Giuseppe Conte (Imagoeconomica)
La relazione del Copasir sul caso Paragon conferma che il primo via libera alle intercettazioni preventive contro la Ong Mediterranea risale al governo Conte 2. I servizi non indagarono su Cancellato.
L’opposizione ha denunciato per mesi un «regime» che intercettava le Ong. Il Copasir mette nero su bianco che a disporre le captazioni fu il Conte bis: gli stessi che strepitano.
La relazione del Copasir evidenzia che le attività di intercettazione sull'attivista di sinistra furono portate avanti dal governo del leader M5s. Sul direttore di Fanpage, invece, non ci sono certezze sul fatto che sia stato controllato.
Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, questa sera, ha approvato all'unanimità la relazione finale sull'utilizzo da parte della nostra intelligence dello spyware israeliano Graphite. Domani mattina la relazione sarà trasmessa ai presidenti di Camera e Senato per la pubblicazione online.
Le prime indiscrezioni avevano puntato il dito contro il governo Conte 1, ma, invece, il documento del Copasir, di cui è stato relatore il presidente Lorenzo Guerini, dopo due mesi di indagini sul caso degli attivisti dell’associazione di promozione sociale (Aps) Mediterranea saving humans intercettati dai nostri 007, svela, a quanto risulta alla Verità, un altro scenario: a ordinare di ascoltare le utenze di Luca Casarini (fondatore e membro del consiglio direttivo di Mediterranea) e Giuseppe Caccia, armatore della Mare Jonio (l’imbarcazione utilizzata dall’associazione per i soccorsi in mare) non è stato il governo giallo-verde (Lega più Movimento 5 stelle), ma quello giallo-rosso (a guida Pd-grillini), quando la delega per i servizi era in capo al premier Giuseppe Conte che avrebbe avviato personalmente l’operazione di «spionaggio», con l’avallo, come prevede la legge, della Procura generale presso la Corte d’appello di Roma. L’attività di captazione è stata materialmente eseguita dall’Aisi, i servizi segreti interni. Il tutto rispettando le regolari procedure. Ma l’aspetto interessante è che gli spiati che hanno sbraitato contro il governo Meloni, in realtà, erano finiti sotto il controllo di una maggioranza a guida Pd. I cui parlamentari scambiavano con Mediterranea informazioni sensibili da sfruttare per la grande pesca di migranti in mare, come rivelato da questo giornale.
Casarini, per esempio, il 26 settembre 2020 lancia in chat un suggerimento: «Concentratevi di più su membri del Pd che sostengono Med. Primo per evitare che si dica che siamo una nave di partito (troppa internità di parlamentari dentro Med non ci fa bene) , secondo perché le contraddizioni sono lì. Giuditta Pini, Matteo Orfini (entrambi deputati del Pd, ndr), eccetera».
E proprio da quella rete progressista Mediterranea sembrava attingere per muoversi nelle difficili acque della ricerca e soccorso in mare. Per esempio, Casarini, in un altro messaggio, afferma: «Resoconto riservato ricevuto da Giuditta Pini da Mrcc (Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo, ndr)».
Ricordiamo che la settimana scorsa l’ex leader delle Tute bianche al G8 di Genova e altri sette imputati, su richiesta della Procura di Ragusa, sono stati rinviati a giudizio con l’accusa di aver favorito l'immigrazione clandestina traendone profitto.
Altro aspetto interessante è quello che riguarda il direttore di FanpageFrancesco Cancellato: non c’è prova che sia stato intercettato. Di certo non lo hanno captato i servizi segreti italiani, come confermato dall'assenza di richieste di autorizzazione alla Procura generale di Roma. E anche se due Procure (Roma e Napoli) hanno aperto fascicoli esplorativi per intercettazioni abusive, in realtà, secondo la relazione conclusiva del Copasir, il messaggio di alert che Cancellato ha ricevuto su Whatsapp da Meta, come ha spiegato la stessa azienda produttrice della app, non significa automaticamente che l’utenza sia finita sotto intercettazione. È probabile, ma non certo. Il messaggio era stato questo: «A dicembre, WhatsApp ha interrotto le attività di una società di spyware che riteniamo abbia attaccato il tuo dispositivo». Il riferimento era al software Graphite dell’azienda israeliana Paragon solutions che aveva ceduto il suo «virus spia» zero click anche al governo italiano. Insieme al giornalista almeno altre novanta persone avrebbero ricevuto nel mondo (sette nel nostro Paese), la medesima comunicazione. «Tutto avrei immaginato nella mia vita, tranne di ricevere il messaggio che ho ricevuto da Meta venerdì 31 gennaio, cioè trovarmi nella situazione di essere un direttore di giornale italiano, europeo, spiato, da uno spyware» aveva dichiarato con una certa enfasi Cancellato al Parlamento Ue. Ma le certezze dell’inverno scorso non hanno trovato conferme. A sostenere la versione del cronista spiato (da Palazzo Chigi e dintorni, era il sottotitolo) è stato Citizen lab, «un laboratorio interdisciplinare» presso «l'università di Toronto» di cui è importante finanziatore la fondazione Open society del filantropo ungherese George Soros. Insomma dietro all’allarme potrebbero esserci interessi particolari e la volontà di destabilizzare un governo «nemico».
L’indagine del Copasir è stata realizzata attraverso un lungo ciclo di audizioni. Sono stati ascoltati, tra gli altri, l'autorità delegata alla sicurezza della Repubblica, Alfredo Mantovano, i direttori di Dis, Aise ed Aisi, il procuratore della Corte d'appello di Roma, Giuseppe Amato, rappresentanti di Meta e di Paragon. Il documento finale dovrebbe contenere, oltre ad un'analisi sull'utilizzo di Graphite nei casi emersi, anche indicazioni per una migliore gestione futura di questi dispositivi.
C’è in questa nazione una strana concezione della giustizia: bisogna rispettare i magistrati, le sentenze e gli inquirenti soltanto se non vengono a disturbare noi e i nostri interessi, e se mettono i bastoni fra le ruote agli avversari politici. Piuttosto emblematiche, a tale riguardo, le vicende che coinvolgono Luca Casarini e i suoi colleghi della Ong Mediterranea saving humans. Come noto, l’ex leader delle tute bianche è stato rinviato a giudizio a Ragusa per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, con l’aggravante del profitto, assieme ad Alessandro Metz e Beppe Caccia, il comandante della nave Mare Jonio e tre membri dell’equipaggio.
Casarini si è sfogato con la stampa e le sue dichiarazioni sono state riportate ieri con grande risalto sulla prima pagina di Repubblica. «Per aver salvato vite ci hanno spiato con Paragon, contro di noi hanno costruito dossier, hanno sottoposto la nostra nave a continue ispezioni, adesso vogliono processarci. Non ci spaventano. E non ci fermiamo», ha detto Casarini. «Questo diventerà un processo all’omissione di soccorso. Ministri e autorità dovranno spiegare perché 27 persone sono state lasciate per 38 giorni in mezzo al mare. Noi le abbiamo solo salvate».
I fatti a cui si fa riferimento risalgono al 2020, quando la nave commerciale Maersk Etienne tenne a bordo per oltre un mese migranti che Malta non voleva accogliere sul suo territorio dopo averne ordinato il recupero in mare. Quei migranti furono poi trasbordati sulla Mare Jonio e condotti in Sicilia. Circa otto mesi dopo, la Maersk fece una donazione di 125.000 euro a Mediterranea, che fu accolta con giubilo dalla Ong (si parlò di stappare lo champagne, perché senza quei soldi gli attivisti avrebbero dovuto tornare a fare un altro lavoro). Gli inquirenti vogliono vederci chiaro e capire se la donazione fu semplice beneficenza o il pagamento per un servizio svolto.
Trovandosi al centro dell’azione giudiziaria, Casarini protesta con veemenza e i giornali amici gli offrono ampio supporto. Repubblica, nello specifico, rimarca che «così si colpiscono gli aiuti». Posizione legittima, per carità, ma un filo contraddittoria. Già è curiosa la leggerezza con cui si è sorvolato sulla storia delle intercettazioni. Quando è emerso che Casarini e altri erano stati spiati tramite il software della azienda israeliana Paragon, per settimane i principali commentatori e molti politici hanno insinuato che la responsabilità fosse del governo di destra fascistoide, e hanno gridato al regime. Poi si è scoperto che le prime autorizzazioni ai controlli sui membri della Ong Mediterranea risalivano al governo Conte, anno 2019. Casarini ha preteso le scuse del capo a 5 stelle, ma non si è certo scusato per gli attacchi al presunto regime destrorso. In ogni caso, la gran parte della stampa ha sepolto il caso per evitare imbarazzi.
Ora si riparte con la cagnara perché la Ong è stata rinviata a giudizio, e si lamentano ingerenze giudiziarie, si sostiene che indagini e processi sarebbero un danno per il soccorso in mare. Per prima cosa, occorre notare che si tratta di false affermazioni. Non è vero che si interrompono i soccorsi e i recuperi, la maggior parte dei quali è regolarmente garantita dalle autorità nazionali. Semplicemente, si cerca di fare luce su un passaggio di denaro a seguito di un trasbordo. In che modo tutto ciò fermi i flussi migratori in ingresso non è dato sapere.
Ma il nodo della questione è un altro. Non si capisce perché l’intervento della magistratura sia legittimo soltanto quando è volto a impedire la permanenza degli immigrati in Albania. Ogni volta che i giudici hanno bloccato o neutralizzato un trasferimento dall’altro lato dell’Adriatico, la sinistra italiana tutta si è data a festeggiamenti sbracati, ha invocato l’autonomia degli inquirenti e l’autorità delle toghe, ha deriso il governo che si era risentito per l’ingerenza politica.
Delle due l’una: o i magistrati sono sempre liberi, autonomi e autorevoli o non lo sono mai. Non è possibile che ci si sdegni se una inchiesta tocca una Ong e che invece si celebri come sacrosanta una decisione che ferma un atto politico dell’esecutivo. Anzi, a dire il vero è molto più facile sostenere che abbia connotazioni ideologiche l’accanimento delle toghe sulla vicenda albanese: lì non si tratta di scambi di soldi fra privati che traghettano stranieri irregolari, ma di un preciso orientamento politico di un governo regolarmente eletto. Il quale dovrebbe essere libero di prendere le decisioni - condivisibili o meno - che gli competono. In ogni caso, anche se si ritenesse corretto e ineccepibile l’operato della magistratura riguardo ai trasferimenti in Albania, - anzi, a maggior ragione se lo si ritiene giusto - è comunque contraddittoria e ingiustificabile l’indignazione per il processo a Mare Jonio. Non che vi sia da stupirsi, purtroppo. Da queste parti la contraddizione regna sovrana, e l’ipocrisia l’accompagna a corta distanza. I giudici e poi in generale le autorità sono giudicati buoni e santi soltanto quando si esprimono a favore di una precisa agenda, se stabiliscono che i migranti debbono restare in Italia o che i bambini possano avere due madri. In tutti gli altri casi subito affiora il sospetto politico, si suggerisce la malafede o la compromissione con il potere fascistoide, si contesta e ci si sgola. Triste e banale: la giustizia è giusta solo quando dà ragione ai sedicenti buoni.