2025-08-12
Il membro del Cts: «In pandemia colleghi più in tv che al lavoro»
Andrea Urbani (Imagoeconomica)
Andrea Urbani e Marco Dionisio raccontano tutta l’impreparazione e il pressapochismo che hanno contraddistinto l’azione contro la pandemia di Conte. Che si affidava a una piccola fondazione trentina guidata da un... matematico.Bisognerebbe leggere tutti i verbali delle audizioni della Commissione parlamentare d’inchiesta sul Covid. Se lo si facesse, se i giornali, invece di occuparsi di quanto costa affittare un ombrellone sulle spiagge italiane o del cachet di Fedez per la sagra dello stoccafisso di Cittanova, pubblicassero i resoconti degli interrogatori davanti ai commissari di Camera e Senato ne scopriremmo delle belle. O meglio: ci renderemmo conto di come sia stata gestita l’emergenza Covid e quanta impreparazione vi fosse sia a livello politico che tecnico.Forse qualcuno lo ha dimenticato, ma durante la pandemia si sono registrati quasi 190.000 decessi, ovvero circa il doppio degli italiani che ogni anno muoiono d’infarto. È alle famiglie di queste quasi 200.000 vittime che dobbiamo una spiegazione. E leggere i verbali, non soltanto non è un esercizio inutile ai fini della comprensione di un fenomeno che ha segnato la nostra vita, ma è anche un modo per evitare in futuro di commettere altri errori.In breve, vi racconterò una delle audizioni da me ritenuta più interessanti, ovvero quella del dottor Andrea Urbani, ex direttore generale della programmazione del ministero della Salute, un uomo che ha vissuto l’emergenza pandemica fin dall’inizio. Il 31 maggio, in Senato, il funzionario del ministero si è seduto davanti ai commissari e ha risposto senza nascondersi dietro una cortina fumogena di parole. In pratica, Urbani ha detto che molti dei suoi colleghi del Comitato tecnico scientifico, cioè di quell’organismo a cui era demandato il compito di adottare le misure per evitare la diffusione del Covid, stavano più in tv che al Cts, ma soprattutto ha detto che sin dall’inizio si era capito che i posti letto per il ricovero dei pazienti erano insufficienti, ma questo non è mai stato trasfuso in un piano di potenziamento. Urbani ha aggiunto anche che al ministero della Salute esisteva una direzione debole, con «figure per nulla adeguate a gestire un’emergenza», precisando che mancavano perfino gli strumenti per consentire le videoconferenze. Dalle sue parole si capisce che i dati di cui disponeva l’Istituto superiore di sanità erano poco profondi e dunque le decisioni, come ad esempio quella di chiudere in casa gli italiani, furono prese senza neppure elementi concreti a sostegno.Non meno interessante è l’audizione di Marco Dionisio, altro dirigente del ministero, al quale la Commissione ha chiesto conto dei mezzi impiegati per evitare il diffondersi del virus. Anche in questo caso si comprende l’impreparazione delle strutture preposte all’emergenza e di conseguenza che alcune decisioni sono state prese a caso. In particolare, Dionisio ammette che la carenza principale evidenziata durante la pandemia fu quella dei respiratori nei reparti di rianimazione. «Sui dispositivi, se ce ne fossero stati di più…», dice fermando la frase prima di concludere. Il senso è ovvio: ci fossero stati, avremmo avuto meno morti. Ma su tutto ciò sta calando la congiura del silenzio. Invece di raccontare le mancanze e le responsabilità di una delle più devastanti epidemie degli ultimi anni, si preferisce parlare del caro spiaggia. Così si ignorano le colpe appena richiamate dalla Corte di cassazione e ci si continua a raccontare che in Italia abbiano adottato le misure migliori, con il lockdown e il green pass. Che questo sia costato la privazione della libertà e abbia inciso sulla psiche di giovani e meno giovani è meglio non dire. Meglio parlare di due esperti che non fanno parte della cupola scientifica e sono stati nominati nel comitato ministeriale che deve dare suggerimenti al ministro. Questo è lo scandalo di cui si occupano i cosiddetti esperti. Su tutto il resto, impreparazione compresa, preferiscono il silenzio.
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