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2024-09-04
Strage di Paderno, Giuseppe Valditara ne è sicuro: «Ragazzi segnati da Covid e lockdown»
Il ministro dell'Istruzione, Giuseppe Valditara (Ansa)
«Non so darmi una spiegazione, sono molto dispiaciuto, non volevo uccidere. Non so spiegare il perché, vivevo da tempo un disagio, ma non volevo uccidere la mia famiglia, l’idea di ucciderli l’ho maturata solo quella sera. È stato un atto di emancipazione, ma non pensavo a uccidere»: è iniziato così ieri pomeriggio, secondo le parole dell’avvocato difensore Amedeo Rizza, il nuovo interrogatorio di Riccardo C., il diciassettenne accusato di aver ucciso i genitori e il fratello di 12 anni domenica a Paderno Dugnano.
L’interrogatorio, avvenuto nel centro di prima accoglienza del carcere minorile Beccaria di Milano, è stato richiesto dagli stessi magistrati della Procura dei minori che indagano sul caso ed è durato un’ora e mezza. Lo studente è accusato di omicidio volontario pluriaggravato anche dalla premeditazione per aver infierito, a colpi di coltello, contro il fratellino di 12 anni, quindi sulla madre Daniela e infine sul padre, Fabio, 51 anni, compiuti sabato scorso, poche ore prima del triplice omicidio. La dinamica della tragedia, secondo il suo racconta, è questa: ha colpito per primo con «un grosso coltello da cucina» il fratellino che dormiva nella sua stessa stanza, le cui urla hanno richiamato la madre. Appena entrata nella cameretta, la donna è stata a sua volta ferita a morte e, subito dopo, il padre, ucciso mentre stava soccorrendo il bambino di dodici anni. Poi Riccardo ha chiamato il 112 alle due di notte, prima raccontando che era stato il padre a uccidere fratello e madre e che lo aveva fermato accoltellandolo a sua volta. Poi, messo alle strette, si è detto responsabile di tutti e tre i delitti.
Riccardo, sempre secondo il suo difensore, avrebbe parlato ai magistrati di «una cosa sbagliata ma estemporanea, è chiaro che se ci avesse riflettuto non l’avrebbe fatto. Un gesto che non avrebbe mai compiuto. Ora vorrebbe vedere suo nonno». Parole che, secondo la linea difensiva, potrebbero far cadere l’aggravante della premeditazione contestata dalla Procura poiché il giovane, nella sua confessione di domenica pomeriggio, avrebbe parlato di un pensiero covato «da qualche giorno».
Una posizione sulla quale, al momento, i magistrati non intendono fare dietrofront: «Abbiamo deciso di interrogarlo nuovamente per puntualizzare qualche dettaglio sulla premeditazione, ma la nostra ipotesi non cambia. Resta premeditazione. È abbastanza tranquillo, dire “sereno” sarebbe eccessivo. Ha ridimensionato un po’ la premeditazione, rimane un pensiero non immediatamente precedente all’azione. Per il pentimento ci vuole tempo», ha detto Sabrina Ditaranto, procuratrice facente funzione per i minori di Milano e che lavora alle indagini insieme alla pm Elisa Salatino, coordinando il lavoro dei carabinieri di Paderno e Sesto San Giovanni e del reparto operativo di Milano, all’uscita dal carcere. Nel frattempo è stato fissato per giovedì 5 settembre l’interrogatorio di convalida dell’arresto: l’udienza si terrà in mattinata sempre nel carcere Beccaria. Intanto i nonni del minorenne hanno già manifestato l’intenzione di incontrare il nipote ma, almeno fino all’udienza di convalida, questo non potrà avvenire. Proprio la famiglia (oltre ai nonni, pure gli zii paterni che abitano nello stesso complesso dove è avvenuta la strage) hanno fatto sapere di non volere abbandonare Riccardo ma di volerlo, per quanto possibile proteggerlo da quanto ha commesso.
Chi l’ha incontrato in maniera approfondita è il cappellano del carcere Beccaria, don Claudio Burgio che, a Famiglia cristiana, ha raccontato: «Appena mi ha visto, ha voluto subito confessarsi. Ho trovato un ragazzo fragile, chiaramente provato ma molto lucido e in grado di comunicare. Mi ha detto: “Tu sei quello di: non esistono ragazzi cattivi” e poi l’ho confessato. È stato un incontro molto intenso».
Il sacerdote racconta che, dopo la confessione, hanno parlato ancora: «Sui giornali era uscito il ritratto di un adolescente con difficoltà a comunicare, ma io questa difficoltà non l’ho vista. Questa vicenda scuote tutti, compreso me che in vent’anni da educatore a contatto con ragazzi dal vissuto difficile, ne ho viste tante. Si tratta di un ragazzo che, con parola abusata, definirei “normale” all’interno di una famiglia “normale” che non ha nulla a che fare con un vissuto di disagio che può sfociare nel bullismo, nell’uso di stupefacenti o nella violenza, come accade ad altri ragazzi che incontro e che seguo». Sulla questione è intervenuto anche il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara: «Ci sono diverse analisi: c’è un disagio dei nostri giovani, peraltro voglio sottolineare che sui media si rappresentano i giovani italiani come se fossero tutti demotivati, problematici e quant’altro. Io giro le scuole e non è così: vedo tanti giovani meravigliosi con tanto entusiasmo». Però «c’è anche un disagio oggettivo», continua il ministro, «che va affrontato a 360 gradi e che probabilmente è connesso ad alcuni elementi: il primo elemento è il condizionamento dei social e poi le conseguenze dell’isolamento da Covid. Certamente è una società complessa quella che abbiamo di fronte e che quindi dalla scuola chiede risposte sempre più efficaci».
Serve tornare a educare alla realtà
L’assurda strage familiare di Paderno Dugnano accende i riflettori su un aspetto inquietante della società postmoderna. Un diciassettenne ha sterminato i propri cari, - padre, madre e fratellino - senza dare alcuna giustificazione. Il giovane ha parlato solo di un proprio personale «malessere». Apparentemente sembra capace di intendere e di volere e se una perizia psichiatrica confermerà la sua sanità mentale, forse non ci sarà neppure da stupirsi. Semmai, occorrerebbe indagare sul quel «malessere» esistenziale invocato dall’adolescente assassino e comprendere quanto, in realtà, esso sia diffuso fra i coetanei che appartengono alla cosiddetta generazione di cristallo.
Giuridicamente il delitto appare privo di un movente. Sociologicamente, forse, un movente esiste: l’assenza di senso. Quando la propria vita, l’esistenza degli altri, la realtà, il mondo, la storia sono privi di significato, allora a prevalere è la reattività istintiva. Una società che non è più capace di offrire alle giovani generazioni ideali, principi, valori per cui valga la pena vivere, li lascia in balia di una mortale deriva nichilista, il cui tragico epilogo può tradursi nel suicidio o nell’omicidio. Oggi i giovani fanno fatica, nel mondo, a trovare un’autentica e appagante risposta a quella esigenza di verità, di giustizia, di amore, di felicità, di compimento che sentono dentro di sé, nonostante i numerosi tentativi di censurarla. Nessun maestro spiega più ai ragazzi che una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine, quel «malessere» di cui ha parlato Riccardo, il giovane omicida di Paderno.
Ecco perché questa strage dovrebbe far interrogare molte istituzioni. A cominciare dalla famiglia. Che tipo di educazione hanno dato al proprio figlio i genitori vittime della strage? Probabilmente non sapremo mai se sono riusciti a offrigli un valido motivo per cui valesse la pena vivere e rispettare la vita degli altri. Segue la scuola: a parte le nozioni necessarie per superare gli esami, gli insegnanti di questo ragazzo sono stati in grado di spiegare che una vita priva di un significato non può essere vissuta?
E, infine, la Chiesa. Dove sono finiti i pastori, i testimoni, i cristiani che per secoli hanno proposto la soluzione ai grandi dilemmi esistenziali dell’uomo, riuscendo a indicare la via per dare un senso pieno ed esaustivo alla vita terrena?
Queste tre istituzioni sembrano aver dimenticato che una delle funzioni fondamentali della stessa educazione sia proprio quella di introdurre alla realtà nella totalità dei suoi fattori, proprio perché è insita nel cuore dell’uomo la domanda di senso totale, che non potrà mai trovare risposta in una ragione dimostrativa o scientifica. Educare davvero significa insegnare che la realtà non si può ridurre solo a ciò che è misurabile, dimostrabile, a razionalità scientifica, come avviene nella prospettiva positivista e materialista. La società moderna ha pensato di liberarsi e progredire eliminando la stessa idea di Dio. Ma il sogno di realizzare il paradiso sulla Terra, semplicemente attraverso la «morte di Dio», si è, in realtà, trasformato in un incubo.
Lo dimostra proprio l’inquietante strage di Paderno. La vita senza Dio, in realtà, come ricorda un celebre verso di William Shakespeare, si reduce a una «favola raccontata da un idiota che grida in un attacco di furore e priva di qualunque significato» (Macbeth, atto V, scena V). La vita sarebbe «una favola», ovvero uno strano sogno, un discorso astratto, un’immaginazione esasperata; «raccontata da un idiota»: perciò senza capacità di nessi, a segmenti spezzati, senza un ordine vero, senza una possibilità di previsione; «in un accesso di furore»: dove, cioè, l’unica metodologia del rapporto è violenza, ossia illusione di possesso. E proprio qui si situa il nostro povero Riccardo di Paderno.
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Il diciassettenne che ha ammazzato genitori e fratello: «È stato un atto di emancipazione». I pm: «Resta la premeditazione».La società moderna vuole realizzare il Paradiso in Terra attraverso la «morte» di Dio. Questa tragedia richiami Chiesa, scuola e cerchia parentale ai propri doveri formativi.Lo speciale contiene due articoli«Non so darmi una spiegazione, sono molto dispiaciuto, non volevo uccidere. Non so spiegare il perché, vivevo da tempo un disagio, ma non volevo uccidere la mia famiglia, l’idea di ucciderli l’ho maturata solo quella sera. È stato un atto di emancipazione, ma non pensavo a uccidere»: è iniziato così ieri pomeriggio, secondo le parole dell’avvocato difensore Amedeo Rizza, il nuovo interrogatorio di Riccardo C., il diciassettenne accusato di aver ucciso i genitori e il fratello di 12 anni domenica a Paderno Dugnano.L’interrogatorio, avvenuto nel centro di prima accoglienza del carcere minorile Beccaria di Milano, è stato richiesto dagli stessi magistrati della Procura dei minori che indagano sul caso ed è durato un’ora e mezza. Lo studente è accusato di omicidio volontario pluriaggravato anche dalla premeditazione per aver infierito, a colpi di coltello, contro il fratellino di 12 anni, quindi sulla madre Daniela e infine sul padre, Fabio, 51 anni, compiuti sabato scorso, poche ore prima del triplice omicidio. La dinamica della tragedia, secondo il suo racconta, è questa: ha colpito per primo con «un grosso coltello da cucina» il fratellino che dormiva nella sua stessa stanza, le cui urla hanno richiamato la madre. Appena entrata nella cameretta, la donna è stata a sua volta ferita a morte e, subito dopo, il padre, ucciso mentre stava soccorrendo il bambino di dodici anni. Poi Riccardo ha chiamato il 112 alle due di notte, prima raccontando che era stato il padre a uccidere fratello e madre e che lo aveva fermato accoltellandolo a sua volta. Poi, messo alle strette, si è detto responsabile di tutti e tre i delitti. Riccardo, sempre secondo il suo difensore, avrebbe parlato ai magistrati di «una cosa sbagliata ma estemporanea, è chiaro che se ci avesse riflettuto non l’avrebbe fatto. Un gesto che non avrebbe mai compiuto. Ora vorrebbe vedere suo nonno». Parole che, secondo la linea difensiva, potrebbero far cadere l’aggravante della premeditazione contestata dalla Procura poiché il giovane, nella sua confessione di domenica pomeriggio, avrebbe parlato di un pensiero covato «da qualche giorno».Una posizione sulla quale, al momento, i magistrati non intendono fare dietrofront: «Abbiamo deciso di interrogarlo nuovamente per puntualizzare qualche dettaglio sulla premeditazione, ma la nostra ipotesi non cambia. Resta premeditazione. È abbastanza tranquillo, dire “sereno” sarebbe eccessivo. Ha ridimensionato un po’ la premeditazione, rimane un pensiero non immediatamente precedente all’azione. Per il pentimento ci vuole tempo», ha detto Sabrina Ditaranto, procuratrice facente funzione per i minori di Milano e che lavora alle indagini insieme alla pm Elisa Salatino, coordinando il lavoro dei carabinieri di Paderno e Sesto San Giovanni e del reparto operativo di Milano, all’uscita dal carcere. Nel frattempo è stato fissato per giovedì 5 settembre l’interrogatorio di convalida dell’arresto: l’udienza si terrà in mattinata sempre nel carcere Beccaria. Intanto i nonni del minorenne hanno già manifestato l’intenzione di incontrare il nipote ma, almeno fino all’udienza di convalida, questo non potrà avvenire. Proprio la famiglia (oltre ai nonni, pure gli zii paterni che abitano nello stesso complesso dove è avvenuta la strage) hanno fatto sapere di non volere abbandonare Riccardo ma di volerlo, per quanto possibile proteggerlo da quanto ha commesso.Chi l’ha incontrato in maniera approfondita è il cappellano del carcere Beccaria, don Claudio Burgio che, a Famiglia cristiana, ha raccontato: «Appena mi ha visto, ha voluto subito confessarsi. Ho trovato un ragazzo fragile, chiaramente provato ma molto lucido e in grado di comunicare. Mi ha detto: “Tu sei quello di: non esistono ragazzi cattivi” e poi l’ho confessato. È stato un incontro molto intenso».Il sacerdote racconta che, dopo la confessione, hanno parlato ancora: «Sui giornali era uscito il ritratto di un adolescente con difficoltà a comunicare, ma io questa difficoltà non l’ho vista. Questa vicenda scuote tutti, compreso me che in vent’anni da educatore a contatto con ragazzi dal vissuto difficile, ne ho viste tante. Si tratta di un ragazzo che, con parola abusata, definirei “normale” all’interno di una famiglia “normale” che non ha nulla a che fare con un vissuto di disagio che può sfociare nel bullismo, nell’uso di stupefacenti o nella violenza, come accade ad altri ragazzi che incontro e che seguo». Sulla questione è intervenuto anche il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara: «Ci sono diverse analisi: c’è un disagio dei nostri giovani, peraltro voglio sottolineare che sui media si rappresentano i giovani italiani come se fossero tutti demotivati, problematici e quant’altro. Io giro le scuole e non è così: vedo tanti giovani meravigliosi con tanto entusiasmo». Però «c’è anche un disagio oggettivo», continua il ministro, «che va affrontato a 360 gradi e che probabilmente è connesso ad alcuni elementi: il primo elemento è il condizionamento dei social e poi le conseguenze dell’isolamento da Covid. Certamente è una società complessa quella che abbiamo di fronte e che quindi dalla scuola chiede risposte sempre più efficaci».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/paderno-valditara-ragazzi-segnati-lockdown-2669122473.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="serve-tornare-a-educare-alla-realta" data-post-id="2669122473" data-published-at="1725394276" data-use-pagination="False"> Serve tornare a educare alla realtà L’assurda strage familiare di Paderno Dugnano accende i riflettori su un aspetto inquietante della società postmoderna. Un diciassettenne ha sterminato i propri cari, - padre, madre e fratellino - senza dare alcuna giustificazione. Il giovane ha parlato solo di un proprio personale «malessere». Apparentemente sembra capace di intendere e di volere e se una perizia psichiatrica confermerà la sua sanità mentale, forse non ci sarà neppure da stupirsi. Semmai, occorrerebbe indagare sul quel «malessere» esistenziale invocato dall’adolescente assassino e comprendere quanto, in realtà, esso sia diffuso fra i coetanei che appartengono alla cosiddetta generazione di cristallo. Giuridicamente il delitto appare privo di un movente. Sociologicamente, forse, un movente esiste: l’assenza di senso. Quando la propria vita, l’esistenza degli altri, la realtà, il mondo, la storia sono privi di significato, allora a prevalere è la reattività istintiva. Una società che non è più capace di offrire alle giovani generazioni ideali, principi, valori per cui valga la pena vivere, li lascia in balia di una mortale deriva nichilista, il cui tragico epilogo può tradursi nel suicidio o nell’omicidio. Oggi i giovani fanno fatica, nel mondo, a trovare un’autentica e appagante risposta a quella esigenza di verità, di giustizia, di amore, di felicità, di compimento che sentono dentro di sé, nonostante i numerosi tentativi di censurarla. Nessun maestro spiega più ai ragazzi che una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine, quel «malessere» di cui ha parlato Riccardo, il giovane omicida di Paderno. Ecco perché questa strage dovrebbe far interrogare molte istituzioni. A cominciare dalla famiglia. Che tipo di educazione hanno dato al proprio figlio i genitori vittime della strage? Probabilmente non sapremo mai se sono riusciti a offrigli un valido motivo per cui valesse la pena vivere e rispettare la vita degli altri. Segue la scuola: a parte le nozioni necessarie per superare gli esami, gli insegnanti di questo ragazzo sono stati in grado di spiegare che una vita priva di un significato non può essere vissuta? E, infine, la Chiesa. Dove sono finiti i pastori, i testimoni, i cristiani che per secoli hanno proposto la soluzione ai grandi dilemmi esistenziali dell’uomo, riuscendo a indicare la via per dare un senso pieno ed esaustivo alla vita terrena? Queste tre istituzioni sembrano aver dimenticato che una delle funzioni fondamentali della stessa educazione sia proprio quella di introdurre alla realtà nella totalità dei suoi fattori, proprio perché è insita nel cuore dell’uomo la domanda di senso totale, che non potrà mai trovare risposta in una ragione dimostrativa o scientifica. Educare davvero significa insegnare che la realtà non si può ridurre solo a ciò che è misurabile, dimostrabile, a razionalità scientifica, come avviene nella prospettiva positivista e materialista. La società moderna ha pensato di liberarsi e progredire eliminando la stessa idea di Dio. Ma il sogno di realizzare il paradiso sulla Terra, semplicemente attraverso la «morte di Dio», si è, in realtà, trasformato in un incubo. Lo dimostra proprio l’inquietante strage di Paderno. La vita senza Dio, in realtà, come ricorda un celebre verso di William Shakespeare, si reduce a una «favola raccontata da un idiota che grida in un attacco di furore e priva di qualunque significato» (Macbeth, atto V, scena V). La vita sarebbe «una favola», ovvero uno strano sogno, un discorso astratto, un’immaginazione esasperata; «raccontata da un idiota»: perciò senza capacità di nessi, a segmenti spezzati, senza un ordine vero, senza una possibilità di previsione; «in un accesso di furore»: dove, cioè, l’unica metodologia del rapporto è violenza, ossia illusione di possesso. E proprio qui si situa il nostro povero Riccardo di Paderno.
Da domani in Arabia Saudita al via la final four. A inaugurare il torneo saranno Milan e Napoli, in campo giovedì (ore 20 italiane) per la prima semifinale. Venerdì tocca a Inter e Bologna contendersi un posto nella finalissima di lunedì 22 dicembre.
Il primo trofeo della stagione si assegna ancora una volta lontano dall’Italia. Da domani la Supercoppa entra nel vivo a Riyadh con la formula della final four: giovedì la semifinale tra Milan e Napoli, venerdì quella tra Inter e Bologna, lunedì 22 dicembre la finale che chiuderà il programma e consegnerà il titolo.
Riyadh si prepara ad accogliere di nuovo la Supercoppa italiana,. Tre partite secche, quattro squadre e una posta che va oltre il campo: Napoli, Inter, Milan e Bologna portano in Arabia Saudita storie diverse, ambizioni opposte e un equilibrio che negli ultimi anni ha reso la competizione meno scontata di quanto dicano le statistiche.
Il Napoli arriva da campione d’Italia, il Bologna da vincitore della Coppa Italia, l’Inter da seconda forza del campionato e il Milan da detentore del trofeo. È soltanto la terza edizione con il formato a quattro, ma è già sufficiente per raccontare una Supercoppa che ha cambiato volto: nelle ultime due stagioni hanno vinto squadre che non partivano con lo scudetto cucito sul petto, un’inversione rispetto a una tradizione che per decenni aveva premiato quasi sempre i campioni d’Italia.
Proprio il Milan è il simbolo di questo ribaltamento. Campioni in carica, i rossoneri hanno spezzato una serie di finali perse all’estero e hanno riscritto la storia della manifestazione vincendo prima da finalista di Coppa Italia e poi da seconda classificata in campionato. In Arabia Saudita tornano con l’obiettivo di agganciare la Juventus in vetta all’albo d’oro, dove oggi i bianconeri comandano con nove successi, uno in più di Inter e Milan.
Il primo incrocio, giovedì 18 dicembre, è contro il Napoli. Gli azzurri inseguono invece un ritorno al passato: l’ultima Supercoppa vinta risale al 2014, una finale rimasta negli archivi per durata e tensione. Da allora, tentativi falliti e una presenza costante tra semifinali e finali mancate. Per la squadra di Antonio Conte, il confronto con il Milan è anche un passaggio chiave per evitare una prima volta storica: mai la squadra campione d’Italia in carica è rimasta fuori dall’atto conclusivo della competizione.
Dall’altra parte del tabellone, Inter e Bologna. I nerazzurri sono ormai una presenza abituale nella Supercoppa a quattro, protagonisti nelle ultime due edizioni e detentori di record individuali che raccontano la continuità del loro percorso. Il Bologna, invece, vivrà un esordio assoluto: sarà il tredicesimo club a partecipare alla manifestazione, chiamato subito a misurarsi con una dimensione internazionale che rappresenta una novità anche simbolica per il club. Negli ultimi anni la Supercoppa si è decisa spesso senza supplementari e rigori, ma resta una competizione capace di ribaltare copioni già scritti. Lo dimostrano le rimonte, i gol decisivi negli ultimi minuti e una storia che, pur ricca di record individuali e panchine vincenti, continua a sorprendere.
Fuori dal campo, la tappa di Riyadh diventa anche una vetrina per il calcio italiano. La Lega Serie A ha annunciato iniziative dedicate all’inclusione di tifosi con disabilità sensoriali, che accompagneranno tutte le partite del torneo. Da un lato, l’utilizzo di una mappa tattile interattiva permetterà a tifosi ciechi e ipovedenti di seguire l’andamento della gara attraverso il tatto; dall’altro, magliette sensoriali trasformeranno i suoni dello stadio in vibrazioni per tifosi sordi. Un progetto che coinvolgerà complessivamente trenta spettatori per ciascuna iniziativa, inserendosi nel programma ufficiale della competizione.
A rappresentare visivamente la Supercoppa sarà invece il nuovo Trophy travel case, realizzato dal brand fiorentino Stefano Ricci. Un baule pensato per accompagnare il trofeo nelle tappe internazionali, simbolo di un’italianità che la Serie A continua a esportare all’estero, soprattutto in Medio Oriente, dove la Supercoppa si gioca per il quarto anno consecutivo.
Il calcio d’inizio è fissato. A Riyadh non si gioca soltanto una coppa, ma un racconto che intreccia campo, storia recente e immagine del calcio italiano nel mondo. E, come spesso accade in Supercoppa, i numeri potrebbero non bastare per spiegare come andrà a finire.
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(Apple Tv)
Non è affatto detto che sia così perché, dietro l’obiettivo di rovesciare le formule della fantascienza, si nasconde l’ambizione di una riflessione sul rapporto tra benessere collettivo e libertà individuale, tra felicità globale e identità personale. Il tutto proposto con grande cura formale, ottime musiche e qualche lungaggine autoriale. Possibili, lontani, riferimenti: Lost, per i prologhi spiazzanti e i flashback, Truman Show, per la solitudine e l’apparenza stranianti, Black Mirror, per la cornice distopica. Ma la mano dell’ideatore è inconfondibile.
Ci troviamo ad Albuquerque, la città del New Mexico già teatro dei precedenti plot di Gilligan, ma stavolta la vicenda è tutt’altra. Siamo in un futuro progredito e un certo rigore si è già radicato nella quotidianità. Per esempio, l’avviamento delle auto di ultima generazione è collegato alla prova di sobrietà del palloncino: se si è stati al pub, l’auto non parte. Individuato da un gruppo di astronomi, un virus Rna proveniente dallo spazio, trasmesso in laboratorio da un topo e contagiato tramite baci e alimenti, rende gli esseri umani felici, gentili e samaritani con il prossimo. Le persone agiscono come un’unica mente collettiva, ma non a causa di un’invasione aliena, tipo L’invasione degli ultracorpi, bensì per il fatto che «noi siamo noi», garantisce un politico che parla dalla Casa Bianca, anche se non è il presidente. «Gli scienziati hanno creato in laboratorio una specie di virus, più precisamente una colla mentale capace di tenerci legati tutti insieme». In questo mondo, non esiste il dolore, non si registrano reati, le prigioni sono vuote, le strade non sono mai congestionate, regna la pace. Tutto è perfetto e patinato, perché la contraddizione non esiste. Debellata, dietro una maschera suadente. La colla mentale dispone alla benevolenza e alla correttezza le persone. Che però non possono scegliere, ma agire solo in base a un «imperativo genetico». Soltanto 12 persone in tutto il Pianeta sono immuni al contagio. Ma mentre undici sembrano disposte a recepirlo, l’unica che si ribella è Carol Sturka (Reha Seehorn), una scrittrice di romanzi per casalinghe sentimentali. Cinica, diffidente, omosex e discretamente testarda, malgrado vicini, conoscenti e certi soccorritori ribadiscano le loro buone intenzioni - «vogliamo solo renderti felice» - lei non vuole assimilarsi ed essere rieducata dal virus dei buoni. I quali, ogni volta che lei respinge bruscamente le loro attenzioni, restano paralizzati in strane convulsioni, alimentando i suoi sensi di colpa. Il prezzo della libertà è una solitudine sterminata, addolcita dal fatto che, componendo un numero di telefono, può vedere esaudito ogni desiderio: cibi speciali, cene su terrazze panoramiche, giornate alle terme, Rolls Royce fiammanti. Quando si imbatte in qualche complicazione è immediatamente soccorsa da Zosia (Karolina Wydra), volto seducente della mente collettiva, o da un drone, tempestivo nel recapitarle a domicilio la più bizzarra delle richieste. A Carol è anche consentito di interagire con gli altri umani esenti dal contagio. Che però non condividono il suo progetto di ribellione alla felicità coatta: tocca a noi riparare il mondo. «Perché? La situazione sembra ideale, non ci sono guerre, viviamo tranquilli», ribatte un viveur che sfrutta ogni lusso e privilegio concesso dalla mente collettiva.
L’idea di questa serie risale a circa otto o nove anni fa, ha raccontato Gilligan in un’intervista. «In quel periodo io e Peter Gould (il suo principale collaboratore, ndr.) avevamo iniziato a lavorare a Better Call Saul e ci divertivamo parecchio. Durante le pause pranzo avevo l’abitudine di vagare nei dintorni dell’ufficio immaginando un personaggio maschile con cui tutti erano gentili. Tutti lo amavano e non importa quanto lui potesse essere scortese, tutti continuavano a trattarlo bene». Poi, nella ricerca del perché di questa inspiegabile gentilezza, la storia si è arricchita e al posto di un protagonista maschile si è imposta la figura della scrittrice interpretata da Reha Seehorn, già nel cast di Better Call Saul. Su di lei, a lungo sola in scena, si regge lo sviluppo del racconto. A un certo punto, provata dalla solitudine, ma senza voler smettere d’indagare anche perché incoraggiata dalle prime inquietanti scoperte, Carol cambia strategia, smorzando la sua ostilità…
Il titolo della serie deriva da «E pluribus unum», cioè «da molti, uno», antico motto degli Stati Uniti, proposto il 4 luglio 1776 per simboleggiare l’unione delle prime 13 colonie in una sola nazione. Gilligan ha trasferito la suggestione di quel motto a una dimensione esistenziale e filosofica, inscenando una sorta di apocalisse dolce per riflettere sulla problematica convivenza tra singolo e collettività. Per questo, in origine, Plur1bus era scritto con l’1 al posto della «i».
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Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Questo allentamento delle norme consente che nuove auto con motore a combustione interna possano ancora essere immatricolate nell’Ue anche dopo il 2035. Non sono previste date successive in cui si arrivi al 100% di riduzione delle emissioni. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha naturalmente magnificato il ripensamento della Commissione, affermando che «mentre la tecnologia trasforma rapidamente la mobilità e la geopolitica rimodella la competizione globale, l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita». Ursula 2025 sconfessa Ursula 2022, ma sono dettagli. A questo si aggiunge la dichiarazione del vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné, che ha definito il pacchetto «un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». Peccato che, in conferenza stampa, a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Séjourné perché si sia arrivati alla necessità di un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea. Ma sono altri dettagli.
L’autorizzazione a proseguire con i motori a combustione (inclusi ibridi plug-in, mild hybrid e veicoli con autonomia estesa) è subordinata a condizioni stringenti, perché le emissioni di CO2 residue, quel 10%, dovranno essere compensate. I meccanismi di compensazione sono due: 1) utilizzo di e-fuel e biocarburanti fino a un massimo del 3%; 2) acciaio verde fino al 7% delle emissioni. Il commissario Wopke Hoekstra ha spiegato infatti che la flessibilità è concessa a patto che sia «compensata con acciaio a basse emissioni di carbonio e l’uso di combustibili sostenibili per abbattere le emissioni».
Mentre Bruxelles celebra questa minima flessibilità come una vittoria per l’industria, il mondo reale offre un quadro ben più drammatico. Ieri Volkswagen ha ufficialmente chiuso la sua prima fabbrica tedesca, la Gläserne Manufaktur di Dresda, che produceva esclusivamente veicoli elettrici (prima la e-Golf e poi la ID.3). Le ragioni? Il rallentamento delle vendite di auto elettriche. La fabbrica sarà riconvertita in un centro di innovazione, lasciando 230 dipendenti in attesa di ricollocamento. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Ford Motor Co. ha annunciato che registrerà una svalutazione di 19,5 miliardi di dollari legata al suo business dei veicoli elettrici. L’azienda ha perso 13 miliardi nel suo settore Ev dal 2023, perdendo circa 50.000 dollari per ogni veicolo elettrico venduto l’anno scorso. Ford sta ora virando verso ibridi e veicoli a benzina, eliminando il pick-up elettrico F-150 Lightning.
La crisi dell’auto europea non si risolve certo con questa trovata dell’ultima ora. Nonostante gli sforzi e i supercrediti di CO2 per le piccole auto elettriche made in Eu, la domanda di veicoli elettrici è debole. Questa nuova apertura, ottenuta a fatica, non sarà sufficiente a salvare il settore automobilistico europeo di fronte alla concorrenza cinese e al disinteresse dei consumatori. Sarebbe stata più opportuna un’eliminazione radicale e definitiva dell’obbligo di zero emissioni per il 2035, abbracciando una vera neutralità tecnologica (che includa ad esempio i motori a combustione ad alta efficienza di cui parlava anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz). «La Commissione oggi fa un passo avanti verso la razionalità, verso il mercato, verso i consumatori ma servirà tanto altro per salvare il settore. Soprattutto servirà una Commissione che non chiuda gli occhi davanti all’evidenza», ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi, anche presidente dell’Automotive Regions Alliance. La principale federazione automobilistica tedesca, la Vda, ha detto invece che la nuova linea di Bruxelles ha il merito di riconoscere «l’apertura tecnologica», ma è «piena di così tanti ostacoli che rischia di essere inefficace nella pratica». Resta il problema della leggerezza con cui a Bruxelles si passa dalla definizione di regole assurde e impraticabili al loro annacquamento, dopo che danni enormi sono stati fatti all’industria e all’economia. Peraltro, la correzione di rotta non è affatto un liberi tutti. La riduzione del 100% delle emissioni andrà comunque perseguita al 90% con le auto elettriche. «Abbiamo valutato che questa riduzione del 10% degli obiettivi di CO2, dal 100% al 90%, consentirà flessibilità al mercato e che circa il 30-35% delle auto al 2035 saranno non elettriche, ma con tecnologie diverse, come motori a combustione interna, ibridi plug-in o con range extender» ha detto il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzizikostas in conferenza stampa. Può darsi che sarà così, ma il commissario greco si è dimenticato di dire che quasi certamente si tratterà di auto cinesi.
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