2022-06-24
Negli ospedali inglesi il 65% dei positivi è ricoverato per altro
Il dato che arriva da Londra ripropone il tema di distinguere malati «di» Covid e «con» il Covid. E occhio ai contagi in corsia.Implacabile, il bollettino di contagi e nuovi ingressi in ospedale è tornato a guastare l’appena ritrovata normalità. Ieri sono state segnalati +56.166 positivi, +117 ricoveri ordinari mentre quelli nelle terapie intensive risultavano invariati. Il monitoraggio della Fondazione Gimbe per la settimana 15-21 giugno rileva un aumento del 58,9% dei casi in una settimana, dei ricoveri ordinari (+14,4%) e delle terapie intensive (+12,6%). I decessi, invece, sono diminuiti del 19%. La curva dei nuovi contagi da Covid-19 sale, sapevamo che la diffusione delle varianti Ba.4 e Ba.5 procede rapida però con sintomi molto più ridotti rispetto alla Delta. Quello che ancora non è dato conoscere è il numero esatto dei pazienti che varcano la soglia dell’ospedale per problemi dovuti al Covid, e non per una mera positività rivelata dall’inevitabile tampone all’ingresso. Da mesi, La Verità sottolinea l’urgenza di dati differenziati sulle ospedalizzazioni, altrimenti dall’emergenza Covid non si uscirà mai. «Sappiamo dalla storia che le pandemie sono finite quando la maggior parte della popolazione ha avuto un contatto con il virus», dichiarava a marzo Maria Rita Gismondo, direttrice del laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano. «Si va verso uno stato di endemia in cui ci aspettiamo che ci saranno delle ondate ricorrenti, ma di portata e intensità limitata e a basso impatto clinico», è convinzione di Gianni Rezza, direttore generale prevenzione al ministero della Salute. Quindi non serve terrorizzare la popolazione sulla contagiosità delle nuove varianti, è necessario dare tempestive e appropriate cure domiciliari per evitare complicazioni che possano richiedere il ricovero, e bisogna monitorare l’effettivo impatto sull’ospedalizzazione dei vari ceppi del Covid. Nel Regno Unito, ad esempio, la percentuale di pazienti ricoverati e risultati positivi al Covid, ma che non vengono trattati principalmente per il virus in quanto altra era la patologia che li ha portati in ospedale, era del 25% giusto un anno fa mentre il 7 giugno, poco più di due settimane fa, era salita al 65%. I dati sono resi noti da The Spectator, attingendo dagli aggiornamenti dell’Nhs, il sistema sanitario nazionale del Regno Unito. Significa che un numero altissimo di degenti non è in corsia per il coronavirus, sebbene il tampone ne abbia poi rivelato la positività. Non che l’infetto sia facile da gestire, tutt’altro, ma un’adeguata organizzazione ospedaliera permetterebbe di risolvere ovunque, quindi anche da noi, il problema dei ricoveri «con Covid» senza far passare un paziente come bisognoso di cure in reparto solo perché contagiato. Occorre considerare, inoltre, che la trasmissione di Sars-CoV-2 ai pazienti ospedalizzati ha probabilmente causato circa un quinto dei casi identificati nei nosocomi del Regno Unito durante la prima ondata, come riporta uno studio appena pubblicato su Bmc infectious deseases, che ospita lavori di ricerca su tutti gli aspetti della prevenzione, diagnosi e gestione delle malattie infettive, nonché sulla genetica molecolare, sulla fisiopatologia e sull’epidemiologia correlate. Delle infezioni acquisite in ospedale, solo il 30% sarebbe stato identificato. Manca l’attenzione su questi dati. Proprio l’ultimo aggiornamento dell’Nhs segnala che al 16 giugno, su 127.041 letti occupati negli ospedali britannici, quelli con pazienti Covid erano 4.082. E che delle 3.417 terapie intensive impegnate, solo 127 avevano pazienti con Covid. Nel bollettino quotidiano del nostro ministero della Salute, invece, figurano i «ricoverati con sintomi», che ieri ammontavano a 5.064. Buio totale sulle patologie per le quali sono finiti in ospedale, spicca solo la positività. Così, non ne verremmo mai fuori. L’ha dichiarato ancora una volta Matteo Bassetti, direttore della clinica di malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova. «Finché non si diversificherà chi ha polmonite da Covid e chi ha tutt’alto e anche un tampone positivo, non ne usciremo. Di tutti i Paesi che hanno avuto una fiammata estiva del Covid noi sembriamo stare peggio. Questo perché in Italia parlano tutti, ognuno dice la sua anche quelli che non hanno mai visto un paziente». Il professore, riferendosi alla Liguria, ha detto: «Oggi abbiamo una elevatissima circolazione del virus e di Omicron 5, stiamo seguendo tante persone positive a casa con gli antivirali e in ospedale arrivano sì molti cittadini ma non hanno il Covid, hanno un tampone positivo e poi altre patologie». Tornando a quanto invece fanno gli inglesi, significativo è pure il dato dell’Nhs sul numero di pazienti ricoverati con Covid confermato, nelle precedenti ventiquattr’ore: 212 in tutto il Regno Unito, mentre gli ospedalizzati che si erano presi in virus in reparto risultavano ben 379. Se questi numeri venissero pubblicati senza gli opportuni distinguo, sembrerebbe una marea di cittadini ospedalizzati per il virus, mentre non è così. Nel nostro Paese, urge un chiarimento anche in tal senso, non i soliti bollettini di guerra.