
L’ex no global in tv esclude trattative per il mercantile Nivin. Erasmo Palazzotto si smarca: «Non ho fatto da tramite con i libici».La tentata «liberazione» del mercantile Nivin, un cargo ancorato nel porto di Misurata con a bordo più di settanta clandestini, resta una delle operazioni più misteriose e controverse della ciurma un po’ picaresca della Mare Jonio, il rimorchiatore guidato da Luca Casarini & Giuseppe Caccia, attualmente alla sbarra a Ragusa con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Oggi scopriamo che i due erano pronti a fare patti anche con il diavolo e a boicottare la diplomazia ufficiale del nostro governo pur di raggiungere l’obiettivo.Innanzitutto provarono a convincere l’armatore del Nivin, Omran Alame, a lasciare senza permesso Misurata e a dirigersi in acque internazionali, dove la Mare Jonio avrebbe recuperato i migranti. Il responsabile della Nivin rifiutò sdegnosamente, spiegando di non voler violare le leggi e di considerare quei naufraghi dei criminali (avevano preso in ostaggio l’equipaggio pur di non essere sbarcati in Libia). I fatti risalgono al novembre del 2018. A Palazzo Chigi c’è Giuseppe Conte e a sostenerlo sono Movimento 5 stelle e Lega. In quelle ore il premier sta provando, anche con una conferenza organizzata a Palermo, a far dialogare il capo del governo libico di unità nazionale Fayez al-Sarraj e l’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Belqasim Haftar. Giovedì a Piazzapulita, intervistato dal vicedirettore della Verità Francesco Borgonovo, Casarini ha rivendicato quel tentativo di «evacuazione» di una nave ferma in un porto straniero.«Il caso Nivin è aperto alla Corte europea dei diritti umani, perché quella nave ha deportato a Misurata i migranti» che erano stati soccorsi in mare. Quindi ha spiegato che cosa avrebbe provato a fare in quelle ore convulse: «Noi tentiamo in tutte le maniere... e lo scrivono i giornali... di dire: “Veniamo noi... non andate in Libia... non deportateli, perché è un grave crimine deportare le persone in Libia. E chiediamo a tutti...”». Borgonovo chiosa: ad Haftar. Casarini non nega: «Parliamo con tutti». E quando gli si domanda se sia normale che Caccia comunichi con il portavoce di Haftar mentre lo Stato italiano sta portando avanti la sua politica, Casarini nega: «No, noi non abbiamo fatto niente...». E lancia la palla nel campo del governo: «Haftar è stato invitato sei mesi fa a Roma...». Per poi concludere: «Detto questo non me ne frega niente di Haftar o di chiunque». Quindi Casarini non conferma di aver cercato, magari con il sostegno del generale, di far scappare da un porto libico un mercantile panamense, programmando uno scambio di clandestini in alto mare. Un’operazione degna dei quattro dell’Oca selvaggia.La nuova linea è decisamente critica nei confronti del signore della guerra di Bengasi. L’ex leader delle Tute bianche, a maggio, aveva stigmatizzato «il tappeto rosso» steso «per Haftar, signore della guerra della Libia Cirenaica, che una volta è un criminale in accordi con la Russia di Putin e la Wagner e un’altra, invece, diventa un prezioso partner con cui fare accordi per incarcerare donne, uomini e bambini, che chiedono di essere evacuati verso l’Europa». E aveva chiuso il suo ragionamento così: «Poi uno sceglie con chi stare: con i peggiori criminali e banditi del Mediterraneo o con donne, uomini e bambini innocenti». In un editoriale sull’Unità, scritto a giugno, aveva accusato il generale di aver partecipato a «una retata di massa» di disperati, in accordo con il governo della Tripolitania, per accreditarsi con le cancellerie europee e lo aveva definito sprezzantemente «nuovo alleato dell’Italia nella guerra contro i migranti».Ma le chat di Caccia con il portavoce di Haftar, Mohamed Ghunaim, raccontano come nel 2018, l’ex «nemico pubblico» dell’Occidente fosse un interlocutore affidabile per Casarini & C.. In quei messaggi Caccia si presenta come «collaboratore» del parlamentare di Leu Erasmo Palazzotto e chiede, garantendo la massima riservatezza, informazioni per la commissione Affari esteri di cui il deputato, però, non era più membro dal marzo precedente. Pianifica un meeting a Bengasi e specifica di rappresentare una linea «contraria alla politica del governo italiano in materia migratoria». Infine chiede l’appoggio degli uomini di Haftar per evacuare il cargo e aggirare il blocco della Guardia costiera. Ghunaim ribatte che il porto è sotto il controllo delle milizie di Ahmed Maitig, il terzo incomodo dello scacchiere libico, una figura, lamenta il portavoce, sostenuta da governo italiano. «Esattamente la situazione che vogliamo cambiare» ribatte Caccia, come se fosse il rappresentante di una resistenza clandestina alla maggioranza democraticamente eletta. Per provare a mettere a posto le tessere di questo puzzle così complesso ci si siamo rivolti a Palazzotto, oggi parlamentare del Pd. Il quarantunenne deputato, a sua volta indagato e poi archiviato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ha risposto solo ad alcune delle nostre domande, in questi termini: «Non conosco nessuna delle persone citate, se non per le cronache, non ho mai incontrato Haftar, né alcun suo collaboratore, non sono mai stato neanche un suo sostenitore rispetto alle posizioni sulla Libia. Non ho partecipato alla conferenza di Palermo ed ero all’opposizione del governo in quegli anni e facevo parte della commissione Difesa. Il signor Caccia è uno dei fondatori di Mediterranea come lo sono stato io (non ne faccio più parte dal 2020). Non abbiamo avuto mai alcun rapporto di collaborazione professionale. Sul caso Nivin ricordo di avere presentato una interrogazione parlamentare e avere fatto diversi interventi per chiedere che le persone non fossero deportate in Libia in deroga alle convenzioni internazionali. Ma non ho fatto alcun intervento, né diretto, né indiretto, sulle autorità libiche con cui non ho mai avuto rapporti». Ribattiamo che, nel 2018, il portavoce di Haftar aveva detto di aver parlato con lui. E Palazzotto ribadisce: «Non ricordo di aver mai parlato con nessuno delle autorità libiche, tranne una volta, nella legislatura precedente, durante un’audizione alla commissione Esteri della Camera in sede istituzionale. Non so se la persona a cui si riferisce fosse presente a quell’incontro, ma parliamo di un periodo storico diverso, credo fosse il 2017. Se avessi avuto rapporti con le autorità libiche avrei provato ad utilizzarli per salvare le persone dalla deportazione nei centri di detenzione in Libia».In conclusione, nessun contatto, nessun meeting riservato, nessun complotto. Chi avrà ragione? Caccia? Ghunaim? O Palazzotto? Al momento non ci risulta che qualcuno abbia provato a verificarlo.
Matteo Lepore (Ansa)
Quella che in un istituto era stata presentata come la «Giornata della cittadinanza» si è rivelata essere della mera propaganda pro immigrazione, mascherata da attività extra didattica. Fdi: «Denunceremo».
Doveva essere una sorta di lezione civica rivolta agli studenti. La comunicazione arrivata ai genitori degli allievi delle medie della scuola Guido Guinizelli di Bologna citava testualmente «Un evento gratuito», che si sarebbe svolto il 20 novembre dalle 10 alle 13 al Teatro Manzoni per la «Giornata della cittadinanza 2025». Luca (nome di fantasia) non ha esitato a dare il suo consenso, convinto che per la figlia dodicenne Margherita poteva essere un momento didattico.
Cosa ci dice il caso Garofani di ciò che avviene sul Colle? Ne discutono Giuseppe Cruciani e Massimo de' Manzoni.
Una scena dal film «Giovani madri»
Il film dei fratelli Dardenne segue i passi di cinque ragazze-mamme, tra sguardi e silenzi.
L’effetto speciale è la forza della realtà e della vita. Niente fronzoli, niente algoritmi, niente ideologie. Giovani madri è un film che sembra un documentario e racconta la vicenda - già dire «storia», saprebbe di artificio - di cinque ragazze madri minorenni. Non ci sono discorsi o insistenze pedagogiche. Solo gesti, sguardi e silenzi. E dialoghi secchi come fucilate. Non c’è nemmeno la colonna sonora, come d’abitudine nel cinema dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, autori anche della sceneggiatura, premiata all’ultimo Festival di Cannes.
«All Her Fault» (Sky Exclusive)
L’adattamento dal romanzo di Andrea Mara segue la scomparsa del piccolo Milo e il crollo delle certezze di Melissa Irvine, interpretata da Sarah Snook. Un thriller in otto episodi che svela segreti e fragilità di due famiglie e della loro comunità.
All her fault non è una serie originale, ma l'adattamento di un romanzo che Andrea Mara, scrittrice irlandese, ha pubblicato nel 2021, provando ad esorcizzare attraverso la carta l'incubo peggiore di ogni genitore. Il libro, come la serie che ne è stata tratta, una serie che su Sky farà il proprio debutto nella prima serata di domenica 23 novembre, è la cronaca di una scomparsa: quella di un bambino, che pare essersi volatilizzato nel nulla, sotto il naso di genitori troppo compresi nel proprio ruolo professionale per accorgersi dell'orrore che andava consumandosi.






