2020-12-17
Ora al Pd non va giù Conte capo degli 007
Enzo Amendola (Simona Granati - Corbis/Corbis via Getty Images)
Dopo il pressing di Iv, il ministro dem Enzo Amendola attacca il premier sulla delega ai servizi segreti. Facendo capire che è necessario un riposizionamento internazionale. Mentre sullo sfondo resta la grana della fondazione. E soprattutto della scelta dei vicedirettori. Le deleghe ai servizi di intelligence sono uno di quei temi carsici che si inabissano per poi riesplodere e riemergere in superficie con violenza. Restano però sempre a portata di mano del Consiglio dei ministri di turno. Così dopo Matteo Renzi, a portare al centro del dibattito politico le deleghe ormai saldamente in mano al premier da due anni e mezzo è stato ieri il ministro degli Affari Ue, Enzo Amendola. Intervenendo a Omnibus ha fatto barba e capelli all'avvocato del popolo. «Confermando l'amicizia e il rispetto nei confronti di Conte», ha detto l'esponente pd, «credo che la delega sui servizi segreti sia un onere molto grande per il presidente del Consiglio, su quello aprirei una riflessione, non per mancanza di fiducia ma perché sappiamo bene che nello scenario multilaterale e politico internazionale è una delega gravosa di grandi responsabilità, una riflessione la farei», ha concluso aprendo uno scenario interessantissimo. Da un punto di vista politico e pure tecnico. Innanzitutto, ha fatto capire che non parla per sé, ma per conto del Pd. Dunque non solo ha sfilato la palla sul coordinamento dell'intelligence dalle mani di Renzi, che in questi giorni ha bombardato il governo con il chiaro intento di minacciare cadute o rimpasti in cambio di un maggiore peso decisionale, anche e soprattutto su questi tavoli. Non solo. Amendola ha elevato la questione da un terreno più provinciale a uno schema internazionale. Il riferimento all'impegno costante su scenari geopolitici in via di definizione porta chiaramente agli Usa di cui il ministro assieme al collega della Difesa, Lorenzo Guerini, è un grande sostenitore sempre nell'ambito delle logiche Nato. Ne segue che una fetta del Pd è consapevole di dover riallineare le strategie guardando tra Bruxelles e Washington. Tradotto, spostando l'asse più lontano da Pechino. La richiesta di mollare le deleghe è quindi spiegata con la necessità di riposizionare il governo, non tanto e forse non solo con l'idea di riassegnare letteralmente le deleghe. In pratica il Pd sta facendo capire a Conte che se vuol mantenere l'incarico deve gestirlo in modo collegiale e non come ha fatto fino a oggi. Gli episodi anomali sono numerosi: si va dal caso Mifsud, fino al blitz per cambiare le norme sui rinnovi dei vertici e da ultimo il tentativo di inserire in un decreto la nascita della fondazione sulla cybersecurity senza aver condiviso la mossa con gli altri ministri né con il Copasir. Proprio quest'ultimo tema aiuta a comprendere che dietro la battaglia politica e la mossa strategica del Pd ci sono tre questioni pratiche e logistiche su cui la maggioranza non ha certo finito di scannarsi. La fondazione sulla cyber non è infatti saltata del tutto. Nonostante Iv e Pd abbiano ottenuto di stralciare il comma dal decreto in sede di cdm, Conte sta lavorando fattivamente alla stesura di un decreto apposito. Vedremo se insisterà nel lasciare gran parte degli ambiti in mano al direttore del Dis, Gennaro Vecchione, appena rinnovato durante un cdm notturno, oppure costruirà uno schema più simile a quello disegnato dal precedente direttore, Alessandro Pansa. Ciò consentirà un ruolo del Parlamento, delle altre agenzie e delle istituzioni pubblico-private. D'altronde tutti i partiti sono consapevoli che anche il nostro Paese deve dotarsi di una tale fondazione, altrimenti correrà il rischio di ritrovarsi a ruota dell'Europa, che ha affidato alla Romania l'incarico di dare vita al cyber security center. In poche parole senza direttive nostrane, ci troveremmo a muoverci dentro un perimetro disegnato su misura per le aziende francesi e tedesche. L'urgenza di trovare una soluzione potrebbe indurre Conte a più miti consigli. Anche perché i partiti di maggioranza hanno fatto notevolmente pesare al premier il rinnovo di Vecchione, chiedendo di fatto di condividere in modo collegiale la scelta dei nomi dei vicedirettori. La scorsa settimana la lista sembrava pronta. Poi è successo qualcosa e le nomine non si sono perfezionate. Sono attese adesso in occasione dell'ultimo cdm del 2020, quando sarà deciso anche il prossimo comandante generale dell'Arma. Sul tema bollente dei vicedirettori si sommano due problemi. Non tanto i nomi, ma i posti. Al momento si tratta di sostituire tre vice, mentre il governo vorrebbe piazzarne quattro. Per questo in molti avevano letto l'avvio della fondazione come un modo per dare un incarico a Roberto Baldoni (sentito ieri dal Copasir proprio sul tema della fondazione) e liberare un quarto posto, oltre ai due liberi all'Aise e a quello dell'Aisi. Insomma, Conte ha pochi giorni per fare marcia indietro, accettare le indicazioni del Pd, accontentare anche Iv e 5 stelle senza però perdere la faccia. Chiaramente il premier ha capito di essere alle strette. Con la nomina di Joe Biden, il mondo dell'intelligence occidentale si sta riallineando. Le nomine nostrane devono tenerne conto, ma al tempo stesso il premier non può permettersi di stravolgerle in modo palese. Non vorrebbe certo dover ammettere di essere stato commissariato. Sebbene le parole di Amendola pronunciate ieri mattina in tv siano di fatto un commissariamento.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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