2018-08-21
Ospedali Amazon. Bezos mette le mani sui dati sanitari dei suoi dipendenti
Grazie alle cliniche interne il colosso Usa fa un altro passo verso l'azienda Stato che sa tutto, e dalla quale è difficile uscire.Amazon si prepara a istituire delle cliniche aziendali per i propri dipendenti (si inizierà dal quartiere generale di Seattle estendendo poi il progetto a tutte le sedi Amazon nel mondo). La decisione, rivelata da indiscrezioni interne all'azienda, giunge dopo il recente accordo di Amazon con Jp Morgan e la Berkshire Hathaway di Warren Buffett per la costituzione di una colossale società di welfare sanitario in concorrenza con il sistema sanitario nazionale; e trae pure esempio da Apple che ha creato mesi or sono qualcosa di simile per i propri dipendenti di Cupertino, l'Ac Wellness. A parole e proclami, tali cliniche aziendali dovrebbero essere la risposta vincente ai costi esorbitanti (e ormai proibitivi) del sistema sanitario americano, agevolando in tal senso i dipendenti e più in generale il bilancio del Paese. Tuttavia, considerando la forma mentis del fondatore di Amazon, Jeff Bezos, nonché le ricorrenti critiche circa la gestione del suo personale (gestione al limite dell'umano e ben dentro il limite dell'alienante), è difficile credere che questa sia una decisione unicamente dettata da umanitarismo e filantropia (alla maniera per intenderci di un Adriano Olivetti che nella sua sede d'Ivrea, negli anni Cinquanta, inverava per i suoi lavoratori una sorta di fantasmagorica Utopia). In molti si domandano, per esempio, se le nuove cliniche aziendali di Amazon saranno aperte a tutti i dipendenti o - a mo' di benefit - solo ai dirigenti e ai quadri. I magazzinieri di Amazon, che per ritmi e ambientazione di lavoro ricordano Charlie Chaplin in Tempi moderni, potrebbero cioè esserne beffardamente esclusi.Ad ogni modo, questa pensata di Bezos rientra in toto nella sua concezione di azienda totale (o forse meglio totalitaria) che mira, poco per volta, a fagocitare tutta la vita del proprio dipendente, non assicurandogli semplicemente il salario, ma anche la salute, e forse un domani persino la vita affettiva e spirituale. Insomma, per Bezos - lui l'ha già chiarito in altre occasioni - occorre rendere l'azienda il solo mondo del lavoratore, la sua sola realtà: una dimensione impossibile da lasciare, di fatto insindacabile, in cui vige un rapporto di dipendenza assoluta. È - applicato alla gestione del personale - il solito mantra del commercio totale di Bezos: vendere tutto a tutti per divenire insostituibile e ubiquitario.Su questa visione aziendale da incubo futuribile s'innesta poi l'interesse del tycoon americano per il business del domani, ovvero quello della salute e dei farmaci; interesse concretatosi di recente con l'acquisto da parte di Amazon (per la cifra stimata di un miliardo di dollari cash) di Pillpack, un'innovativa startup per la vendita online dei farmaci. Ormai il mondo invecchia sempre di più, intravedendo però grazie alle cure mediche una specie di quarta età (che per le aziende si prefigura dell'oro). La stessa Apple utilizza la sua clinica aziendale per testare in assoluta libertà la propria tecnologia medica, le sue possibili e assai redditizie applicazioni future.Si valuta inoltre che la ricaduta economica delle assenze per malattia incida solo in America per 260 milioni di dollari, pari a 69 milioni di ore lavorative perse in un anno; con dei medici interni, loro stessi dipendenti aziendali, l'asticella del congedo da lavoro per malattia - come per incanto - si alza complica e pospone. Senza contare tutte le questioni inerenti alla privacy dei dipendenti: le informazioni sul loro stato di salute sarebbero in tal modo a completa disposizione dell'azienda che potrebbe così valutare il proprio personale non solo mediante criteri produttivi, ma quasi «eugenetici».Infine - il dubbio è lecito in mezzo a tali inquietanti scenari - chissà se questi medici aziendali si atterranno più all'antico giuramento d'Ippocrate, ossia la cura dell'uomo, che all'imperativo supremo dell'azienda da cui dipendono, cioè la moderna esaltazione del profitto a ogni costo? I medici aziendali potrebbero comporre un nuovo fosco capitolo nella storia della medicina e della scienza (dopo quelli foschissimi dei medici nazisti e degli scienziati di Los Alamos); con buona pace di Roberto Burioni e di tutti gli altri scientisti a oltranza che considerano, aprioristicamente, medici e scienziati gli indiscutibili indefettibili e infallibili duci dell'umanità d'oggi.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)