2024-10-01
Ora la democrazia si chiama nazismo
Le libere elezioni dovrebbero servire a premiare chi ha governato bene e punire chi lo ha fatto male, passando la palla alle forze alternative. Ma in Europa non è così: se non vince chi dicono loro, i (presunti) progressisti e liberali insorgono e accusano il popolo. E anche oggi, la democrazia è in pericolo. Non è certo una novità, perché di allarmi simili ne sentiamo lanciare parecchi, e da anni. Se si sono fatti particolarmente intensi negli ultimi mesi è perché un po’ in tutta Europa le destre vincono le elezioni o comunque ottengono risultati piuttosto clamorosi. L’ultimo caso è quello degli austriaci di Fpö, guidati da Herbert Kickl. I quali vanno ad aggiungersi a una truppa molto variegata ma di notevole successo (almeno in termini di consensi) composta da Viktor Orbán in Ungheria, Giorgia Meloni in Italia, dal Rassemblement National di Marine Le Pen in Francia, da Alternative für Deutschland divenuta prima forza nei Land di Turingia e Sassonia in Germania, dai liberal-sovranisti di Geert Wilders in Olanda e da altri schieramenti pendenti a destra in Svezia e Finlandia. I vertici di Fpö non hanno fatto in tempo a godere del risultato delle urne che lo stesso capo dello Stato austriaco, Alexander Van der Bellen, ha fatto sapere di voler conferire l’incarico di cancelliere a «qualcuno che tuteli i principi della democrazia liberale», come se la destra fosse antidemocratica per definizione. È, appunto, un brutto film già visto fino allo sfinimento: cambiano i nomi dei personaggi, ma la trama è la medesima. Di solito funziona così: la destra vince e le forze progressiste o presunte liberali la accusano di essere più o meno dichiaratamente fascista o cripto nazista, e la dipingono come un pericolo per la libertà dei popoli. Nello specifico dell’Austria, i più godono nel definire il Partito della libertà come «erede del nazismo». Se si ha la pazienza di scorrere i titoli e i commenti dei media cosiddetti mainstream - esercizio non consigliato a chi abbia lo stomaco sensibile - si leggono ovunque le stesse intemerate sulle «pericolose derive», l’antisemitismo immaginario, il razzismo caricaturale e via inventando. Che si tratti di accuse false e risibili è facilmente intuibile per almeno due motivi. Il primo, ovvio, è che oggi nessuno potrebbe trionfare in una qualsiasi elezione europea se si richiamasse al nazismo e al fascismo: su questi temi c’è una concentrazione psicotica, e le stesse destre sono fin troppo ossessionate dal ripulirsi l’immagine recidendo ogni legame (più presunto che vero) con gli autoritarismi del passato. Il secondo motivo è appena meno evidente ma forse più pregnante. L’accusa di essere antidemocratico, razzista, terrapiattista e omofobo viene mossa anche a partiti e movimenti che non siano di destra ma appartengano alla galassia populista o, semplificando, anti sistema. Emblematico il caso del primo ministro slovacco Robert Fico, che guida un partito socialista ma è stato presentato alla stregua di un nipotino di Himmler. Nemmeno l’attentato che ha subito mesi fa è bastato a renderlo più umano agli occhi dei media europei. Discorso analogo per la sinistrissima Sahra Wagenknecht, colpevole di appartenere a una sinistra che rifiuta l’ideologia neoliberale e l’immigrazione di massa. Se ne deduce che chiunque esca dai binari precostituiti dell’europeismo di maniera e dell’atlantismo da operetta diviene d’ufficio un piccolo Hitler e un pericolo per la tenuta delle istituzioni continentali. Al contrario, chiunque professi la «giusta fede» è al riparo da ogni critica e può sostanzialmente fare ciò che gli pare. Se in Polonia il governo gradito a Bruxelles mette in atto terribili purghe nella televisione di Stato, va tutto bene: è democrazia. Se in Ucraina non si tengono le elezioni, di nuovo, è per il bene della democrazia. In questo quadro, la volontà degli elettori diviene di fatto irrilevante. Se il popolo vota un partito «deplorevole» significa che ha scelto facendosi guidare dai bassi istinti, che non è lucido. Come spiegava ieri Milena Gabanelli sul Corriere della Sera, i tedeschi che hanno optato per Afd sono vittime di «un grande abbaglio», certo non possono avere scelto coscientemente un tale orrore. Capite bene che tale atteggiamento dei media e di gran parte della politica è - questo sì - violentemente antidemocratico. Tra i principi della democrazia liberale vi è infatti l’alternanza: se un partito si presenta alle elezioni e vince, teoricamente dovrebbe governare o per lo meno essere rappresentato adeguatamente. Il problema è che ciò in Europa non accade o accade raramente. Se i sovranisti (o coloro che vengono ritenuti tali) ottengono buone percentuali a Bruxelles e formano un gruppo di patrioti, ecco che attorno a loro si forma un cordone sanitario per escluderli da ruoli di potere. Viktor Orbán viene regolarmente minacciato di provvedimenti più o meno draconiani dalle istituzioni comunitarie. Per escludere Marine Le Pen sinistra e liberali sono pronti a coalizzarsi pure con Satana in persona, e non contenti brigano per tenere alla larga dalla ribalta anche il populistoide Melenchon. In Germania il quadro non è granché diverso e, come si diceva, in Austria da subito si sono poste le basi per una Conventio ad excludendum. Su quali basi e con quale diritto sia messo in atto tutto ciò non è ben chiaro, anche perché alcune delle istanze sollevate dai movimenti «antidemocratici» sono regolarmente riprese dai partiti progressisti non appena vanno al potere e si trovano a fare i conti con la realtà. Dall’Inghilterra alla Germania, tanto per fare un paio di esempi, i laburisti e i socialisti si danno un certo daffare per limitare l’immigrazione, e pare che anche in Francia avanzino tendenze simili. Per non parlare delle numerose inversioni di rotta sui temi green registrate in varie nazioni specchiatissime. Tocca dunque domandarsi: chi davvero è ostile alla democrazia? Chi rappresenta un pericolo per la libera espressione della volontà popolare? Quanti si fanno portavoce di un legittimo e sacrosanto disagio o quanti quel disagio lo alimentano e provano a tacitare le contestazioni? In ogni caso, pensare che escludere un partito dal potere sia sufficiente a fare sparire le rivendicazioni che esso porta avanti è semplicemente ridicolo. Se, per dire, gli austriaci votano Fpö non è perché rivogliano il nazismo, ma perché sono stanchi delle frontiere aperte e, probabilmente, delle guerre. Fpö potrà anche svanire o addirittura essere sciolto, ma gli elettori continueranno a provare la stessa stanchezza e a votare di conseguenza. Sappiamo bene come ragionino le élite occidentali: se il popolo non vota come si deve, non agiscono per cambiare le proprie politiche, ma si mobilitano per cambiare il popolo. Purtroppo per loro, è una operazione più difficile del previsto.
L’ex viceministro e sottosegretario della Salute Pierpaolo Sileri (Ansa). Nel riquadro Marco Florio
Andrea Sempio, nel riquadro il padre Giuseppe (Ansa)