispute con i rivali russi. Sarebbero proprio i diplomatici di questi Paesi ad aver chiesto al quartier generale di Bruxelles di non limitarsi più a «reagire», bensì di passare alla controffensiva.In ballo c’è l’interpretazione del concetto di deterrenza: in che modo la si ottiene? «Attraverso azioni di ritorsione», si è interrogato l’ammiraglio, oppure «attraverso un attacco preventivo?». Cavo Dragone ha preso ad esempio l’operazione Baltic Sentry, mirata a prevenire il taglio dei cavi sottomarini: da quando è iniziata, ha osservato, «non è successo nulla». I nemici hanno abbassato la cresta. Ma un conto è pattugliare nostre infrastrutture, un conto è danneggiare quelle degli altri. E un conto sarebbe portare a termine piccole iniziative, un conto sarebbe condurre un’unica missione più eclatante, a mo’ di avvertimento, un conto sarebbe iniziare una vera guerra ibrida su larga scala. Con il pericolo che il confronto si trasformi in uno scontro di artiglierie, duelli aerei e testate ipersoniche. In Russia - era scontato - non l’hanno presa bene: le dichiarazioni del dirigente Nato, ha affermato Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri, sono «un passo estremamente irresponsabile, che indica la volontà di continuare a spingersi verso un’escalation». Non che i sabotaggi di Mosca siano gesti di grande assennatezza... Le cancellerie occidentali rimangono caute. Il titolare della Farnesina, Antonio Tajani, ha confermato: «Certamente dobbiamo adottare delle contromisure» alle offensive russe. Quella delle minacce cyber, però, a suo parere «è una questione che deve seguire la Nato». Dopodiché, nell’Alleanza esiste un Consiglio incaricato di assumere le decisioni politiche e formato dai rappresentanti delle nazioni alleate. Per la Lega, «gettare benzina sul fuoco con toni bellici o evocando “attacchi preventivi” significa alimentare l’escalation. Serve responsabilità, non provocazioni». Sarebbe interessante conoscere la posizione ufficiale dell’Italia, visto che la Nato ha percorso un metro in più verso il baratro. I suoi Paesi membri, ha commentato col giornale inglese Cavo Dragone, hanno «molti più vincoli rispetto ai nostri avversari, a causa di etica, leggi e giurisdizione». Già. Ha dimenticato solo di citare quel fastidioso orpello che è la democrazia.
Rocca Salimbeni, sede del Monte dei Paschi di Siena (Ansa)
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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