«La Consulta ha fatto emergere la disumanità dei Cpr». È un’ovazione da stadio, di più un assolo di Bruce Springsteen, di più una pacca sulla spalla di Luca Casarini. È grande l’entusiasmo che monsignor Gian Carlo Perego dedica al gol della Corte Costituzionale contro il governo nella partita sull’immigrazione clandestina attraverso i Centri di permanenza per i rimpatri. Lui è eccitato e aggiunge dalla curva Sud (o dalla tolda della Mare Jonio, fate voi): «È l’ennesima sconfessione di una politica securitaria che non rispetta la dignità della persona migrante».
Il presidente della Fondazione Migrantes non ha mezzi termini, quasi non vedesse l’ora di liberare sé stesso e il pensiero profondo della Cei del cardinal Matteo Zuppi, da tempo schieratissimi per quella sciagura sociale che si sta rivelando l’accoglienza diffusa.
E da qualche mese privi dell’alleato principale, il Papa, perché i passi saggi e prudenti di Leone XIV non sono paragonabili al fervore acritico da gesuita in Mission di papa Francesco con l’oboe.
Messa all’angolo dal nuovo pontefice, l’ala sinistra della Chiesa (quella con Che Guevara sul crocifisso) ha avuto un sussulto liberatorio davanti alla pronuncia dei giudici che invitano il legislatore a integrare le norme per renderle «più rispettose della libertà personale».
Nel mirino dell’arcivescovo di Ferrara-Comacchio ci sono i nove Cpr attivi in Italia e soprattutto l’hub in Albania, visto preventivamente come un luogo demoniaco anche se vuoto, forse perché la lunga mano delle associazioni cattoliche fino a Shengjin e a Gajder non riesce ad arrivare.
Tutto comprensibile, il business del migrante è florido e la concorrenza dello Stato può provocare fastidi non solo alle coscienze ma anche ai conti correnti. Con una pericolosa aggravante: buona parte dell’Europa guarda alle politiche del governo di Giorgia Meloni con interesse ed è pronta ad adottarle per dare una risposta ai cittadini spremuti e stressati dalla guerra fra poveri. Sarebbe una disfatta per i campioni dell’accoglienza e per la produzione massiva di nuovi schiavi, dediti a pedalare per trasportare pizze, a ingrossare le file della malavita organizzata con il caporalato e altre branche del settore.
Peccato che monsignor Perego non abbia mai evidenziato lo stesso entusiasmo quando i giudici hanno via via portato alla luce «disumanità», «degrado», attentati «alla dignità della persona» in casi celebri come quello di Mimmo Lucano a Riace (solo Messe di solidarietà), nello scandalo dei parenti di Aboubakar Soumahoro (solo silenzi imbarazzati), nelle tendopoli di Lampedusa, nelle inchieste sulle inadempienze marittime del commodoro Casarini e della Ong Mediterranea fortemente finanziati dalla Chiesa medesima.
Lì niente, non una parola a difesa dei poveri migranti gestiti in condizioni estreme. Ammassati dentro chiese trasformate in Cpr di pietra privi di ogni comfort, costretti a deambulare senza meta, a espletare le funzioni corporali nelle aiuole, a dormire nei sacchi a pelo. E tutto questo per saziare il desiderio di santità in terra di tonache fuori dal mondo reale.
È vero che la Caritas svolge un ruolo primario nel dare conforto e companatico ai disperati del mondo e lo fa con un’organizzazione strutturata (e molto ben remunerata). Ma è altrettanto vero che non sempre - parlano le ordinanze dei pm di mezza Italia - l’accoglienza si coniuga con trattamenti a cinque stelle. Eppure nei casi descritti «l’assoggettamento fisico all’altrui potere» che tanto preoccupa la Consulta e tanto fa indignare i Migrantes, era considerato un dettaglio, un incidente di percorso, quando non una necessità.
Perché - come amano giustificarsi alcuni sacerdoti di strada -, «quando hai migliaia di persone da amministrare non puoi avere lo stesso standard applicabile a centinaia».
Proprio due giorni fa le forze dell’ordine sono state costrette a sgomberare la chiesa di Vicofaro (Pistoia) dove don Massimo Biancalani, il prete da Oscar per come interpreta il marketing dei migranti, nel tempo aveva ammassato in condizioni critiche centinaia di ospiti. A tal punto da far indignare i residenti del quartiere, che si sono riuniti in due comitati per denunciare episodi sempre più frequenti di violenze, spaccio, degrado, sudiciume, controllo abusivo del territorio, infiltrazioni della malavita. L’inferno spacciato per paradiso. Tutto questo mentre il sacerdote portato in palmo di mano dal progressismo senza freni si faceva fotografare in piscina con i suoi adepti.
Negli anni la faccenda è diventata paradigmatica di un comportamento sbagliato. Così irridente e provocatorio che neppure il vescovo di Pistoia, Alessandro Tomasi, ha avuto dubbi e ha detto al prefetto: se c’è da sgomberare, sgomberate. E i migranti? Ricollocati in altre strutture di accoglienza ritenute più adatte (o meno disumane, così anche monsignor Perego comprende) di una chiesa ridotta a capannone. Nella quale neppure Dio misericordioso riconosceva più la sua casa.







