2024-02-25
Ornella Muti: «Quando girammo la scena di Depardieu che si evira il microfonista perse i sensi»
L’attrice: «Noi donne non vogliamo accettare che gli uomini ci vedano come tali. Monicelli ripudiava il lusso, era un vero comunista. Mica come quelli di adesso».Nella grazia e nell’espressività di Francesca Rivelli, in arte Ornella Muti, molti noti registi cinematografici d’essai, italiani e stranieri, hanno individuato le qualità più consone per esplorare i misteri, talvolta dolorosi, della psiche delle protagoniste femminili. Ne sono nate opere d’arte da cinque stelle. Apprezzabili, tuttavia, sono state anche le sue parti in film destinati a un pubblico meno esigente e alla ricerca di evasione. La nota attrice nata a Roma nel 1955, insomma, è stata vista secondo i diversi livelli di profondità di sguardo artistico degli autori. Ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti personali (due Nastri d’argento, tre Ciak e tre Grolle d’oro, una targa d’oro dal David di Donatello…) e, nelle pellicole degli oltre 92 film interpretati, sono impresse le tante sfumature di sé stessa. Ma Francesca come vede Ornella e i suoi personaggi? E qual è la sua lettura della società attuale?Vive in campagna, vero?«Sì, in Piemonte, in provincia di Alessandria, ci sono bellissimi tramonti… Ma molto spesso sono a Roma, dai miei nipoti».A Sanremo, nei giorni del Festival, con sua figlia Naike, ha richiamato l’attenzione sull’agricoltura italiana, bersagliata dall’Ue. «Il riscontro è stato grandissimo. Mi hanno chiamato in molti. Scopri all’improvviso che tanti erano agricoltori e anche i padri lo erano. Se sono arrabbiati, un motivo c’è. Siamo state con Antonio Zangari, che ha portato le arance dalla Calabria e, con carineria ed educazione, ha spiegato che non sono più in grado di portare avanti un lavoro di tradizione di famiglia, rischiando di dover mollare. È grave, anche perché nelle nostre tavole non vedo perché, con la nostra agricoltura in sofferenza, non dare una mano, non acquistare i nostri prodotti...». Ci va personalmente a fare la spesa?«Certo (sorride), anch’io faccio la spesa».Com’era da bambina? Sognatrice?«Io, per carattere, sono sempre una sognatrice, lo sono sempre stata e lo sarò probabilmente per sempre». Di suo padre e sua madre che ricordo ha?«I miei genitori erano di culture diverse, il mio papà era napoletano e mia mamma russa, dunque un po’ di incomprensioni ci sono state. Mio padre è morto quando ero piccola, avevo 11 anni. Però tutt’e due erano molto amorevoli».Ha esordito nel cinema nel 1979, a 14 anni, nel film La moglie più bella di Damiano Damiani, tratto da una storia vera. Sognava di fare l’attrice?«No, no. È successo perché ho accompagnato mia sorella a questo provino, e io ero giusta per l’età, perché Francesca Viola aveva 14 anni quando ha fatto questa rivoluzione in Sicilia. È stata un’esperienza importante e difficile, faticosa. Non avevo mai pensato di fare l’attrice, non era nei miei sogni».Francesca Viola fu rapita e violentata da un boss di mafia per costringerla al matrimonio riparatore, che rifiutò. È cambiato qualcosa nel rapporto tra uomo e donna?«Ogni relazione è soggettiva. È vero che le cose stanno cambiando, ma c’è molta confusione. Certo, uomini e donne avranno sempre qualcosa di dirsi e da dimostrarsi, perché siamo diversi. Noi vogliamo una cosa e probabilmente gli uomini un’altra. È difficile trovare il giusto equilibro. Il rispetto e la stima sono molto importanti. Poi, da lì, ci si può lavorare». Perché molti amori finiscono?«Dipende da che tipo di amore è. Due persone che stanno insieme devono avere la forza di essere onesti fra di loro, di dirsi le verità. Spesso uno, a volte, salta, non dice, nasconde. Già lì comincia un problema. Bisogna aver la possibilità di dirsi tutto. A un certo punto può subentrare la noia, anche sessuale, forse perché non nasciamo monogami? Non lo so, ma è una scelta. Per mantenere vivo un rapporto, i componenti della coppia devono avere un minimo di autonomia, libertà, momenti di respiro». Chi ama troppo ha un problema? «Se un amore diventa soffocante, vuol dire che c’è qualcosa che non va in te, e tu stai cercando di mettere una toppa nelle tue problematiche. L’amore non è un risolutore di situazioni». Le è capitato di confrontarsi con questo errore?«Assolutamente sì. Avendo perso il papà da giovanissima ho sempre ricercato un padre, quella figura maschile che mi supportasse, mi capisse. Ma quando ti avvicini a un compagno, se arrivi pieno di scartoffie, metti disordine anche nell’altro». In Storie di ordinaria follia (1981), di Marco Ferreri, tratto dai racconti di Bukowski, lei interpreta la straordinaria parte della «ragazza più bella della città», Cass, una prostituta autodistruttiva. Secondo lei, Cass, che finirà suicida, cercava Dio?«Sicuramente cercava di essere vista non come la più bella ragazza del momento, ma come anima. Questo si può legare a Dio? Sì, io ci credo in Dio, lo potrei legare. Poi c’è chi non ci crede, è difficile rispondere». Come fu realizzata la scena in cui lei si trafigge le guance con uno spillone?«È stata costruita una spilla da balia retrattile, che m’infilo, un po’ di male te lo fa comunque. Mentre l’infili si ritira, poi c’è un mini-taglio del film, lui che guarda e poi lei con la spilla messa». E l’esperienza con un regista così anticonformista come Ferreri?«Avevo una paura terribile e non ero sicura di me stessa. Marco diceva quello che pensava, non gliene fregava niente, tant’è vero che era temuto da tutti. Nel primo film con lui (L’ultima donna, 1976, ndr) è stata una catastrofe. Alla fine l’aiuto-regista ci faceva da tramite nelle indicazioni. Ero molto giovane, vivevo in una specie di Disneyland. Andammo in disaccordo perché voleva che io crescessi, capissi, ma puntavo i piedi, non ero pronta a questo suo mettermi di fronte a cose dure, non riuscivo a capirle. Dopo abbiamo fatto pace e ci siamo amati follemente. È stato un grande maestro d’inquadrature, di come lasciarsi andare davanti all’obiettivo».L’ultima donna, film durissimo sul dramma di un uomo, un ingegnere cassintegrato a Parigi, Gérard Depardieu, che non riesce a vivere un amore stabile e finisce per evirarsi con un coltello elettrico… «I giorni che precedevano l’evirazione di Depardieu sono stati faticosi. Quando abbiamo girato la scena, il ragazzo che teneva l’asta del microfono è svenuto».E una sua interpretazione di questo film?«È simbolico. Lui è talmente confuso che l’unica cosa è dire “tieni, ti do la mia mascolinità”, che non è proprio una soluzione però». A lavorare con Depardieu, come si trovò?«Molto bene. È un uomo con una grande energia. Quando arriva Gérard si sente, è un attore che si diverte a lavorare, gli piace stare sul set, è generoso, non una persona che lavora per conto suo, cosa che spesso può accadere».In un video del dicembre 2023, le sue esplicite dichiarazioni a sfondo sessuale sulle donne hanno un po’ sconcertato… «Lui è un uomo di un grande entusiasmo, probabilmente anche sessuale, che te devo di’… Se accadono tante di queste cose sbagliate, violenze, abusi, possiamo dire “no, non lo fare” e va bene, ma lo abbiamo cambiato il pensiero? Noi non vogliamo accettare che gli uomini ci vedano come donne. C’è qualcosa da cambiare, l’essenza di come esprimi certe cose, ma è un lavoro pesante, soprattutto sui maschi, sennò ci sarebbero i maschicidi, le violenze sugli uomini». In La ragazza di Trieste (1982) di Pasquale Festa Campanile, è Nicole, ragazza con gravi problemi psichici di cui s’innamora un disegnatore di fumetti. La amava davvero?«In quella situazione lui la ama, ma non l’aiuta. Quando lei gli torna a casa pelata, perché non gli dice “che cazzo hai fatto?”. La guarda, la ama lo stesso, ma la sua malattia non cambia, fino a quando si suicida. In fondo, l’uomo la usa. Probabilmente è un amore malato, perché così è spesso». Come ricorda Francesco Nuti, con cui interpretò Tutta colpa del paradiso e Stregati?«Era un ragazzo molto originale, che aveva tanta sofferenza dentro». Crede nella vita ultraterrena? «Ognuno di noi sceglie di credere o non credere. Io credo e questo mi porta ad avere degli atteggiamenti nella vita. Mi aiuteranno dopo? Non lo so, poco importa. Voglio lasciare di me, nella mia testa, una scia positiva o, comunque, di qualcuno che ha provato a migliorarsi. Le mie preghiere vengono a volte ascoltate e, se non lo sono, c’è un motivo. Bisogna stare attenti a non essere invasati, ma comportarsi con amore, tanto amore. Dopo il Covid ero convinta che la gente avesse capito. Invece non ha capito niente». Gli italiani, in larga parte, si dichiarano cattolici. Cosa significa esserlo?«Noi siamo tutti dei gran cattolici, per non esserlo mai… Ci professiamo tali. Se sei cattolico, lo devi essere fino in fondo. Ho conosciuto Mario Monicelli, era comunista. Lo era nella vita, aveva una casa spartana, non viveva nel lusso, non come quei comunisti che lo sono a parole. Credo in Dio, meno negli uomini. Strutture e organizzazioni sono create dagli uomini, per cui c’è uno bravo, e uno marcio. I preti pedofili andrebbero cacciati dalla Chiesa, non spostati da una parte all’altra». Francesca, cosa c’è dietro ai suoi occhi?«In realtà, dietro ai miei occhi c’è un po’ di malinconia, perché elaboro un passato complicato. A volte c’è questa idea contorta che, se hai successo, dovresti essere una persona soddisfatta. Guardo il tempo indietro, mi mancano i miei figli piccoli, mi analizzo, mi rendo conto che negli anni sono cambiata tanto, tanto, tanto… C’è tristezza nel vedere un mondo che non capisce un cavolo, potremmo essere tutti più sereni. C’è bisogno di vedere il bello dell’interiorità. Penso che ogni persona sia una storia».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.