2022-12-17
Il pandoro è l’orgoglio di Verona. E guai a scambiarlo per veneziano
La ricetta fu brevettata nel 1894 da Melegatti, che partì dal Nadalin: tolti pinoli e glassa, aggiunti uova e burro, nacque il dolce natalizio. Che i veronesi rivendicano con fierezza. Ne sa qualcosa la tv pubblica francese.«Te la do io la brioche». Non c’è metafora nella minaccia di Raffaella Faccioli, bella e creativa cinquantenne veronese che vive a Parigi da 19 anni, da quando, cioè, ha sposato Tigrane Boccara Kebadian, figlio della Ville Lumière, conosciuto al corso di Interior Design all’Università di Ca’ Foscari a Venezia e seguito, finiti gli studi, a Parigi. Guai a toccarle Verona e il pandoro, fosse anche, come racconteremo, la televisione di Stato. Raffaella è la referente dell’associazione «Veronesi nel mondo» per la Francia. Abita nei pressi di Place de la République, non lontano dal Louvre e da Notre-Dame, ma ha sempre nel cuore Villafranca, dove abitava prima di diventare citoyen français, e la sua Verona. Ha due figli, Mattia, 16 anni, e Agata, 15, che parlano con disinvoltura francese, italiano e dialetto veronese.«Lavoro qui», racconta l’interior designer, «ma è Verona, la mia urbs picta, che mi ispira nei colori con cui restauro gli appartamenti storici di Parigi. Lo scorso anno promossi una iniziativa legata a Giulietta e Romeo: illuminai una strada parigina con migliaia di candele. Verona e Parigi non sono per antonomasia le città dell’amore? Era giusto gemellarle nel nome dei giovani amanti veronesi».Tanto orgoglio montebaldino ha eruttato lava e lapilli alcuni giorni fa dopo aver visto il Jt (il tg) di France 2, la Rai francese, che aveva trasmesso un servizio sul pandoro realizzato in Veneto da due giornaliste della redazione romana. Titolo: Brioches de Nöel, le pain d’or de Venise. «Ma come?», esplode Raffaella, «chiamano brioche il nostro pandoro e ne attribuiscono l’origine a Venezia? È un falso clamoroso che va contestato. Sentendo la trasmissione mi sono indignata. Mi aspetto che da Verona mandino un comunicato di smentita a France 2. Mi appello al sindaco di Verona, Damiano Tommasi: faccia qualcosa. Bisogna dire alla Francia e al mondo che il pandoro è il dolce tradizionale di Verona, non di Venezia. E non è una brioche, dolcetto francese che trasuda burro. Difendiamo il nostro pandoro. Qui lo vendono perfino in giugno, ma non sanno che è di Verona. M’incavolo quando sento dire che è una brioche solo perché è lievitato. Certo, il pandoro è un dolce lievitato da forno. Anche l’uomo più brutto del mondo ha un viso, due gambe, due braccia, ma non somiglia automaticamente a Brad Pitt. Ma la colpa non è dei francesi che sono bravissimi a vendere i loro prodotti e ammirano l’Italia. La colpa è di noi italiani che non sappiamo farci rispettare». Nel servizio trasmesso sull’edizione pomeridiana, Julian Bugier, il conduttore, premette che gli inviati sono andati nella magnifica Venezia - e le immagini della città lagunare scorrono sul fondo - alla scoperta de le meilleur dessert de noël, le pan-do-rò. La didascalia che accompagna il servizio, visibile in archivio, recita (in francese): «Con l’avvicinarsi delle festività di fine anno, 13 Heures continua il suo tour dei migliori dolci natalizi. Mercoledì 7 dicembre, direzione Italia alla scoperta del pandoro o pane d’oro. Il pandoro è una brioche italiana, un vero must natalizio. Ogni anno, a dicembre, in Italia se ne vendono migliaia di tonnellate. La leggenda vuole che la ricetta di questa brioche sia stata sviluppata a Venezia nel Medioevo. In una pasticceria del centro storico della città si fa da più di un secolo. A poche settimane dal Natale sono in piena attività. Preparano il famoso pandoro. La ricetta secolare è semplice: uova, farina, zucchero e burro in grandi quantità. Aggiungiamo anche qualche tocco di vaniglia. Per fare un pandoro ci vuole uno stampo a forma di stella e soprattutto tanta pazienza. Un’ora di cottura è sufficiente. Basta aggiungere lo zucchero a velo e il gioco è fatto. Meno conosciuto in Francia del panettone, il pandoro è la brioche di riferimento per le feste in Italia».E Verona? Qualche sequenza iniziale del mercatino di Natale (senza dire che è a Verona) e un’immagine dall’alto prima della fine. Il servizio dura poco più di cinque minuti, quattro dei quali, tra scorrere di gondole nei canali e vedute dall’alto di piazza San Marco, dedicati alla pasticceria di Venezia il cui titolare vanta la primogenitura del pain d’or de Venise nel suo laboratorio da 140 anni. Commento della voce narrante francese: «Le pandorò decorato di foglie d’oro finiva sulla tavola degli aristocratici veneziani».Luciano Corsi, presidente del Comitato per Verona, organizzatore del mercatino di Natale in Piazza dei Signori e vicepresidente dei veronesi nel mondo, è scandalizzato: «Ho accompagnato le due inviate di France 2 per il mercatino di Natale dove hanno intervistato diverse persone, hanno sentito la vera storia del pandoro, ma alla fine è uscito un reportage pubblicitario di un pasticcere veneziano. In più hanno fatto passare il falso messaggio che il pandoro è una brioche. Ho telefonato a una delle due giornaliste, mi ha risposto che purtroppo non sono state loro a montare il servizio, che Venezia è conosciuta in Francia, che qui, che là...».Meno male che la storia, documenti alla mano, mette il sigillo su Verona. Il merito dell’invenzione del pandoro va a Domenico Melegatti, mastro pasticciere, imprenditore con il bernoccolo del marketing e pater certus del re dei dolci lievitati da forno. Domenico non era il solo pasticciere veronese a sfornare per Natale un dolce soffice, ben lievitato, ma fu lui a registrarlo come pandoro chiedendo all’Ufficio Brevetti di riconoscere nome e ricetta. Fu accontentato. Il 14 ottobre 1894 l’ente rilasciò a Melegatti la «privativa» della dolce scoperta: lui solo poteva vantarsi di aver creato il pandoro.Melegatti arrivò al pandoro partendo dal nadalìn. Conosceva a fondo la tecnica dei dolci lievitati da forno. Eliminò la glassa di zucchero e pinoli che impediva la completa lievitazione; aggiunse uova e burro per rendere più soffice l’impasto; modificò i forni per ottenere una temperatura costante. È con questi accorgimenti che nacque il pandoro: tenero come l’amore tra Giulietta e Romeo, tipico come l’Arena. Del nadalìn mantenne la simbolica forma a stella che ricorda la nascita di Gesù. Melegatti, furbo stratega di mercato, pensò al design del dolce e affidò il compito di disegnare l’immagine del pandoro al pittore Angelo Dall’Oca Bianca. L’artista inventò il caratteristico stampo con la stella a otto punte, lo stesso che ancora dà la forma a tutti i pandori di Verona o extra moenia.Ma Domenico non era ancora contento. Voleva stravincere. Brevettata la ricetta del pandoro, per evitare future diatribe giudiziarie con i colleghi concorrenti, li sfidò a produrre la ricetta originale: a chi avesse dimostrato di sfornare un pandoro uguale al suo avrebbe sborsato 1000 lire sull’unghia. A quei tempi era una cifra enorme. Nessun pasticciere, né veronese né veneziano, intascò la somma e Domenico, che aveva laboratorio in corso Portoni Borsari, di fronte alla chiesa romanica di San Giovanni in Foro, girò il coltello nella piaga esaltando la sua vittoria con versi dialettali: «El sta de fronte a San Giovani en Foro/ e l’à ’nventà el pandoro./ I pasticeri da la rabia muti/ i à volùo scimiotarlo tuti». Non c’è bisogno di traduzione.Il reportage di France 2 si conclude, per pochi secondi, nello storico laboratorio pasticceria di Dario Loison di Costabissara in provincia di Vicenza, dov’era presente il sottoscritto, chiamato a raccontare la storia del pandoro, e dove lo chef pâtissier ha mostrato come farcire il pandoro in vari modi: con lo zabaione, il marron glacè, il pistacchio... Dopo Venezia, Vicenza. Un’altra contraddizione? No, Loison (Luasò per i francesi) testimonia: «Noi facciamo pandori secondo la rigorosa ricetta veronese. Furono due pasticcieri scaligeri, Nino Borsaro e Sandro Dallera (che lavorava per Melegatti), a svelare i segreti del vero pandoro veronese a mio padre Alessandro, che poi li ha trasmessi a me come io li sto trasmettendo a Edoardo, mio figlio. Il pandoro è di Verona»
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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