
Il 15 marzo 1939 la Wehrmacht invadeva la Cecoslovacchia senza sparare un colpo. Se inglesi e francesi non avessero lasciato Praga al suo destino, la guerra mondiale non sarebbe scoppiata. Parola di Berlino.«Se fosse scoppiata una guerra [nel 1938] né la nostra frontiera occidentale né quella polacca avrebbero potuto essere difese adeguatamente, e non c'è dubbio che se la Cecoslovacchia si fosse difesa, saremmo stati arrestati dalle sue fortificazioni, perché non avevamo i mezzi per sfondarle». Le parole del feldmaresciallo Erich von Manstein all'udienza del 9 agosto 1946 del processo di Norimberga ribadivano che con il Patto di Monaco (29-30 settembre 1938) le democrazie avevano perso un'occasione unica per liberarsi dell'hitlerismo, perché l'attacco alla Cecoslovacchia (Fall Grün) sarebbe naufragato per ammissione degli stessi vertici della Wehrmacht. La rete fortificata cecoslovacca era articolata in migliaia di bunker di ultimissima generazione che costituivano un elaborato sistema di ingegneria militare a protezione vicendevole: un gioiello tecnologico persino più avanzato della più nota Linea Maginot, con gallerie sotterranee dove correvano trenini per il trasporto rapido di truppe e munizioni, torrette servoassistite e ascensori elettrici per il rifornimento di proiettili, aria condizionata e potabilizzatori d'acqua. I bunker più grandi erano autentiche cittadelle autosufficienti profonde fino a 50 metri, perfettamente attrezzate.Con il Patto di Monaco inglesi e francesi, nel nome dell'appeasement acconsentirono ad amputare i Sudeti, facendoli annettere al Reich, e consegnando così con essi tutta la corona di fortificazioni. La Ceco-Slovacchia, come era stata costretta a rinominarsi, era diventata indifendibile. Adolf Hitler lo sapeva benissimo, Neville Chamberlain ed Édouard Daladier, che avevano abbandonato quel Paese nonostante trattati e promesse a difenderlo, facevano finta di non saperlo. Il momento più propizio per il Führer arriverà il 15 marzo 1939: ottanta anni fa le colonne della Wehrmacht invadevano senza colpo ferire l'ultima democrazia della mitteleuropa e Hitler poteva fare il suo ingresso trionfale al Castello di Praga, tra la neve che scendeva dal cielo e le lacrime che scendevano dal volto dei praghesi ammutoliti per quello sfacelo. La Cecoslovacchia nata dalle ceneri della prima guerra mondiale spariva dalla cartina d'Europa: la Slovacchia prendeva la sua strada sotto tutela hitleriana e con la guida nominale di monsignor Jozef Tiso, Boemia e Moravia diventavano Protettorato del Reich, dapprima con la gestione del diplomatico Konstantin von Neurath e successivamente, poiché ritenuto troppo morbido verso la resistenza, col pugno di ferro di Reinhard Heydrich, l'artefice della soluzione finale, passato alla storia con i soprannomi di belva bionda, boia, macellaio di Praga.Il 15 marzo l'Europa aveva imboccato la via del non ritorno e quella data segna il principio della fine. La chiave di volta era stata la Cecoslovacchia, sacrificata all'illusione della peace in our time. Nel 1938 le divisioni dell'esercito cecoslovacco avevano la più alta potenza di fuoco di qualsiasi omologa unità europea. Le armi di cui disponeva erano di primissimo livello: l'ottima mitragliatrice Bren che equipaggerà gli inglesi era un progetto cecoslovacco, e il nome derivava dalle iniziali della città di Brno dove era stato progettata e la ditta britannica Enfield che la assemblerà; i carriarmati cecoslovacchi erano persino superiori ai Panzer I e II tedeschi del 1938-9, tanto che continueranno a essere costruiti durante tutta la seconda guerra mondiale per equipaggiare le divisioni corazzate tedesche; i cannoni Škoda, che erano stati il nerbo dell'artiglieria austroungarica, erano di livello (gli italiani utilizzeranno le prede di guerra del primo conflitto durante tutta la seconda guerra mondiale); l'industria era moderna, sviluppata e avanzata, e il suo apporto risulterà tutt'altro che secondario nell'alimentare la macchina bellica tedesca. Il sistema di fortificazioni varato nel 1935 per proteggersi dalle minacce tedesche correva lungo la frontiera nordoccidentale con migliaia di fortezze, bunker e casematte di varie tipologie: invisibili dall'alto, erano una trappola mortale per le fanterie e un ostacolo invalicabile per i mezzi. La Repubblica di Edvard Beneš aveva fatto le cose per bene, stanziando cifre mostruose, portando migliaia di tonnellate di ferro e di cemento in boschi e foreste, e tenendo sistematicamente lontano dai cantieri operai e tecnici sudeti, ovvero i tedeschi etnici che avrebbero potuto rivelare a Berlino dettagli coperti da segreto militare.Le linee fortificate, senza sparare un colpo, saranno consegnate assieme ai Sudeti. I tedeschi nei boschi e al riparo da occhi indiscreti potranno sperimentare nuove strategie d'attacco e le micidiali cariche cave che consentiranno a un pugno di paracadutisti di espugnare nel 1940 il forte belga di Eben Emael, ritenuto imprendibile. I soldati si erano allenati su bersagli reali, tant'è che i bunker portano i segni inequivocabili di cannonate e cariche esplosive che dovevano testarne la resistenza 80 anni fa. Oggi le inutilizzate linee fortificate sopravvissute al tempo e agli eventi sono diventate un suggestivo richiamo turistico sia per chi ama il contatto con la storia, sia per chi è affascinato dalle passeggiate in una natura rigogliosa. Quei bunker, se fossero stati attaccati, come ha sottolineato Manstein a Norimberga, avrebbero cambiato il corso della storia. Ma le democrazie, pur di non impegnarsi in un conflitto locale e limitato, avevano sciaguratamente scelto di barattare qualche mese di effimera pace con la possibilità concreta di scongiurare il disastro epocale della seconda guerra mondiale.
Vladimir Putin (Ansa)
Il piano Usa: cessione di territori da parte di Kiev, in cambio di garanzie di sicurezza. Ma l’ex attore non ci sta e snobba Steve Witkoff.
Donald Trump ci sta riprovando. Nonostante la situazione complessiva resti parecchio ingarbugliata, il presidente americano, secondo la Cnn, starebbe avviando un nuovo sforzo diplomatico con la Russia per chiudere il conflitto in Ucraina. In particolare, l’iniziativa starebbe avvenendo su input dell’inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff, che risulterebbe in costante contatto con il capo del fondo sovrano russo, Kirill Dmitriev. «I negoziati hanno subito un’accelerazione questa settimana, poiché l’amministrazione Trump ritiene che il Cremlino abbia segnalato una rinnovata apertura a un accordo», ha riferito ieri la testata. Non solo. Sempre ieri, in mattinata, una delegazione di alto livello del Pentagono è arrivata in Ucraina «per una missione conoscitiva volta a incontrare i funzionari ucraini e a discutere gli sforzi per porre fine alla guerra». Stando alla Cnn, la missione rientrerebbe nel quadro della nuova iniziativa diplomatica, portata avanti dalla Casa Bianca.
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
Continua a leggereRiduci
Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.
Imagoeconomica
Altoforno 1 sequestrato dopo un rogo frutto però di valutazioni inesatte, non di carenze all’impianto. Intanto 4.550 operai in Cig.
La crisi dell’ex Ilva di Taranto dilaga nelle piazze e fra i palazzi della politica, con i sindacati in mobilitazione. Tutto nasce dalla chiusura dovuta al sequestro probatorio dell’altoforno 1 del sito pugliese dopo un incendio scoppiato il 7 maggio. Mesi e mesi di stop produttivo che hanno costretto Acciaierie d’Italia, d’accordo con il governo, a portare da 3.000 a 4.450 i lavoratori in cassa integrazione, dato che l’altoforno 2 è in manutenzione in vista di una futura produzione di acciaio green, e a produrre è rimasto solamente l’altoforno 4. In oltre sei mesi non sono stati prodotti 1,5 milioni di tonnellate di acciaio. Una botta per l’ex Ilva ma in generale per la siderurgia italiana.





