
Plico con un bossolo spedito al Viminale. Su Internet Enrico Galmozzi, fondatore di Prima linea condannato per duplice omicidio, si rivolge al vicepremier leghista: «Giù la testa, cogl... una volta consegnavamo a mano». In qualsiasi altro Paese del mondo un assassino terrorista non avrebbe la libertà di cui gode, oggi, Enrico Galmozzi, fondatore di Prima Linea condannato a 27 anni di carcere per duplice omicidio. La libertà di richiamare pagine buie della storia della nostra Repubblica. La libertà di sentirsi al di sopra della legge. La libertà di continuare a incendiare gli animi come se fossimo ancora negli anni Settanta. La libertà di minacciare e insultare apertamente il ministro dell'Interno Matteo Salvini. Com'è accaduto ieri, nel giorno in cui è stata resa pubblica la notizia che il vicepremier leghista ha ricevuto un proiettile calibro 22, incartato nella stagnola all'interno di un plico anonimo. Indirizzato al «Ministro Duce Salvini» e intercettato, ventiquattr'ore prima, dalla polizia nel centro meccanografico di Sesto Fiorentino.Scrive Galmozzi nel post: «Giù la testa coglione, non fare il cinema che ti va di culo: una volta invece di spedirli li consegnavamo di persona», alludendo chiaramente alla pallottola ritrovata presso l'area di smistamento postale in Toscana. Due giorni prima, sempre il killer di Prima Linea aveva pubblicato una foto di profilo di Salvini al mare, e aggiunto a mo' di didascalia: «Salvini mostra i muscoli... (datemelo in mano 5 minuti)». Che cosa vorrebbe fare il sicario estremista rosso del capo del Viminale?Galmozzi è rimasto in carcere per quasi tre lustri, ma non è stato condannato all'ergastolo perché considerato «non irriducibile». Scontata la pena, si è rifatto una vita a Milano con una piccola attività di rivendita di scatole per gioielli e scrivendo libri sulle imprese dannunziane a Fiume, e poi si è trasferito in Calabria dove tuttora abita atteggiandosi a grande vecchio della lotta anticapitalistica e antifascista. Non è per questo difficile comprendere che le sue parole incendiarie possono rappresentare il richiamo della foresta per nostalgici degli anni di piombo e della lotta proletaria fatta con la Walther P38. «Se un killer si sente libero e forte di poter fare certe affermazioni pubblicamente chissà cosa si sta cospirando dietro certe porte contro lo Stato italiano. Anche la Balzerani ha dichiarato che la loro missione non è morta! Dobbiamo aspettare la vittima?» si chiede Potito Perruggini, presidente dell'Osservatorio nazionale per la verità storica «Anni di piombo». Lui conosce bene Galmozzi perché il 12 marzo 1977, a Torino, un commando di Prima Linea sparò al cuore di suo zio, il brigadiere Giuseppe Ciotta. Perruggini lo ha anche querelato, il sicario rosso, per i suoi post violenti su Facebook ma la Procura di Locri, secondo quanto risulta alla Verità, sarebbe a un passo dall'archiviazione. «Siamo arrivati a 100 minacce di morte», è stato il commento di Salvini affidato a Twitter. «Questi tentativi di violenza non mi spaventano, altrimenti farei un altro mestiere. Anzi, vado più grintoso di prima». L'invio del proiettile ha polarizzato, com'è naturale che sia, il dibattito politico che, bisogna sottolinearlo, si è caratterizzato per una solidarietà bipartisan e quasi unanime. Anche esponenti politici, seppur lontanissimi dal leader leghista, come Roberto Fico, oppure come Laura Boldrini o ancora come Roberta Pinotti e Dario Nardella ed Emanuele Fiano (questi ultimi tre del Partito democratico) hanno espresso vicinanza al vicepresidente del Consiglio. Stessi concetti ribaditi anche da Forza Italia e Fratelli d'Italia. Silenzio invece dal Movimento 5 stelle se non per qualche sparuta dichiarazione fatta a titolo individuale o per obbligo istituzionale (vedi Fico). I big pentastellati hanno taciuto per tutto il giorno, a cominciare dal «gemello» di Palazzo Chigi, Luigi Di Maio. Non si è fatto vivo nemmeno il sottosegretario alle Pari opportunità, Vincenzo Spadafora, al quale polemicamente lo stesso Salvini si era rivolto ricordando che appena «due giorni fa mi ha accusato di essere maschilista, omofobo, sessista, razzista». La pasionaria leghista Barbara Saltamartini, presidente della commissione Attività produttive della Camera, ha definito il sottosegretario del Movimento 5 stelle un «cattivo maestro». «Se ne rendano una buona volta conto e abbiano il coraggio di esprimere solidarietà e vicinanza a un rappresentante delle istituzioni che sta difendendo in prima persona i confini del nostro Paese», ha detto la Saltamartini. «Il ministro Salvini sta salvando l'Italia e gli italiani gliene sono grati. Siamo tutti con lui. Non arretriamo di un solo millimetro: avanti tutta con porti chiusi e tolleranza zero contro la criminalità». Sulla stessa lunghezza d'onda Lucia Borgonzoni, senatrice e sottosegretario al ministero per i Beni e le attività culturali, che ha attaccato: «Stride l'assordante silenzio di Vincenzo Spadafora. Dopo aver dato del fascista e razzista al ministro dell'Interno del suo stesso governo senza nemmeno chiedere scusa, perché oggi di fronte a questa violenza Spadafora non si indigna? Un silenzio inaccettabile e imbarazzante».
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